Non c'è attore - o aspirante tale - che non abbia sentito parlare del "metodo", ovvero della Scuola di Konstantin Stanislavskij. Le sue teorie ed idee, espresse in varie forme e modalità, rappresentano per molti la base del proprio training attoriale, e i principi su cui si basa il "metodo" permeano il nostro modo di pensare il teatro (e la recitazione) ed hanno influenzato quasi tutte le altre metodologie di formazione attoriale esistenti, direttamente o indirettamente. Eppure non mancano i critici. In un interessante saggio breve, l'attrice e acting coach Bella Merlin scrive a proposito di Stanislavskij:
<<And yet, bizarrely, he's often dismissed. Why so? Is it due to poor translations? Misdirected editors? Vainglorious gurus who clamor to "claim" him? Postmodern performers who consider psychology obsolete? Could it even be due to his own inability from time to time to express his ideas succinctly, with the result that his writings sometimes seem to go round in circles and muddy his practical propositions?>>.
Credo che una delle ragioni per cui molti fraintendano Stanislavskij o non lo capiscano sia il fatto che - come ogni grande pensatore della storia - egli avesse un pensiero "fluido" (di contro a "statico"). Nel corso della sua carriera, infatti, egli cambiò anche in maniera piuttosto drastica le proprie idee. All'inizio della sua ricerca, il desiderio di creare un teatro maggiormente realistico lo portò ad interessarsi alla natura delle emozioni (vedi il concetto della "memoria emotiva"); successivamente riconobbe tuttavia delle lacune e delle imperfezioni nella sua teoria, e decise di dare più enfasi all'azione, rispetto alla memoria emotiva ("Metodo delle azioni fisiche"). Tale "evoluzione" storica del pensiero di Stanislavskij è stata alla base di numerose "fratture" all'interno di scuole statunitensi, le quali adottavano interpretazioni diverse dei "dettami" di Stanislavskij, oppure si focalizzavano su alcune parti tralasciandone altre; è questo il caso, a titolo esemplificativo, della diatriba tra Lee Strasberg e Stella Adler negli anni 40 del secolo scorso.
Che cos'è il
Metodo Stanislavskij? Per rispondere a tale quesito, è innanzitutto
fondamentale sapere che Stanislavskij non ha mai voluto creare un
"metodo" o un "sistema". A parer mio, il lavoro di
Stanislavskij va piuttosto interpretato come una "cassetta degli attrezzi"
per la creatività, non certo come un sistema prescrittivo. Egli stesso sancì
più volte come "l'unico ed indiscutibile sistema fosse individuabile nella
natura stessa" (cfr. Moore, "The Stanislavsky System", 1984).
Stanislaskij riconobbe come la realtà fisica e la realtà psicologica
dell'attore e del personaggio debbano essere affrontate assieme, in quanto le
due realtà si influenzano a vicenda.
Che cos'è la
"memoria emotiva"? Si tratta di uno strumento sviluppato da
Stanislavskij per mettere l'attore nelle condizioni di provare realmente una
specifica emozione in un preciso momento dell'opera teatrale nei panni di un
determinato personaggio. L'attore deve, in termini semplicistici, rievocare un
evento che egli stesso ha vissuto al fine di risentire (e quindi "riprodurre"
fisicamente) le sensazioni legate ad esso, aumentando quindi il realismo della
scena. La teoria afferma che se l'attore si "allena" abbastanza
intensamente ed abbastanza a lungo nella rievocazione emotiva durante le prove,
l'emozione richiesta potrà essere richiamata e "attivata" sul
palcoscenico nel momento in cui è richiesta, trasformandosi in riflesso
condizionato. Negli ultimi cinque anni del suo lavoro e della sua vita,
Stanislavskij si rese tuttavia conto che tale approccio era psicologicamente
snervante e persino "pericoloso" per l'attore, ragion per cui si mise
alla ricerca di altre soluzioni. Fu così che giunse alla conclusione che fosse
il corpo stesso la chiave della ricreazione di emozioni realistiche sul
palcoscenico, dando il via alla seconda fase dell'evoluzione del suo pensiero:
il metodo delle "Azioni Fisiche".
Il "Metodo
delle Azioni Fisiche" prevede che l'emozione possa essere stimolata e
comunicata, sul palcoscenico, attraverso una serie di atti prettamente fisici
(non direttamente psicologici): l'esecuzione di una sequenza precisa di azioni
è in grado di richiamare e far salire in superficie memorie emotive "immagazzinate"
nel corpo stesso (quest'ultima tesi di Stanislavskij, fra l'altro, trova
conferma negli studi di Pavlov e Secheno). Il corpo, dunque, rappresenta una
"piattaforma di lancio" per l'attore (Stanislavskij parlerebbe di
"grammatica"), il quale - successivamente - dona valore artistico a
tale "sostrato fisico/emotivo" attraverso la propria immaginazione.
Stanislavskij
fornì altresì indicazioni su come si dovrebbe analizzare un copione, il quale -
secondo l'autore - va concepito come una serie di azioni e relative
conseguenze, e va scandagliato ponendosi sei quesiti basilari che oggi
conosciamo con la definizione di "Circostanze date":
1. Chi? Ovvero:
chi è specificamente il mio personaggio?Quali sono i dettagli riguardanti la
sua vita, il suo passato? Come ha influito il suo vissuto sul suo modo di
pensare e sulla sua visione del mondo?
2. Dove? Ovvero:
in che paese mi trovo? In che punto della stanza sono? Come cambia il mio
comportamento in riferimento al luogo in cui mi muovo?
3. Quando? Ovvero:
in che periodo storico è ambientata l'azione? Quali episodi storici/clima
politico/fenomeni culturali caratterizzano il momento? Quale momento della giornata
(giorno o notte)? In che modo tali indicazioni temporali influenzano il
comportamento del mio personaggio?
4. Perché? Ovvero:
quali eventi hanno portato alle circostanze che sto vivendo? Perché mi trovo
qui?
5. Cosa?/Per
quale ragione? Ovvero: che cosa vuole il mio personaggio? Per quale ragione ho
bisogno che una determinata cosa accada? (E' una domanda che prevede uno scavo
psicologico più profondo rispetto a "Perché?").
6. Come? Ovvero:
quale "piano" ho in mente per ottenere ciò che voglio? La risposta a
questa domanda è in costante flusso, in quanto il mio "piano"
cambierà costantemente in risposta/reazione ai "piani" degli altri
personaggi.
Stanislavskij
suggerisce di dividere il testo teatrale (e l'opera stessa) in singole "unità",
definendole come porzioni di scena all'interno di cui l'attore cerca di
realizzare un obiettivo (vedi circostanza data numero 5) attraverso un'azione
specifica. E' importante, tuttavia, tenere sempre a mente che ogni personaggio
all'interno di un'opera possiede un "super-obiettivo", ovvero una
necessità "globale" che intende soddisfare nel corso dell'opera e,
forse, nel corso della propria vita. Terry Hardcastle fornisce un chiaro
esempio della differenza tra "obiettivo dell'unità" e
"super-obiettivo": il "super-obiettivo" di Batman, il
"lavoro" della sua vita, è quello di salvare Gotham City; nelle scene
singole, l'"obiettivo dell'unità" può essere, di volta in volta,
sconfiggere Bane, oppure entrare nelle grazie di Cat Woman... ma il tutto è a
servizio del suo "super-obiettivo".
Un altro
strumento fornito da Stanislavskij per conseguire l'agognato realismo sulla
scena è il "Magico Se". Tale "tecnica" prevede che l'attore
si metta nei panni del personaggio chiedendosi: "Se la stessa cosa
accadesse a me, come mi sentirei? Come reagirei? Quali azioni fisiche
adotterei? (...)". Così facendo, si può creare una separazione
psicologicamente sana tra se stessi ed il personaggio. L'attrice che si trovi
ad interpretare Medea, ad esempio, potrà interrogarsi con il "magico
se" ("Cosa farei/Come mi sentirei/Che azioni compirei se avessi
ucciso i miei bambini?") al posto di identificarsi con una strega
infanticida (cosa che, psicologicamente, non è certo innocua).
Ma il testo non è
tutto. Stanislavskij incitava i suoi attori ad elaborare il cosiddetto
"Sottotesto". Proprio come gli esseri umani reali, anche i personaggi
dei testi teatrali non sempre verbalizzano tutti i propri pensieri; sta quindi
all'attore immaginare questo universo cognitivo ed emotivo soggiacente l'azione
fisica, che rivela le vere intenzioni e la vera natura di un personaggio, ed
esprimerlo attraverso il corpo e la voce. Come riporta la Moore (1984),
Stanislavskij - certamente ispirato anche dal lavoro di Chekhov - affermò:
"Gli spettatori vengono a teatro per sentire il sottotesto. Il testo lo
possono leggere a casa".
Altra nozione
importante che Stanislavskij consiglia di esplorare nell'elaborazione di un
personaggio è quella di tempo-ritmo. Ogni personaggio ed ogni emozione ha un
preciso tempo-ritmo intrinseco, così come ogni individuo agisce fisicamente nel
tempo-spazio in riflesso di un tempo-ritmo interno: spesso si dice, parlando un
po' per stereotipi forse e giusto per fare un esempio che chiarisca il concetto,
che i settentrionali hanno un "tempo-ritmo" più incalzante rispetto
ai meridionali (confrontiamo come si muove la gente in metropolitana a Milano
con il "ritmo della vita" in un paesino del Meridione).
Stanislavskij
riteneva a ragione che l'attore dovesse allenare la propria voce come fa un
cantante, e che il corpo dovesse essere flessibile ed elastico. L'eliminazione delle
tensioni inutili (fisiche e psichiche) è un must, raggiungibile tramite
espedienti fisici (esercizi di respirazione) ed immaginativi (ad esempio il
famoso "cerchio d'attenzione", esercizio tramite cui si mira ad
ottenere uno stato psicofisico di "solitudine pubblica", ovvero la
capacità di agire in pubblico, mentre si viene osservati, come se fossimo in
realtà da soli.

Dynamicalvoice
sostiene l'importanza dell'interpretazione - di stampo attoriale - anche per i
cantanti, e ne sottolinea la validità altresì per i comunicatori e gli speaker.
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