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domenica 30 agosto 2015

I dieci fraintendimenti più frequenti nel training vocale

Già da molto tempo oramai i didatti del canto e i vocal coach di stampo anglosassone si sono tendenzialmente distaccati dalla tradizione pedagogica che ricorreva ad una serie di immagini soggettive proposte come regole oggettive, la maggior parte delle quali non aveva alcun senso per l'allievo. La soggettività e le proprie sensazioni, il proprio personale ed unico rapporto con il suono nonché le proprie specifiche modalità di apprendimento vanno esplorati e valorizzati, ma è metodologicamente scorretto additare l'individuale esperienza di feedback corporeo come istruzione tecnica definitiva e valida per tutti, confondendo dati oggettivi (la fisiologia) con dati soggettivi (la propriocezione legata all'evento fisiologico) trasformandoli in indicazioni didattiche. Nonostante i passi avanti fatti, alcune espressioni vengono ancora usate e permangono "per tradizione", e spesso gli allievi tendono ancora a confondere determinati concetti con altri o ad interpretare specifiche richieste in modo inappropriato; questo è molte volte chiaramente riscontrabile nel comportamento vocale e fisico derivante dall'applicazione di quelle "regole", che si rivela problematico e frequentemente disfunzionale. La colpa può essere dell'insegnante, il quale non è oggettivo e chiaro nelle istruzioni, oppure dell'allievo, che interpreta male quanto richiestogli (ma se interpreta male vuol dire che l'insegnante non è stato efficiente..), o di entrambi, se non riescono a creare un "rapport" basato sulla comprensibilità e semplicità comunicativa nonché sull'onestà reciproca e sulla precisione lessicale. L'importanza della relazione docente-allievo è anche uno dei motivi per cui nessuno imparerà mai a cantare leggendo un testo.

Ci auguriamo tuttavia che queste coppie di termini e locuzioni varie possano stuzzicare l'intelletto dei cantanti/attori/vocalist e, di lì, possano andare a stimolare la motivazione a ricercare un rapporto più funzionale con il suono (o con il proprio maestro/a).



1. Energia fisica VS spingere più aria

Quando le pliche vocali "vibrano", si aprono e si chiudono un determinato numero di volte. La durata della fase di chiusura è direttamente proporzionale alla pressione che si crea al di sotto della glottide. In termini molto semplici, quando la pressione sottoglottica supera un certo livello, le corde vocali hanno bisogno di essere "aiutate" a gestirla: se il corpo del cantante/vocalist/attore risponde in maniera funzionale (e non è detto che sia così), intervengono allora delle catene muscolari che, stabilizzando l'attività laringea e  controllando il flusso aereo, permettono di realizzare questo exploit vocale che non è "da tutti i giorni". Chi sta vocalizzando, dunque, deve accettare che aumenti l'energia corporea, oppure - se ciò non accade automaticamente - imparare ad aumentarla. Moltissime volte gli allievi pensano tuttavia di dover spingere fuori più aria aumentando il flusso espiratorio, il che - a seconda della qualità vocale utilizzata e dello specifico momento del ciclo espiratorio (...) - può essere molto dannoso per la salute della laringe e comunque non porta quasi mai i risultati sperati. E' fondamentale che ogni utente della voce impari a distinguere queste due attività muscolari.

2. Eutono VS ipotonia


Tutti si saranno sentiti dire almeno una volta nel corso del training vocale che devono "rilassarsi". Quando il lavoro muscolare è eccessivo, esso si espande alle regioni limitrofe e porta a rigidità generalizzata. A quel punto capita spesso che l'allievo se ne accorga (cosa positiva) ma che scelga come soluzione la strada opposta: rilassare tutto. A quel punto "spoggia" (come si direbbe seguendo la "tradizione"), produce una qualità timbrica molto esile e flebile (che potrebbe o meno essere desiderata o desiderabile) e non riesce ad affrontare quei task vocali che richiedono più energia (ad esempio aumentare il volume o superare il cosiddetto "passaggio di registro"). La soluzione sta nel capire dove bisogna immettere l'energia, dove bisogna ridurla, in quali quantità e in quale modalità. Nel momento in cui tutto "funziona" nell'apparato fonorisonatore, la sensazione percettiva sarà di facilità e "rilassatezza".. ma non è la realtà biologica dei fatti, ne è solo il correlato percettivo. Rilassare coscientemente in senso generalizzato conduce molto spesso all' ipotonia, la quale non porta da nessuna parte.

3. Gola libera VS gola aperta


Qui il problema sta in primis nel termine apparentemente innocuo "gola". Si tratta infatti di un vocabolo non tecnico che si potrebbe riferire alla cavità orale, alla rinofaringe, all'orofaringe, all'ipofaringe, alla laringe, al vestibolo laringeo, all'altezza della laringe nel collo, alla posizione del velo palatino, alla posizione della lingua... E poi cosa indica effettivamente l'aggettivo "aperta"? Significa "larga"? Il problema più comune legato a tale concetto è riscontrabile in zona frequenziale acuta. Spesso l'allievo ha "imparato" che deve allargare il più possibile la "gola" (bocca, cavità orale, tubo faringeo) proprio in acuto. Ma la fisiologia va in un'altra direzione, prevedendo - al salire degli Herz - un parziale accorciamento e restringimento del "tubo vocale" finalizzato ad un più efficiente aggiustamento laringeo e risonanziale in assenza del quale la nota acuta può essere raggiunta (in modo grossolano, impreciso e spesso dannoso) solo con una maggiore spinta d'aria.

4. Laringe mobile VS laringe instabile

Una laringe sana è una laringe che si muove e si aggiusta a seconda della frequenza e dell'intensità che desidera produrre. Non nel momento in cui sta producendo un suono fisso, però; qui parliamo di preparazione all'emissione. Una volta che la laringe ha assunto la posizione più funzionale ed adatta al task che si prepone il cantante/attore, essa deve essere stabilizzata. Stabilizzata, non "fissata" in quella posizione per tutto il tempo della performance. E' possibile contenere l'escursione verticale della laringe - molti cantanti d'opera studiano anni per farlo - ma non è auspicabile la letterale fissazione in un punto unico e rigidamente definito. Analogamente non è desiderabile - ed è sintomo di voce non allenata - l'instabilità dell'emissione.

5. Pronuncia avanti VS suono avanti

"Mandare il suono in avanti" può essere una percezione soggettiva di guida molto accurata, ma solo nel momento in cui chi canta/parla ha compreso che è l'efficacia della produzione vocale a livello laringeo e una precisa condizione degli organi che compongono il tratto vocale che la causa. Accade spesso che l'allievo che si sente dire di "mandare il suono in avanti" faccia una serie di cose alquanto bizzarre o addirittura nocive al fine di ottenere questo agognato "suono in maschera" che non riesce a percepire: spinge notevoli quantità di aria, nasalizza o "schiaccia" eccessivamente il timbro, altera la postura cervicale spostando in avanti o indietro il mento, etc. Altra cosa è spostare in avanti la pronuncia, azione che si basa su una posizione della lingua che permette - tramite un'apertura della zona epilaringea - una maggiore libertà di movimento della laringe, in aggiunta ad un aumento della brillantezza del suono.

6. Suono più forte "internamente" VS suono più forte "esternamente"

Quando viene chiesto ad un allievo di emettere un suono più forte, spesso (oltre a spingere troppa aria, alterare in senso disfunzionale la postura ecc.)  tende a realizzare un suono che egli percepisce come più forte/risonante dal "di dentro". Non è assolutamente detto che dal di fuori (ovvero all'orecchio dell'ascoltatore) il suono sia più forte.. spesso si sente non una voce più forte, bensì una voce "ingrossata", spinta, che "non corre", grossolana e rozza. Lo studente tende anche a dimenticare che - a parità di intensità - l'orecchio umano percepisce i suoni acuti come più " in forte" rispetto a quelli gravi (basta consultare il famoso grafico conosciuto come "Diagramma di uguale intensità sonora"/"Audiogramma di Fletcher-Munson per avere un riferimento scientifico"). La conseguenza è che invece di emettere acuti più "in piano" rispetto ai gravi (il che causerebbe nell'ascoltatore la percezione di uniformità dell'intensità nel passaggio dai gravi agli acuti), l'allievo tende a spingere le frequenze più elevate con tutti gli aspetti deleteri a questo legati.

7. Contrazione del retto dell'addome VS appoggio del suono

L'appoggio del suono è molto spesso citato nei testi sul canto e sulla voce come qualcosa di sacro, religioso e vago: tutti sanno che cos'è ma nessuno è preciso in riferimento a dove esso venga realizzato, come, a che fine (cosa appoggiamo quando appoggiamo la voce?), quale sia il feedback percettivo del suo corretto utilizzo e, soprattutto, come si possa insegnare efficacemente. Rimandiamo ad un altro post futuro la discussione sull'appoggio della voce (se appartieni alla scuola che associa l'appoggio alla respirazione, leggi questo post), ma mettiamo fin da subito in risalto che l'appoggio non è una mera e grossolana contrazione del retto dell'addome. Tale movimento muscolare (nonostante avvenga automaticamente e fisiologicamente in misura maggiore o minore in determinate zone del ciclo espiratorio e in corrispondenza degli estremi dell'estensione) non fa che aumentare la pressione e - tramite una connessione nervosa filogeneticamente e ontogeneticamente antica e ben radicata - causa costrizione e potenziali danni vocali, temporanei o permanenti. Leggi quest'articolo per maggiori dettagli.

8. Instabilità VS vibrato naturale

Ogni suono presente in natura ha un suo vibrato. In alcuni generi musicali il vibrato è fondamentale per la valutazione della qualità della voce, in altri meno, in altri ancora esso è tabù. Alcune voci esibiscono più di altre un vibrato naturale, che può essere voluto o meno. Un buon vibrato è riconoscibile dal numero di pulsazioni al secondo (5 o 6), nonché da una qualità "rotonda" che deriva dalla fluttuazione a livello di intensità, in aggiunta alla variazione frequenziale. Accade che certi allievi interpretino erroneamente il nascere del vibrato come instabilità; accade altresì il contrario, ovvero che alcuni allievi, nel tentativo di produrre un vibrato che non posseggono, producano un suono instabile (con pulsazioni inferiori o superiori a 5/6 al secondo e/o con irregolarità generalizzata delle stesse in aggiunta ad un'escursione tonale troppo elevata). Alcune voci rifiutano invece il loro vibrato naturale e adottano una serie di comportamenti compensatori che irrigidiscono eccessivamente il corpo e la vocalizzazione stessa.

9. Suoni sfiatati o urlati VS intensità emotiva

Molto di frequente i giovani cantanti e attori si "affezionano" ad una modalità interpretativa o di emissione e tendono ad adottarla ogni qual volta sentono di dover comunicare emozione ed emotività. Nessuno nega che ci sia un posto per i suoni sfiatati e per gli "urlati" (se eseguiti con coscienza tecnica e senza esagerare) sulla "tavolozza" dell'artista; il problema nasce quando queste diventano le uniche scelte possibili e/o ricorrenti. A quel punto diventa spesso irritante e all'ascoltatore/allo spettatore la performance appare falsa e pure puerile. La ricerca interpretativa non si può fermare al falsetto e all'urlo. L'artista deve esplorare tutte le sfumature, tentare varie strade e non fermarsi mai a ciò che già conosce.

10. Problema tecnico VS problema "istologico"

Una difficoltà vocale, transitoria o permanente, non è necessariamente dovuta a incompetenza tecnica. A volte vi è un'alterazione organica delle pliche vocali o del tratto vocale che può essere conseguente ad alterazioni ormonali (ad esempio nei giorni precedenti il ciclo mestruale), disidratazione, cambi di alimentazione, agenti patogeni (malattie stagionali), allergie, malmenage o surmenage (uso improprio o troppo prolungato dello strumento, anche in contesti quotidiani, al di fuori delle performance), patologia da reflusso gastro-esofageo, lesione della superficie cordale- congenita o acquisita. Lo strumento vocale umano è soggetto ad ogni tipo di stress ("endogeno" od "esogeno"), per cui a volte risulta necessario avere compassione per se stessi e riconoscere che - a prescindere dall'impegno e dalla quantità di studio - ci saranno giorni in cui la voce sarà più in forma e altri in cui sembrerà abbandonarci. Non bisogna nemmeno sconfinare nell'ipocondria però, convincendosi di avere contratto gravi patologie non appena arriva un raffreddore o un abbassamento di voce. In caso di dubbi "sani", ovvero quando il problema è persistente e non sembra migliorare, si ricorrerà ad un controllo medico con uno specialista.

martedì 25 agosto 2015

Insegnanti d'eccezione: gli animali (per attori e vocalist)



 In ambito attoriale è molto diffuso lo studio degli animali. Esso comprende sia un'analisi di tipo "intellettuale" (lettura di libri specifici, visione di documentari e video sull'animale in questione) che l'osservazione diretta. Lo scopo è la comprensione del punto di vista dell'animale scelto e la riproduzione del suo comportamento (andatura, uso dei sensi, strategie cognitive e modalità di interazione con la realtà). Tutto questo potrebbe sembrare puerile, ma si tratta invece di un'esperienza dall'elevato valore didattico che può fornire materiale da usare nella caratterizzazione di un personaggio, ampliando la palette di scelte artistiche di cui dispone l'artista. 



James Dean investì molto tempo nello studio meticoloso dei gatti: vale la pena (ri)vedere l'epico pugno di Cal Trask (Dean) a suo fratello Aron (Richard Davalos) nel film East of Eden, prestando attenzione alla straordinaria fisicità dell'attore.




Marlon Brando disse di aver tratto spunto da un esercizio di "mimesi" con i gorilla per dar vita all'anziano Don Corleone ne Il Padrino.

                               
        

Anche Jason Patric nel film After Dark My Sweet (di James Foley), basato su un romanzo di Jim Thompson, è un eccellente esempio di efficace trasferimento di tratti animali ad un personaggio. Osservate con attenzione l'ingresso del personaggio principale, nella scena nel deserto. L'esercizio specifico, per chi volesse provarlo, prevede che l'attore si ponga inizialmente il seguente quesito: Quale animale ricorda il personaggio del monologo/testo teatrale in questione?Deve poi raccogliere il maggior numero possibile di informazioni su questo, osservarlo se possibile dal vivo, scoprire in che parte del corpo si trovano i muscoli più poderosi, come caccia e come si difende, quali sono le sue abitudini fisiche, come si muove/mangia/gioca/(...). Esplorando la realtà dell'animale in questione l'attore potrà così selezionare aspetti da trasferire alla fisicità del personaggio.

Ma l'osservazione e la riproduzione dei comportamenti animali trova posto anche nella formazione vocale. La prima ovvia motivazione è che l'imitazione dei vari versi e "posture" è una scorciatoia per la scoperta di numerose qualità vocali che forse non si usano abitualmente. Spesso imitare un suono è più facile di tentare di riprodurre istruzioni anatomiche dettagliate: dopotutto, impariamo prevalentemente per imitazione. Non si tratta solo di trovare timbri particolari; anche questioni tecniche possono trarre vantaggio da questo gioco/studio di imitazione faunistica (ad esempio, accade molto spesso che un allievo inizi a capire cosa significa "passaggio" nella voce quando imita il miagolio di un gatto..).



Anche la riproduzione della posizione e dell'andatura animale ha valore didattico. Cantare a pancia in giù come un rettile o appesi al ramo di un albero come un primate... sono tutte esperienze corporeo-vocali che "insegnano" al corpo e alla voce qualcosa di nuovo e vanno valorizzate.


Tralasciamo volutamente per esigenze di spazio e di complessità il valore "neurologico" di tali esperienze corporee e vocali, legate alla famosa teoria del "cervello tripartito"..



Ma è a livello psicologico che l'esercizio dà i maggiori benefici. E' infatti frequentemente difficile, per molti allievi, produrre suoni differenti rispetto alla loro abituale modalità di parlare/cantare o al loro modello fonatorio in generale. L'ostacolo è una reticenza psicologica legata all'immagine di se stessi, alla timidezza e all'insicurezza. L'imitare un animale fa sì che l'allievo si stacchi, anche se momentaneamente, dall'idea di "canto" o di "valutazione qualitativa" di sé e della propria vocalità, e "osi" provare soluzioni diverse, perché il "gioco" protegge l'autostima. 

Il senso del gioco è fondamentale nell'apprendimento, soprattutto nello sviluppo artistico: troppo spesso le lezioni tendono a cadere nel tecnicismo e verbosità magari fini a se stessi. Perché allora non fare un giro al parco o allo zoo? Non sarà una lezione"ortodossa" ma sarà sicuramente efficace e divertente.





mercoledì 12 agosto 2015

La dinamicità della respirazione e le regole del corpo





Ogni volta che qualcuno - attore, cantante o comunicatore - si propone di studiare ed apprendere a utilizzare al meglio il suo strumento, spesso riferisce di dover imparare a "respirare bene". In effetti la respirazione, nel corso dei secoli, ha acquisito lo status di Sacro Graal della voce, spesso assurgendo al ruolo di panacea di tutti i mali e contemporaneamente, nel caso essa fosse errata, a quello di fonte di tutti i problemi della vocalità. Si tratta di un tema scottante, molto dibattuto tra i didatti e gli allievi. Fra i docenti c'è chi fa dell'insegnamento della respirazione "corretta" la base della propria didattica, chi non ne parla affatto ritenendola un concetto "superato" e poco utile in generi vocali lontani dall'emissione operistica o shakespeariana (nel caso della recitazione), chi l'addita semplicemente come una tra molte delle componenti dell'apparato fonatorio, attribuendole diversi gradi di importanza. Il problema per chi studia sta spesso nel fatto che ogni docente sembra insegnare una diversa modalità di prendere e gestire il fiato. Ecco alcuni esempi di istruzioni impartite:
-<<Si respira facendo arrivare prima l'aria nella pancia e poi lasciandola salire verso la parte alta dei polmoni>>.
-<<La pancia va tenuta in fuori durante l'intera emissione, senza permettere che "rientri">>.
-<<La pancia va fatta "rientrare" e bisogna contrarre gli addominali all'inizio dell'emissione e durante tutto il "fiato">>.
-<<L'aria va fatta uscire attraverso il canale laringo-faringeo aperto, senza restringimento alcuno, in quantità importanti>>.
-<<L'aria va "trattenuta", per cui il suono deve essere prodotto "inalando la voce">>.
-<<La respirazione deve essere rilassata, mai ansiosa>>.
Salta immediatamente all'occhio come le indicazioni sovrastanti siano una l'opposto dell'altra, con conseguente grande confusione per il povero allievo che cerca la "verità". Il punto è che, nei sistemi dinamici (come la voce o la respirazione), la verità assoluta è inconcepibile. Ciò significa che tutte le direzioni riportate precedentemente in questo post sono errate? Al contrario: sono tutte più o meno giuste, ma sono giuste esclusivamente per alcuni soggetti, in determinati contesti stilistici, in precise fasi del ciclo respiratorio, in specifiche zone dell'estensione frequenziale, in concomitanza con particolari condizioni di esecuzione. Un esempio concreto nel canto: se devo cantare con una vocalità più classico-operistica (termine di per sé già molto generico) una nota medio-grave per la durata di quattro o più battute da 4/4, prendere molta aria e tenere la pancia in fuori potrebbe non essere un problema. Se devo cantare una nota acuta in un brano rock per la durata di una misura da 4/4, utilizzare la stessa modalità respiratoria potrebbe essere un grave errore che fa "inceppare" l'intero sistema voce.
La muscolatura respiratoria ha una duplice innervazione: da parte della corteccia cerebrale (che la rende parzialmente volontaria) e da parte del tronco cerebrale (che la rende involontaria). Il tronco cerebrale fa sì che il nostro modo di respirare si adatti alle varie circostanze: camminare VS correre, veglia VS sonno, tranquillità VS agitazione, ma anche a seconda della posizione del corpo (eretta, prona, supina,...), dello stato di forma e della biomorfologia corporea (soggetti longilinei VS brevilinei, ma anche stato di gravidanza...), scopo o obiettivo sensomotorio, etc. In tutti questi casi non dobbiamo consciamente alterare il nostro modo di respirare al mutare delle circostanze in quanto il nostro corpo - a patto che il sistema neuromuscolare sia intatto - si sa autoregolare.


Questo incontestabile dato di fatto fa sorgere spontaneo un quesito:
Può forse un insegnante conoscere il funzionamento del sistema respiratorio più del sistema nervoso e muscolare neurologicamente intatto dell'allievo stesso?



Un'altra domanda, a questo punto, é: l'allievo permette che il corpo aggiusti la modalità respiratoria al variare delle condizioni di produzione oppure sta "imponendo" ad esso di mantenere uno schema motorio didatticamente o "culturalmente" appreso che non risulta forse funzionale al compito che si accinge ad affrontare? Sta manipolando la respirazione o sta permettendo che essa si adatti?
Se siamo in presenza di "manipolazione respiratoria" - possibile grazie al controllo da parte della corteccia cerebrale di cui parlavamo poc'anzi - va previsto uno studio della respirazione che miri però non alla memorizzazione di un modello comportamentale preciso ed assoluto (in senso etimologico), bensì al recupero di una funzionalità ed "adattabilità" naturale.
Alcune precisazioni sono tuttavia d'obbligo:
-Quando una persona accusa un disordine vocale, quasi sempre presenta altresì un disordine respiratorio. In questi casi è fondamentale l'intervento di una figura medica e di un esperto nel campo della riabilitazione che curi anche (ma non solo) la respirazione.
-La performance vocale implica spesso frasi più lunghe rispetto all'eloquio spontaneo. Ciò implica effettivamente la necessità di prendere una quantità di fiato relativamente superiore al "normale" (ovvero a quanto avviene nella normale conversazione). L'importante è che la quantità sia relativa, non assoluta.
-Anche nell'eloquio spontaneo alcuni individui (spesso con problemi vocali) tendono a "rimanere senza fiato". Anche in questo caso è auspicabile una collaborazione con un logopedista.
 In tutti gli altri casi, quindi, la cura della respirazione va ignorata? Assolutamente no, ma è mia convinzione che essa vada affrontata in modi molto diversi rispetto a quelli adottati dalla didattica tradizionale. Se ci rivolgiamo al movimento del mantice respiratorio, infatti, il controllo volontario della respirazione è condannato ad essere estremamente grossolano, in quanto la muscolatura che interviene (muscolatura respiratoria ausiliaria) possiede una quantità molto esigua di fusi neuromuscolari, il che la rende incapace di regolarsi finemente con la vibrazione cordale. La soluzione sta nel dedicarsi alla qualità dell'aria stessa, alla sua natura, al suo rapporto (percepibile) con la superficie cordale, con l'apertura e chiusura glottica. La proposta è di lavorare sulla propriocezione a livello di valvola respiratoria per poter regolare la pressione e il flusso in maniera più fine e appropriata all'obiettivo vocale preposto. Solo successivamente si potrà parlare di flusso costante e quindi di "appoggio" e "sostegno".
E nella recitazione? Non è forse fondamentale la respirazione profonda? Come dicevo, non c'è giusto o sbagliato, ma solo giusto/sbagliato in relazione a determinate condizioni o determinati obiettivi. Nell'emissione vocale una respirazione più "profonda" (espressione che indica schemi muscolari di "espansione" diversi in persone diverse, non semplicemente una "pancia più in fuori" per tutti) avrà determinati effetti sul suono, auspicabili o meno. Ma ricordiamo che esiste anche la respirazione profonda scollegata dalla vocalizzazione, finalizzata al rilassamento e all'acquisizione di una "neutralità emozionale" su cui poi costruire il personaggio. Si tratta, in questo caso, di una tecnica sicuramente efficace, ma che è pur sempre un espediente fisiologico finalizzato all'instaurarsi di uno stato psicologico... non è tecnica vocale.