dd

domenica 28 febbraio 2016

Quel romantico nemico invisibile


"Respiriamo l'aria e viviamo aspettando primavera"? Non certo il 54% della popolazione, che secondo le stime sarebbe in qualche modo afflitto dal fenomeno delle allergie primaverili (e non solo).

Al ciclico alternarsi delle stagioni corrisponde il susseguirsi dei diversi periodi di fioritura delle piante. Ecco allora che invisibili nubi di polline si riversano nell'atmosfera, diffondendosi anche a diversi chilometri di distanza dalla sorgente per depositarsi un po' ovunque, anche sulle mucose congiuntivali, nasali e delle vie aeree. Se le persone sono sensibilizzate alle proteine allergeniche liberate dai pollini, reagiscono con caratteristici sintomi clinici, fra cui:

-Congiuntivite allergica: un intenso prurito, lacrimazione e fotofobia, con concomitante iperemia congiuntivale ed edema a carico della congiuntiva palpebrale, spesso associato a rinite

-Rinite allergica, che implica:
a. Starnuti a salve
b. Rinorrea acquosa (ovvero naso che cola)
c. Congestione e prurito nasale: talvolta tale sgradevole sensazione si espande fino a raggiungere il palato, la laringe e gli orecchi. Gli individui allergici possono altresì accusare anosmia (non sentono gli odori) e cefalea frontale dovuta all'edema della mucosa che ostruisce i seni paranasali
d. Esigenza di sputare e sensazione di corpo estraneo in gola

-Asma bronchiale allergico: i sintomi associati sono tosse e dispnea (cioè difficoltà respiratoria).

Le allergie respiratorie possono essere determinate da una vasta gamma di sostanze dette allergeni. Di seguito, ne cito i più ricorrenti.

-Betulacee e corilacee: sono tra le prime piante a fiorire, tra gennaio e inizio aprile; tra di esse vi sono la betulla, il nocciolo e l'ontano.






-Graminacee: la comparsa dei pollini si registra tra aprile e giugno, con un "colpo di coda" verso settembre. Hanno tutte caratteristiche sovrapponibili, tranne l'erba canina, la quale va eventualmente testata singolarmente.


-Parietaria: fiorisce da maggio a luglio, con una ripresa a settembre e ottobre. Ha caratteristiche di allergene perenne in alcune regioni del Sud Italia
-Olivo: il periodo di fioritura è da maggio a giugno. Diffuso sulle coste italiane nonché nella zona del lago di Garda.

-Acari: il Dermatophagoides Pteronyssinus dà origine al più potente allergene che causa l'asma. Si adattano bene alle abitazioni e dimorano soprattutto nei letti e nei tappeti, nutrendosi delle scaglie di pelle umana derivanti dalla fisiologica desquamazione. Le loro feci hanno dimensioni intorno ai 20 millesimi di millimetro e sono quindi suscettibili di essere inalate in profondità dal naso e nei polmoni.


-Epiteli animali: sono fra le prime cause di reazioni allergiche. Perché si scateni il fenomeno non è nemmeno necessaria la presenza dell'animale, in quanto gli allergeni sono presenti nell'aria e nella polvere di casa.

-Muffe: le spore di Cladosporium Herbarum raggiungono valori elevati anche in primavera-estate e la muffa colonizza le sostanze vegetali, in particolare l'erba. Sono rintracciabili anche sulla frutta, negli umidificatori, nei filtri dei condizionatori nonché nelle macchie di umidità sui muri.

Fra i criteri diagnostici  del "male di stagione" si annoverano i seguenti:

-Prevalente comparsa tra gli 8 e i 40 anni
-Anamnesi familiare frequentemente positiva
-Pregresse manifestazioni di eczema atopico (specie in età infantile)
-Stagionalità nell'insorgenza dei sintomi
-Positività ai test cutanei con allergeni pollinici
-Possibile riscontro di eosinofilia ematica
-Rast (ricerca nel sangue degli anticorpi antiallergeni) positivo.

La prima forma di terapia rimane sempre la prevenzione ambientale tramite bonifiche, piccoli accorgimenti giornalieri o misure per l'allontanamento dell'allergene (per gli allergici agli acari si sconsiglia il contatto lavorativo o domestico con ambienti polverosi e si raccomanda l'uso di purificatori d'aria; per gli allergici ai pollini si consiglia di evitare i luoghi aperti nelle stagioni pericolose e soprattutto nelle giornate ventose).

Vediamo ora gli effetti dell'inalazione di allergeni sul meccanismo vocale, e come controllarli.
Le allergie tendono a portare ad edema ed eritema diffuso a carico del rivestimento epiteliale delle pliche vocali nonché della mucosa di rivestimento dell'intero tratto vocale. La propriocezione ne risulta drammaticamente compromessa, ragion per cui giunge difficile controllare la fonazione e la risonanza nel parlato e soprattutto nel canto. Il rigonfiamento delle pliche vocali produce un suono rauco, a volte sovrapponibile percettivamente a quanto si osserva in soggetti affetti da laringite. La congestione delle cavità di risonanza contribuisce a sua volta ad alterare i parametri percettivi del suono, sia all'orecchio dell'ascoltatore che dell'emittente. Nel tentativo di proteggere i tessuti dall'allergene irritante, il corpo produrrà - molto probabilmente - muco dalle caratteristiche più viscose. Tale compromissione dell'apparato pneumofonatorio predispone alle lesioni cordali, in quanto favorisce sforzi eccessivi e compensazioni chiaramente controproducenti.
In base a uno studio di Konig e Wyke, la disfonia nei pazienti con rinite allergica potrebbe essere innescata dall'attivazione di riflessi rino-laringei dovuti a fibre vasomotrici e secretrici di tipo simpatico e parasimpatico presenti nella mucosa laringea e nel muscolo vocale (Konig W.F. and Von Leden H., The peripheral nervous system of the human larynx. II. The thyroarytenoid (vocalis) muscle. Arch Otolaryngol, 1961. 74: p. 153-163. Wyke B., Neurological Mechanisms in spasticity: a brief review of some current concepts. Physiotherapy, 1976. 62(10): p. 316-319).
Stando alla spiegazione di Sant'Ambrogio et al., invece, la disfonia sarebbe da correlare alla presenza di recettori specifici nelle coane nasali i quali, registrando valori di pressione negativa, provocherebbero in via riflessa l'aumento dell'attività del muscolo cricoaritenoideo posteriore (muscolo abduttore delle pliche vocali). (Sant'Ambrogio, G. et al., Laryngeal receptors responding to transmural pressure, airflow and local muscle activity. Respir Physiol, 1983. 54(3): p. 317-330).

Proseguirò ora con l'enumerazione di alcuni rimedi e soluzioni, raccomandando come sempre di evitare l'automedicazione e di rivolgersi sempre ad una personalità medica competente.

-Consultare quanto prima un allergologo: l'individuazione delle cause non è sempre semplice. Un test cutaneo o un esame del sangue positivi possono non essere sufficienti per una diagnosi oggettiva. E' bene avvalersi dell'esperienza di medici specialisti che, sulla base di un'attenta anamnesi, di un accurato esame obiettivo, e talora con test allergologici specifici, possano individuare i fattori responsabili ed impostare la strategia terapeutica più corretta, compresa una spirometria per un'eventuale diagnosi di asma bronchiale.

-Far presente al personale medico di riferimento che hanno a che fare con un professionista della voce: alcuni (oserei dire, molti) dei medicinali prescritti tendono a seccare - anche notevolmente - la laringe e l'intero tratto vocale (cfr la parte finale di questo post).

-Indossa una mascherina: se le reazioni allergiche sono scatenate dal contatto con erba, pollini, polvere e muffe, risulta imperativo indossare una maschera protettiva quando si eseguono attività "a rischio", quali tagliare l'erba, la pulizia della casa, etc.

-Mantenere la propria abitazione ed il proprio domicilio accuratamente puliti, passando regolarmente l'aspirapolvere (ricordate la mascherina!) magari dotato di filtro HEPA.

-Cambiare debitamente i filtri dell'aria (mensilmente, se possibile).

-Usare - se necessario - un umidificatore nei mesi invernali.

-Dormire con il capo elevato: tale posizione migliora il drenaggio dei seni paranasali. La posizione supina della testa, al contrario, favorisce il ristagno del muco all'interno del seno mascellare e nel retro della faringe, andando conseguentemente ad irritare le mucose di rivestimento nonché dando vita ad aree umide che attirano i batteri. Il ristagno di muco al'interno di un seno paranasale predispone altresì all'infezione dello stesso.

-Evitare di starnutire producendo un suono vocale: cercare di produrre, in fase di starnuto, un suono "ch" sordo (ovvero senza vibrazione cordale e conseguente suono udibile) in modo da non traumatizzare la superficie cordale.  

-Bere acqua calda o the alle erbe con limone, per un'efficace azione anticongestionante.

-Se necessario ricorrere (tramite prescrizione medica, preferibilmente, oppure richiedendo medicinali "da banco") a mucolitici.

-Evitare l'assunzione di alcolici: essi sono vasodilatatori e stimolano la produzione di muco, peggiorando la congestione nasale.

-Eseguire quotidianamente dei lavaggi nasali con acqua (termale) o una soluzione salina: per istruzioni su come fare (in inglese): http://www.webmd.com/allergies/ss/slideshow-nasal-irrigation

Un discorso un po' più articolato merita la trattazione della terapia farmacologica normalmente prescritta dagli pneumologi. Essa comprende, di routine, gli antistaminici, i cromoni, gli antileucotrieni, in particolare i cortisonici locali e sistemici, a cui si aggiungono eventualmente i broncodilatatori. La maggioranza di tali rimedi farmacologici ha proprietà seccanti e tende ad ispessire la secrezione mucosa. Tale effetto potrebbe anche essere desiderabile, laddove un utente della voce accusi secrezione mucosa eccessivamente abbondante in seguito a reazione allergica, ma spesso è controproducente e mette in serio rischio l'incolumità degli organi fonatori. E' consigliabile, per chi usa la voce a fini professionali, iniziare (se effettivamente è necessario un trattamento farmacologico) con uno spray corticosteroideo topico nasale: tali rimedi, infatti, riescono spesso a bloccare la reazione allergica con effetti meno seccanti sulla laringe e la faringe, e risultano sicuri e più efficaci degli antistaminici nel controllo dei sintomi. Solo successivamente, in caso di insuccesso o di gravità sintomatica, si può pensare di aggiungere un antistaminico al bisogno, a basse dosi. Se si deve sostenere una performance vocale in orario serale, sarebbe comunque auspicabile che l'eventuale antistaminico fosse assunto il mattino, lontano dall'esecuzione vocale. Sembra che - al vaglio dei benefici e degli effetti collaterali - la Loratadina (nome commerciale: Clarityn) sia uno degli antistaminici migliori per i professionisti della voce. Se dovesse risultare troppo "blando", ve ne sono comunque altri che il medico di fiducia saprà certamente consigliare. Un po' di "sperimentazione" (sempre e solo sotto controllo medico) permetterà verosimilmente di identificare il prodotto migliore per ogni singolo individuo, valutando benefici, effetti collaterali e compatibilità con lo stile di vita e la professione del soggetto. Attenzione alla quantità di pseudoefedrina contenuta negli antistaminici: una concentrazione troppo elevata (120-140 mg) avrà proprietà seccanti eccessive e potrebbe causare persino insonnia, ipertensione e aumento del battito cardiaco. Per coloro che non vogliano fare uso di corticosteroidi, nonostante essi risultino assolutamente sicuri se usati al giusto dosaggio e all'interno di tempistiche ragionevoli (alcuni spray nasali possono provocare effetto rebound se usati eccessivamente a lungo, nonché "dipendenza"), esistono in commercio anche degli spray "naturali" che contengono Capsaicina, i quali risultano sicuri ed efficaci. In casi più preoccupanti, la terapia dell'eziologia allergica può anche prevedere la desensibilizzazione (il vaccino, ovvero l'immunoterapia specifica), che si basa sulla somministrazione di dosi crescenti dell'allergene o degli allergeni coinvolti fino ad indurre una tolleranza clinica dell'organismo verso l'allergene stesso.

Per chi canta o usa la voce per lavoro, l'allergia è un vero e proprio flagello che però, se accuratamente identificato, può essere generalmente tenuto sotto controllo. Le manifestazioni cliniche sono estremamente variabili per gravità e durata. Purtroppo, attendere non serve: quando c'è un'allergia respiratoria, raramente si verifica una risoluzione spontanea dei disturbi. Nella maggior parte dei casi, anzi, il quadro clinico tende alla cronicizzazione o addirittura al peggioramento. Per questo motivo si raccomanda un'esatta e precoce diagnosi a cui faccia seguito un'appropriata terapia.

Per ulteriori informazioni sull'igiene vocale: http://www.dynamicalvoice.com/igiene%20vocale.html

sabato 9 gennaio 2016

"Io sono contraria alle scuole di canto", dalla Pausini a Mina. Cosa c'è di vero?












Le sentenze lapidarie pronunciate "per" o "contro" qualcosa o qualcuno, specialmente se definitive e assolute, sono sempre criticabili. Ciò è applicabile pure a quanto accaduto qualche giorno fa nel corso della trasmissione televisiva "Che tempo che fa", quando Laura Pausini - celeberrima eroina internazionale della canzone italiana - ha dichiarato testualmente:

<<Io non voglio fare una polemica su questo perché ognuno ha il suo punto di vista, ma io sono contraria alle scuole di canto. Per me non ci può essere nessuno che insegni ad un altro come cantare, perché diventa "tecnico", secondo me tutto questo è lontanissimo dall'arte del canto (...)>>.


Il popolo dei cantanti e, soprattutto, dei docenti di canto italiani, si è ribellato sui social a suon di critiche e con reazioni che vanno dalla semplice indignazione al desiderio di avviare addirittura un procedimento legale contro la cantautrice, che ha osato infangare il loro lavoro o oggetto di studio. La risposta da parte dei vocal coach era doverosa, dal momento che ad essere attaccato direttamente (e dal pulpito di un evento mediatico importante a livello nazionale) è il valore del loro stesso operato, e ad essere messo in discussione è il senso della professione in sé.

Leggendo i post e i commenti degli insegnanti di canto, che si scontrano inevitabilmente con i sostenitori e i fan di Laura Pausini, mi è tornato alla mente quanto lessi parecchi anni fa, casualmente, sulla rivista Vanity Fair. Nel 2008 mi capitò fra le mani un numero della suddetta pubblicazione, la quale conteneva (e forse contiene tutt'ora) una sezione in cui la grande Mina (sì, proprio lei) rispondeva ai quesiti dei lettori in merito ai temi più disparati. Conservai il trafiletto con una domanda e risposta che mi colpì, in quanto ricordo che lo trovai certamente equivocabile ma anche drammaticamente onesto. Per chi abbia la possibilità di recuperare la rivista in questione, la data riportata in calce all'intervento di Mina è il 31/12/2008.
A scrivere è la signora "Silvia" di Padova che chiede, in essenza, se all'età di 23 anni possa ancora sperare di iniziare una carriera come cantante e - se sì - come dovrebbe muoversi, quali scuole o agenzie dovrebbe contattare. Riporto testualmente alcune parole della risposta di Mina:

<<(...) E mi devo ripetere, perché la mia opinione è sempre la stessa, non cambia. Non credo a quelli che chiedono soldi, troppi, per insegnarti una cosa che già conosci. A meno che tu non voglia cantare la Carmen. In più... la musica è finita. Internet l'ha ammazzata. Cioè tutto è diventato ottenibile gratuitamente, e a soffrirne sono gli operatori del settore che non hanno più introiti sufficienti per permettersi esperimenti con elementi nuovi. Per quanto riguarda i dischi o i cd, come li vuoi chiamare, sono in grave sofferenza anche i grandi nomi della "canzone", figurati un po'. Siamo in regime di Far West, e non vedo soluzione. Quindi, Silvia, è con amarezza che ti devo dire: "Lascia perdere". Un bacio>>.

(tratto da Vanity Fair, 31.12.2008).

"Non credo a quelli che chiedono soldi, troppi, per insegnarti una cosa che già conosci". Anche Mina sembra quindi essere dello stesso parere della Pausini per quanto riguarda le "scuole di canto". Dando per scontato che entrambe le artiste facciano riferimento all'ambito pop (e Mina lo esplicita un po' di più rispetto alla Pausini), si può essere d'accordo sul messaggio soggiacente (non sulla maniera di esporlo, facilmente equivocabile dagli spettatori/lettori): se con il termine "scuola" si fa riferimento ad un prescrittivismo artistico (legato ad un gusto personale o culturale), allora la "scuola di canto" coincide con un procedimento di omologazione dei cantanti, un'uniformazione delle voci (e delle personalità espressive) che collima con quella particolarità e individualità tanto esaltate e ricercate nell'ambito del  pop e della commercial music. La distinzione tra ciò che è fisiologico e ciò che piace (oggettivo il primo, soggettivo e variabile il secondo) non è chiara in tutte le "scuole" di canto, e alcuni didatti tendono talora a confondere "insegnare a cantare" con "insegnare a cantare come piace a me". Quando "come piace a me" tende ad un'impostazione un po' più classica, il suono e lo stile d'emissione richiesti e giudicati positivamente dal docente saranno probabilmente simili a quelli che la Pausini definisce "tecnici", ovvero verosimilmente troppo "impostati" e non "naturali". Si può essere generalmente d'accordo con questo, ma fino ad un certo punto. Ci sono allievi che richiedono esplicitamente di imparare uno stile, magari scegliendo di prendere lezioni di canto da un determinato insegnante anche perché ne ammirano le doti artistiche e vorrebbero emularne le qualità. Il gusto si acquisisce per esposizione e la maggior parte dell'apprendimento avviene per imitazione: se un cliente (pagante) vuole imparare a esprimersi secondo i dettami di un determinato stile, ed è una sua scelta "libera", perché mai non lo si dovrebbe accontentare? A volte si ha invece a che fare con allievi che non hanno alcun senso "stilistico", producono suoni ma pendono dalle labbra dell'insegnante per capire se sono suoni gradevoli o meno; in quel caso è imperativo - almeno a parer mio - che il docente sia chiaro nel distinguere il giudizio sulla bontà fisiologica della produzione sonora (e già per fare questo bisogna essere qualificati e adeguatamente addestrati, e non è da tutti) dalla valutazione soggettiva della qualità estetica. 

Per chiarire il concetto, ecco un paio di esempi di commenti che sono secondo me appropriati:

"E' un suono sano, non dovrebbe affaticarti più di tanto. A mio parere forse potrebbe essere percepito come leggermente impostato per il genere che vuoi cantare, per cui magari non lo userei sempre".

"E' un modo di cantare molto naturale, un po' graffiato, che potrebbe darti dei problemi laddove necessitassi di elevare l'intensità ad esempio. Un sound molto personale e a mio parere efficace nell'ambito pop-rock, ma attenzione alla salute vocale prima di tutto".

Per contrasto, ecco invece due esempi di valutazioni didattiche in cui il confine tra fisiologia e gusto si affievolisce:

"E' un suono troppo poco avanti, stai ingolando e non sento le armoniche alte. Anche se il suono è basso nel range parlato, devi metterlo avanti".

"Le note sono troppo poco legate, devi respirare meglio con il diaframma e immaginare una nota dentro all'altra, altrimenti è troppo di gola".


Mi sono interrogato più volte, nel corso della mia carriera scolastica e professionale, su che cosa debba realmente insegnare un vocal coach. Credo che ogni caso sia distinto, che ci debba essere chiarezza di comunicazione di intenti da parte dell'allievo e onestà da parte del didatta al fine di sviluppare una sana ed eticamente solida relazione di lavoro. In linea di massima, credo che il coach debba comunque "accordare" una voce (ovvero intonarla), insegnare a "suonare" lo strumento voce (ovvero palesarne le potenzialità ma anche i limiti meccanico-espressivi), "allenarla" (con un regime molto simile a quello adottato da un personal trainer sportivo) e aiutare l'allievo ad applicare le neo-acquisite capacità all'ambito prescelto (ad esempio esplorando i vari generi musicali e stilistici) suggerendo - mai imponendo - delle scelte che valorizzino lo strumento e la personalità individuale. Chissà se questa modalità di fare "lezione di canto" (termine che personalmente aborro..) è nota alla Pausini e a Mina..

Quest'ultima parla - nel suo intervento su Vanity Fair - di imparare "una cosa che già conosci". Alcune persone che scelgono di prendere "lezioni di canto" (non certo tutte) certamente sanno già cantare (non è poi così diverso dal parlare, sotto certi punti di vista..). 

Ma  anche chi comincia a lavorare con un preparatore o un personal trainer certamente se ne intende già un po' di calcio o di fitness.. il coach, in questo caso, prepara un programma di sviluppo e allenamento su misura per ottenere il massimo da ogni individuo. Ciò che gli permette di raggiungere risultati è la sua esperienza e competenza nello specifico ambito sportivo. Il vocal coach fa lo stesso: grazie alle sue conoscenze fisiologiche, acustiche, artistiche, pedagogiche, musicali (...) elabora un percorso di formazione graduato e misurabile che permetta all'allievo di raggiungere risultati in tempi ragionevoli. Questa è la mia idea di vocal coaching e di "scuola di canto".
Hanno quindi ragione la Pausini e Mina quando dicono che nessuno insegna a cantare, ma credo che - seppur non tutti possano aspirare al successo raggiunto da loro due - tutti abbiano il diritto di poter studiare e migliorare, ottenendo il massimo che la loro "costituzione" (fisica e mentale/artistica) consente.

Fra le critiche sollevate alla Pausini dopo le dichiarazioni a Che tempo che Fa, la più feroce è stata quella che fa riferimento alle sue condizioni di salute vocale non certo ottimali. E' stato detto che proprio lei, che si è dovuta sottoporre a operazioni più volte per ripristinare la salute delle corde, non dovrebbe permettersi di denigrare le scuole di canto (sottintendendo che se le avesse frequentate tali interventi non si sarebbero resi necessari) . Sono completamente d'accordo nel mettere in risalto che lo studio del canto deve porsi l'obiettivo di insegnare delle tecniche (di riscaldamento, defaticamento, rilassamento, di emissione etc.) che prevengano o persino riducano i danni istologici alle pliche vocali causati da malmenage (o uso errato dell'apparato pneumofonico). Vorrei però aggiungere due osservazioni:

-Non è professionalmente corretto parlare dello stato di salute della Pausini in quanto nessuno di noi sa realmente quale sia la condizione del suo strumento e se si sia effettivamente sottoposta a interventi chirurgici (una terapia medica è cosa ben diversa da un'operazione chirurgica);

-A onor del vero, i danni a carico delle pliche vocali non sono dovuti sempre e solo a malmenage. Nel caso degli artisti di grande fama è spesso il surmenage a mietere vittime su vittime. Anche con una tecnica perfetta (di cui la Pausini non è certamente - e forse "orgogliosamente" - in possesso), la frequenza dei concerti, delle interviste, delle promozioni, delle prove, la lunghezza dei viaggi e delle permanenze in condizioni di aerazione qualitativamente povere, l'insufficiente riposo notturno, la mancanza di idratazione, fenomeni di allergia o raffreddamento, squilibri ormonali, tensioni psichiche e molti altri fattori possono causare patologie vocali. Una cosa è cantare in un gruppo il sabato sera, ben altro peso ha la vita tipica dell'artista in tournée mondiale. Non è quindi corretto far credere che l'eventuale presenza di patologie vocali, attuali o pregresse, sia solo ed esclusivamente il risultato della mancanza di lezioni di canto (la quale è certamente un fattore di rischio, ma solo uno dei tanti).

Io credo che chi voglia cantare debba affrontare un percorso di formazione vocale serio, che gli faccia acquisire tecnica, resistenza, norme di igiene e che lo stimoli artisticamente. Credo anche che esista un talento, un'originalità che può essere valorizzata, stimolata, "tirata fuori" se latente, ma raramente creata ex novo. Credo che per trovare "quello che già sai fare", per usare le parole di Mina, ogni artista debba fare un percorso di introspezione che nessuno può fare per lui, nemmeno il produttore, ma che l'insegnante di canto (o, meglio, il vocal coach) possa essere un'esperta guida su tale strada. Ciò in cui non credo, invece, sono le dichiarazioni assolute, equivocabili da molti, di tipo aut-aut, in bianco e nero, come quella della Pausini. Qualcosa di vero c'é. Le scuole di canto non trasformeranno di certo la Pausini in Mina, ad esempio. Ma possono certamente aiutare tutti a sviluppare ciò che hanno, a migliorare, a non farsi del male, a cantare per tutta la vita, ad allenare il proprio strumento.. e ciò non è poco.

Per ulteriori informazioni sul vocal coaching: www.dynamicalvoice.com

venerdì 11 dicembre 2015

Porte aperte e porte chiuse: dalla società alla fisiologia del suono vocale


Porte che si aprono e porte che si chiudono; frontiere che accolgono e frontiere che sbarrano l'accesso; pareti che dividono, tetti che limitano e ponti che uniscono. 
Nel clima sociopolitico di queste settimane il topos della "porta" si è fatto presente a vari livelli e con tutte le sue connotazioni: nell'emergenza immigrazione (con chi "spalancherebbe" le porte d'accesso e chi le sigillerebbe), nell'opportunità/dramma dell'emigrazione, nell'apertura della Porta Santa all'interno del mondo cattolico, percorso da decenni anche da un'ondata di opinioni relativa all'apertura/chiusura nei confronti di vari temi di carattere sociale o bioetico. Si tratta essenzialmente di porte - reali o metaforiche - che agiscono a livello comunitario o anche individuale, le quali possono essere sia la causa che la conseguenza di uno stato d'animo e di un orientamento alla chiusura o, viceversa, all'apertura verso elementi che vengono percepiti (a volte erroneamente) come diversi o lontani da sé. 
L'analogia potrà sembrare un po' forzata ai non addetti ai lavori, ma chi si occupa di vocalità sa bene come l'apparato cosiddetto vocale sia un insieme di porte.

La funzione più arcaica e basilare della laringe è quella di separare (o collegare?) la trachea e le vie aeree inferiori dal/col tratto vocale, sede e "incrocio" di apparato respiratorio e digerente. 
Essa permette, aprendosi, la respirazione, mentre impedisce, chiudendosi, l'entrata di particelle estranee nelle vie aeree inferiori - cosa che porterebbe alla morte. 
La laringe altresì può chiudersi serratamente e - tramite un incremento pressorio intra-alveolare- procedere all'espulsione di materiale presente in trachea o nei dintorni di essa.



La vocalizzazione - funzione acquisita soltanto "recentemente" nel percorso evolutivo e non ancora ottimata per la nostra specie - è possibile grazie ad un delicato equilibrio di apertura e chiusura delle pliche vocali, corrispondente alla creazione di cicli di compressione e rarefazione delle molecole aeree (ovvero alla creazione di "suono", se l'oscillazione è captabile dal nostro orecchio). 
La domanda che l'aspirante cantante dovrebbe porsi sin dall'inizio del suo percorso di ricerca é: nella mia personale modalità vibratoria cordale prevale l'orientamento all'apertura o alla chiusura? 

A prescindere dalla realtà anatomofisiologica, la percezione che guida i nostri modelli interni è basata su un'immagine delle pliche vocali come ostacolo al flusso aereo oppure come strettoia o cunicolo? La "porta" è chiusa, aperta o socchiusa? E se è socchiusa - richiamando il dilemma dell'ottimista e del pessimista - è mezza aperta o mezza chiusa? 
Non si tratta qui di giocare con la fantasia, ma di affinare la propriocezione motosensoriale, cercando di ampliare la propria conoscenza del corpo e dei processi interni che lo guidano a prescindere da nozioni teoriche acquisite in precedenza che possono - in alcuni casi - falsare la percezione di sé.


Al di sopra delle pliche vocali vere altre due "ante", le pliche ventricolari, rappresentano un'ulteriore porta. La mentalità di tipo aut/aut (o in bianco e nero), tipica di alcuni esseri umani seppur adulti, tenderebbe a suggerire che in questo caso sia nettamente auspicabile lo "spalancare" l'accesso. Tale manovra potrebbe certamente risultare utile per alcuni cantanti, ma l'effetto flow-on di un'eccessiva "retrazione" potrebbe compromettere, in alcuni contesti, la funzionalità adduttoria delle corde vocali sottostanti, andando a creare una catena di "spifferi" poco promettente per una fonazione ergonomica.

L'epiglottide, un po' più in alto, pone la stessa problematica. L'eccesso di chiusura dell'anello sfinterico che essa concorre a formare causerebbe un restringimento dell'intero meccanismo laringeo, non auspicabile laddove - tramite un meccanismo geneticamente radicato e di retroazione muscolare - provocasse uno strozzamento glottico. L'eccessiva apertura, anche se non certo dannosa, impedirebbe però il formarsi di quel velocizzatore aereo sovraglottico nonché "potenziatore energetico" così efficace per il formarsi di un suono potente con ridotto impegno muscolare.


La catena di costrittori faringei, in unione al muscolo cricotiroideo, rappresentano un ulteriore livello di apertura/chiusura. Il concetto corrente di "gola aperta" potrebbe suggerire la necessità di mantenere lo spazio ipofaringeo e laringeo ben largo. Questa è senz'altro un'indicazione in parte vera, ma è anche vero che - all'avvicinarsi al registro acuto - il mantenimento di una condizione "rilassata" di tale muscolatura, la quale garantirebbe una costante "apertura" di questa "porta", sarebbe controproducente. 
Le frequenze acute hanno infatti bisogno dell'instaurarsi di un rapporto non lineare tra sorgente del suono e filtro al fine di poter risuonare correttamente e senza "fatica". Un piccolo eccesso in un senso (chiusura) o nell'altro (apertura)  è spesso sufficiente per nuocere al delicato meccanismo fonatorio.


Le cartilagini tiroide (anche a livello linguistico abbiamo qui un richiamo al concetto di "porta" se pensiamo al greco "Thyras", termine usato ad esempio nei vangeli per indicare la porta in tutti i suoi sensi e connotazioni), cricoide ed aritenoidi sono tutte paragonabili a porte che vengono ruotate attorno ad un perno(in che direzione? In apertura o in chiusura?) e lasciano passare oppure impediscono al suono di entrare/uscire. 
La dicotomia ingresso/uscita è anch'essa di grande utilità nella pedagogia vocale: il cantante percepisce il suono come qualcosa che esce dal corpo attraverso le varie porte oppure vi entra? Ricordiamo che la vera propriocezione si sviluppa quando si riesce a prescindere da preconcetti anatomo-fisiologici (spesso errati) che condizionano l'esplorazione di sé. Ribadisco "spesso errati" in quanto sappiamo - per citare solo uno di numerosi esempi - che il suono prodotto a livello glottico viaggia in tutte le direzioni, anche al di sotto delle pliche vocali (per cui la fisica conferma che il suono "entra" nel corpo, oltre ad uscirne).

La lingua e il velo palatino collegano (o separano) rispettivamente la cavità orale anteriore con/da quella posteriore (faringea) e l'orofaringe con/dalla rinofaringe. Sono organi che bloccano le onde sonore o le lasciano fluire verso altri spazi? In termini prettamente acustici, tali strutture anatomiche riflettono il suono, lo assorbono attutendone le componenti frequenziali oppure entrano in vibrazione/risonanza con esso? Il velo palatino ed il "portale velofaringeo" sono dinamici e reagiscono efficientemente all'articolazione dei vari fonemi o imprigionano i vari foni in schemi motori fissi poco funzionali alla dinamicità del parlato e del cantato?


Salendo ancora nella rinofaringe troviamo l'ingresso delle tube di Eustachio: è possibile che il suono vi acceda? E ancora, da lì il suono può arrivare fino all'orecchio medio?

Il corpo umano è pieno di innumerevoli altre "porte", di valvole, di passaggi larghi e stretti, di sfinteri e anelli muscolari o ossei o cartilaginei. Le aperture/chiusure di questi condizionano il suono, così come il materiale di cui sono fatti può reagire alle frequenze sonore con cui entra in contatto. La vibrazione è la "lanterna" che fa luce sui singoli fenomeni e ci permette di esplorare quell'ambiente "buio" e invisibile del corpo interno, ma accessibile a patto che si voglia affinare la capacità di propriocezione, porta d'accesso ad un labirinto pieno di passaggi in grado di cambiare forma e direzione in ogni istante. E' così che la propriocezione (tattile, uditiva e persino visiva-immaginativa), lungi dall'essere un semplice feedback accessorio, diventa creatore sonoro. Buona esplorazione!



sabato 21 novembre 2015

Come monitorare quotidianamente la propria salute vocale

 Chi si rivolge ad un consulente vocale richiede - nel 90% dei casi - un aumento di prestazione del proprio strumento. I cantanti vogliono raggiungere note più acute, acquisire un volume maggiore, più agilità, durata e resistenza. Gli speaker, i presentatori, rappresentanti aziendali, insegnanti e attori vogliono rendere la vocalità più profonda, convincente, potente, proiettata (...).  Si tratta quindi di richieste che puntano ad un "di più". Il concetto di "performance", tuttavia, ha delle leggi - stabilite dal business, dall'estetica socio-temporalmente condizionata, dalla concorrenza, dalla cultura, dall'acustica ambientale.. - che spesso collimano con le norme "intrinseche" ed "interne" della biologia e della fisiologia. Già sappiamo come la fonazione sia un'acquisizione tardiva della specie umana in via di sviluppo, e come tale essa è classificabile come funzione "non ottimizzata" per la nostra specie. Ciò significa che le sue capacità performative non sono illimitate, bensì facilmente compromettibili, e la sua funzionalità è alquanto fragile.




Il termine "fonotrauma" si riferisce ad un comportamento vocale inappropriato il quale produce cambiamenti istologici nelle pliche vocali che, a loro volta, possono portare a cambiamenti nel timbro e nella funzionalità fonatoria, sia a breve che a lungo termine. Il danno può essere causato da un singolo evento traumatico a durata limitata (un forte urlo, un forte colpo di tosse..), da un uso eccessivamente prolungato della voce, da abitudini e stili di vita scorretti (fumo, scarsa idratazione, alimentazione scorretta) o altri fattori psicologici o anatomopatologici.  

La parte della laringe più suscettibile di essere sottoposta a fonotraumi è la mucosa di rivestimento. Essa, infatti, proprio come la "pelle" che riveste e protegge il corpo all'esterno, è deputata alla protezione e al rivestimento degli organi interni (tratto vocale, laringe, trachea,...), nonché alla difesa da agenti patogeni e stress meccanici, ai quali risponde talora con processi infiammatori che implicano la comparsa di edema, arrossamenti, microlesioni vascolari, esiti cicatriziali. Secondo gli studi di Rousseau (Rousseau, B. et al., Raised Intensity phonation compromises vocal fold epithelial barrier integrity. Laryngoscope. 2001, 121 (2): p. 346-351) il fonotrauma conduce inesorabilmente ad un indebolimento della barriera epiteliale delle pliche vocali, il quale a sua volta predispone a patologie organiche dovute a stress ambientali e sistemici passivi (batteri, polveri irritanti, perfrigerazioni).


Una telefonata più lunga del solito, una chiacchierata al disco-bar con  gli amici, una prova con la band con cattivo ritorno audio, una giornata di insegnamento particolarmente impegnativa, una settimana con più concerti live della media, una lite con il partner... Tutti questi sono contesti ad alto rischio di fonotrauma. Alcune laringi sono più robuste e resistenti di altre: per alcuni soggetti, basta veramente poco per lesionare - seppur minimamente - la superficie cordale. Esiste una categoria di persone che in ambito anglosassone vengono definite "vocal overdoers" le quali, a causa anche di una personalità molto estroversa, tendono a fare un uso eccessivo della propria voce e vanno quindi incontro, più di altri, a disordini vocali.

Veniamo ora al concetto chiave: la maggior parte dei disordini vocali non ha un esordio acuto. Mi spiego meglio: può darsi che la percezione dei sintomi a livello macroscopico sia "improvvisa" (un docente potrebbe ad esempio lamentare afonia dicendo: "Mi sono accorto la settimana scorsa mentre stavo insegnando che non riesco a emettere un suono pulito"), ma spesso lo sviluppo di un danno è progressivo. Ci sono eccezioni, ovviamente, ma quando la lesione scaturisce da malmenage o surmenage, si tratta di un insorgere graduale a livello prettamente istologico. Questa è una buona notizia, in quanto rende possibile la diagnosi dell'inizio dell'alterazione in tempi utili, la quale può impedire il degenerare della lesione transitoria in qualcosa di più serio.

Se vengono identificati presto, gli effetti del fonotrauma sono facilmente e rapidamente risolvibili. In caso contrario, essi possono degenerare e trasformarsi in polipi, noduli e altre neoformazioni di più difficile risoluzione.

Ecco però che si presenta un problema per il consulente vocale: il cliente (cantante o speaker) vuole ottenere "di più", quindi tende ad attuare delle strategie di compensazione che - in presenza di un'alterazione cordale - tendono a mascherarla. Aumentare il "volume", cambiare la "tonalità" della propria voce, tecniche di "focus" (tutte finalizzate ad una gestione particolare del tratto vocale e a conseguenti variazioni nel filtraggio armonico e formantico), nonché variazioni nell'articolazione fonematica (di vocali e consonanti) sono stratagemmi - consci od inconsci - che mascherano il problema. Il primo compito del vocal coach è, al contrario, quello di richiedere qualcosa "in meno", in modo da "togliere le maschere" e osservare nel modo più chiaro possibile la qualità della vibrazione cordale, in modo particolare dello strato di copertura delle pliche. 

Molto spesso il cliente/allievo "storce il naso" di fronte a tali attività diagnostiche, essendo impaziente di trovare un "quick fix" per ottenere un determinato "enhancement" (uso appositamente una terminologia di matrice tecnologica in contrasto con il lessico e le richieste proprie invece della fisiologia).


Ai fini diagnostici è dunque vantaggioso richiedere all'allievo/cliente di vocalizzare con le seguenti condizioni:

-Volume basso (possibilmente non arioso): un volume alto tende a mascherare il problema, in quanto porta le pliche vocali a vibrare in un modo che non "isola" la componente di copertura. La presenza di aria udibile è già di per sé un campanello d'allarme.

-Frequenza elevata: la vocalizzazione a frequenza basse, proprio per la maggiore attivazione del corpo cordale, rende la diagnosi più difficile. In acuto, al contrario, il suono viene prodotto con una "meccanica" che rende più chiaro lo stato della mucosa.

-Staccato: esso prevede una serie di suoni con inizi separati; è proprio l'inizio della fonazione il momento del ciclo vibratorio che dà informazioni più dettagliate sullo stato della mucosa di rivestimento.

Se il compito richiesto risulta e "suona" di facile esecuzione, se l'allievo produce suoni "puliti", non ariosi, periodici, senza componenti di rumore e/o alterazioni, e se gli attacchi risultano facili e non si registrano brevi "interruzioni" della voce (come se stentasse a "partire"), allora la mucosa è con tutta probabilità in buono stato. Se si verifica il caso opposto, è necessario farsi qualche domanda:

-Si sono adottati comportamenti vocali abusivi negli ultimi giorni?

- Ci si è inseriti o ritrovati in contesti in cui il fonotrauma è un rischio (cfr quanto descritto sopra)?

-E' in corso o in procinto una flogosi (patologia infiammatoria) dovuta a virus o batteri, magari di natura stagionale (raffreddore, influenza, laringo-faringite ecc.)?

-E' in corso un'alterazione ormonale che potrebbe avere effetti sull'istologia cordale (periodo pre-mestruale, menopausa, assunzione di determinati medicinali...)?

-Si soffre di patologie legate all'apparato digerente (quali la MRGE) o di allergie respiratorie e/o alimentari?

Il questionario sopra riportato dovrebbe fare più chiarezza sulle cause di un eventuale problema diagnosticato dal "test" riportato. Un'alterazione nella produzione vocale che duri qualche giorno o - nel caso di laringiti o altre patologie - qualche settimana, non è da sottovalutare, ma non deve nemmeno allarmare. Un po' di riposo vocale, associato ad esercizi "riabilitativi" adeguati (che saranno eventualmente argomento di successivi post) nonché ad una prioritarizzazione delle attività giornaliere finalizzata al risparmio vocale dovrebbero risolvere il problema nel giro di poco tempo. Se la condizione alterata perdura per più di tre/quattro settimane, tuttavia, e non c'è una causa ben identificabile, sarebbe consigliabile un controllo medico.


Come ben sappiamo, prevenire è meglio che curare. La raccomandazione è perciò di eseguire in tutta autonomia degli autocontrolli quotidiani per monitorare lo stato della propria mucosa cordale e segnare eventuali alterazioni. Ecco un suggerimento su come programmare i "controlli":

-Due volte al giorno (mattino e sera e, se si è cantanti, anche prima del riscaldamento) eseguire delle note in staccato su frequenze medio-acute, in pianissimo e con un suono pulito. Procedere salendo di semitono in semitono, senza comunque esagerare in altezza. Osservare la qualità dell'attacco: è "liscio"? La voce "parte" senza problemi o si interrompe per un attimo, come se ci fosse un impedimento fisico alla vibrazione? Mantenete il volume basso! (Un aumento dell'intensità maschererebbe il problema, anche se vi permetterebbe di produrre un suono migliore). Se ad una certa frequenza notate difficoltà di produzione (la voce non esce, l'attacco non è "pulito"), segnate quella nota su un foglio. Nei giorni successivi osservate se il punto in cui la voce si "blocca" è sempre a quella specifica frequenza o si sposta. Se notate che questo "tetto" si abbassa, o comunque non riuscite mai ad ottenere suoni a basso volume "puliti" a quelle frequenze, fatevi le domande sopra indicate, attendete qualche giorno (facendo attenzione a concedervi del riposo vocale e a non abusare del vostro strumento) e vedete se la situazione si ristabilizza. Ancora una volta, se non riuscite ad identificare la causa del "problema" e la voce non torna ai livelli normali nel giro di tre/quattro settimane, è consigliata una visita foniatrica o ORL.


E' imperativo che tutti gli utenti della voce monitorino costantemente lo stato del loro strumento di lavoro che è, ahimé, unico ed insostituibile; una volta "rotto", è molto più difficile da aggiustare. 
Per ulteriori info e quesiti.