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sabato 12 settembre 2015

Cos'è una "bella voce"?

Il mondo dell'estetica, si dice, è altamente soggettivo. Non c'è dubbio che la bellezza sia negli occhi dello spettatore (o negli orecchi dell'ascoltatore) e che sia relativa alla cultura di appartenenza e all'esperienza percettiva pregressa. Alla base dell'insegnamento dell'uso della voce e del canto ci dovrebbe sempre essere la coscienza di questo relativismo estetico e la consapevolezza che l'ideale a cui aspira l'allievo potrebbe essere diverso da quello dell'insegnante. Quest'ultimo deve certamente intervenire per correggere assetti meccanici dannosi o controproducenti, ma dovrebbe agire con molta cautela quando ci si addentra nell'ambito stilistico e legato al "gusto". L'allievo che voglia essere guidato nello sviluppo stilistico, d'altro canto, farà meglio a cercarsi un insegnante che abbia un senso estetico - stilistico che egli apprezza e condivide. La divisione tra tecnica ed estetica è alla base del coaching dynamicalvoice, come ben illustrato qui.

Ciononostante, è interessante chiedersi se esistano dei criteri universali che definiscono una "bella voce". Dopotutto, sembra che la scienza abbia stabilito che esistono dei canoni assoluti (ovvero indipendenti dalla cultura di appartenenza) che sanciscono il grado di bellezza di un volto: confrontando i dati di più di un centinaio di studi, in cui a gruppi di soggetti di diversa età e provenienza geografica veniva chiesto di valutare la bellezza di volti, Langlois et al. (2000) hanno mostrato una concordanza molto alta nei giudizi. Hanno incluso nel loro lavoro anche gli studi in cui i "valutatori" della bellezza appartenevano a culture o etnie diverse; ebbene, il coefficiente di correlazione è altissimo, 0,94 e 0,88 rispettivamente (concordanza di giudizio quasi totale). Anche i bambini di pochi anni d'età sono in grado di giudicare il grado di bellezza dei volti, esibendo un metro di giudizio molto simile a quello utilizzato dagli adulti (Kramer et al., 1995; Slater et al., 1998; Rubenstein et al., 1999).



Per quanto riguarda il corpo, fu soprattutto la cultura greca a tentare di analizzare la bellezza in termini di rapporti geometrici tra i vari attributi fisionomici. Policleto e Fidia definirono un canone di bellezza derivato dall'utilizzo della "sezione aurea": i rapporti aurei - intorno a 0,618 o 1,618 - vengono percepiti come attraenti. A 0,618 si perviene, tra l'altro, attraverso la serie numerica di Fibonacci, in cui ciascun numero è la somma dei due che lo precedono (0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34...): se si divide ogni numero per il suo successivo, ci si avvicina sempre di più a 0,618...




Collegata alla "bellezza" è anche la simmetria. Le ricerche in molte specie animali hanno determinato l'esistenza di una stretta correlazione tra simmetria dei tratti morfologici e stato di salute generale, quindi anche di fecondità a capacità di sopravvivenza. Sembra quindi che la percezione di bellezza sia direttamente proporzionale alla percezione di salute e capacità riproduttiva. La bellezza sembra altresì essere legata alla presenza di uno "stimolo supernormale", ovvero di una caratteristica fisica entro certi limiti qualitativamente superiore al prototipo/media della popolazione.




Apparentemente un volto bello è anche un mix equilibrato di caratteristiche sessuali tipiche del sesso di appartenenza (ad esempio un marcato profilo mandibolare nell'uomo) - segno di maturità riproduttiva - e di dettagli "infantili", i quali danno l'idea di giovinezza.

La lista potrebbe continuare, ma torniamo alla voce e riprendiamo la domanda iniziale: esistono dei canoni di bellezza "biologici", ovvero indipendenti dalle differenti culture, per quanto riguarda la vocalità?

Hughes et al, nel 2004, fecero un esperimento alquanto interessante. Fecero esaminare a 149 studenti, 77 femmine e 72 maschi, 76 campioni di voce femminile e 76 di voce maschile. Chiesero ai partecipanti di valutare ciascuna voce per la sua piacevolezza su una scala da 1 a 5. Ai parlanti erano state prese anche alcune misure corporee, come l'ampiezza delle spalle e la circonferenza del bacino e dei fianchi. I risultati mostrarono che la bellezza della voce percepita correlava significativamente, per i parlanti maschi, con il rapporto tra l'ampiezza delle spalle e la circonferenza dei fianchi ( correlazione di 0,50 nei giudizi delle femmine e 0,37 nei giudizi dei maschi), mentre per le parlanti femmine correlava negativamente con il rapporto fra circonferenza della vita e circonferenza dei fianchi (-0,37 nei giudizi dei maschi, correlazione non significativa nei giudizi delle femmine). Ciò sembra indicare che il parametro acustico vocale è anche indice della struttura corporea, la quale è collegata alla vita sessuale. In altre parole, una voce "bella" sarebbe una voce che fa presupporre una struttura corporea "bella" e quindi un eccellente corredo genetico.



Nel 2006 alcuni ricercatori sono andati in Tanzania al fine di studiare la tribù degli Hadzabe, chiedendosi quali sono gli uomini ritenuti più idonei per trasmettere i loro geni ai discendenti. Gli Hadzabe sono famosi per la loro attività di cantastorie, per cui uno degli obiettivi dello studio era capire se ci fossero delle correlazioni tra la qualità della voce e la capacità di attrarre partner sessuali. Si scoprì che l'uomo che aveva procreato di più era quello con la voce più profonda. Quelli con una voce più acuta, invece, avevano meno figli. La voce potrebbe avere una rilevanza nel numero di partner sessuali in quanto per la gran parte della storia evolutiva umana, dopo che tramontava il sole e la luce scompariva, il suono era uno degli strumenti fondamentali per la seduzione e, in generale, per le interazioni.


Il dottor David R. Feinberg afferma che la voce di una persona rivela l'età e lo stato d'animo in cui si trova, ma soprattutto è un ottimo indicatore del sex appeal. Nel suo studio sulla percezione della bellezza vocale, quasi tutti gli uomini diedero un punteggio più elevato alle donne con le voci più acute. Quando si parla di voci femminili viene da pensare che gli uomini preferiscano quelle più suadenti e profonde, ma dalla ricerca del dottor Feinberg risulta l'esatto opposto. Sembra che tale preferenza sia dovuta al fatto che una voce più acuta e squillante è collegata ad un'età più giovane e ad un livello maggiore di estrogeni. Nello stesso studio, le donne diedero la loro preferenza alle voci maschili più profonde e virili. Il suono della voce di un uomo è correlato al tasso di testosterone secreto durante la pubertà: gli uomini che durante l'adolescenza hanno prodotto grandi quantità di testosterone di solito hanno voci molto basse e profonde, mentre quelli che ne hanno prodotto poco hanno voci più acute. Quando una donna apprezza un certo tipo di voce, magari non la associa direttamente al testosterone, ma il suo inconscio in realtà sa cosa sta facendo: il testosterone prodotto da un adolescente non contribuisce soltanto a dargli una voce sexy, ma di solito anche un viso sensuale e un fisico prestante. In quanto alle donne, un alto tasso di estrogeni si traduce in un volto più aggraziato, un punto vita e un seno più seducenti, e una voce più acuta. E - aspetto questo molto affascinante - sia il viso che la voce, nella donna, diventano più affascinanti durante l'ovulazione. Il dottor Gallup dell'università di Albany, New York, ha studiato gli effetti degli estrogeni sulla voce femminile nelle varie fasi del ciclo mestruale. Ha riscontrato che nel periodo più fecondo la voce femminile risulta molto più attraente ed ha una frequenza leggermente più alta.



Quanto sopra riportato è il punto di vista della psicologia evoluzionistica. Torniamo però per un attimo alla prospettiva "geometrica": esistono, nella voce, dei parametri che rispecchino le proporzioni auree a qualche livello? La ricercatrice e pedagoga tedesca Gisela Rohmert, assieme al suo team di ricerca, è giunta alla conclusione che una voce armoniosa e ben sviluppata possiede dei picchi formantici (ovvero delle zone frequenziali di maggiore intensità) intorno ai 3, 5 e 8 Khz. Tale "Gestalt" sarebbe ottenibile nella voce tramite il lasciar agire meccanismi di autoregolazione nel corpo (soprattutto in quella che chiama la "catena dei diaframmi") e nel suono stesso, tramite una "veränderte Hörweise", una modalità d'ascolto diversa. Non è difficile riconoscere in 3, 5 e 8 le prime  cifre della sequenza di Fibonacci di cui abbiamo parlato all'inizio di questo post.

Anche la "simmetria", ricordiamo, è un elemento fondamentale per la percezione di bellezza e armonia. A livello laringeo, il suo correlato è la simmetria della vibrazione cordale, sia sul piano sagittale (cordale vocale destra e sinistra), sia su quello frontale (zona anteriore e zona posteriore delle pliche) e trasverso (parte superiore e parte inferiore delle pliche). Anche a livello spettrografico si può venire a creare una sorta di "simmetria" tra parziali bassi (ovvero l'energia sonora al di sotto dei 3 Khz circa) e parziali alti (al di sopra dei 3/4 Khz). 

Alcune delle caratteristiche di cui abbiamo parlato sono innate ed immutabili: la frequenza della voce, a titolo di esempio, dipende in primis dalle dimensioni delle pliche vocali, misura che è difficilmente modificabile (uso l'avverbio "difficilmente" e non l'aggettivo "impossibile" perché - ad onor del vero - alcuni trattamenti ormonali esercitano un effetto sulla massa cordale e sulla frequenza della voce).

Cerchiamo allora di capire che cosa è in nostro potere fare per ottenere una voce più armoniosa e per avvicinarci a questa "bellezza biologica" sia nel parlato che nel cantato.

1. Simmetria: puntiamo sempre ad emettere un suono pulito (ovvero senza fuga d'aria o componenti disarmoniche) ed equilibrato nelle sue componenti, monitorando la postura ed evitando asimmetrie muscolari di bocca, mandibola, collo, spalle... Esistono specifici esercizi finalizzati a stimolare la simmetria della vibrazione cordale, ma non è questa la sede per approfondire.

2. Sviluppare un'estetica biologica: cerchiamo di usare come metro di valutazione e feedback lo stato di benessere corporeo prodotto dal suono, piuttosto che la familiarità della qualità acustica udita.

3. Sciogliere le contratture e tonicizzare le ipotonie: impariamo ad identificare i punti del corpo che sembrano opporre resistenza alla vibrazione e a lasciare che il suono stesso ne sciolga le eventuali contratture o ne tonicizzi i tessuti.

4. Equalizzazione alto-basso: puntiamo ad emettere un suono che sia bilanciato nelle sue componenti armoniche alte e basse, ovvero un suono che risulti profondo e brillante al tempo stesso, ma senza forzature nell'uno o nell'altro senso.

5. No alla monotonia: l'altezza e l'intensità della voce devono variare nel corso del discorso; l'ascoltatore associa una voce monotona ad una personalità poco interessante.

6. Chiara articolazione: una pronuncia trascurata è associata a trascuratezza e inaffidabilità caratteriale.

7. Assenza di nasalità: la rinolalia non è un criterio di bellezza vocale, anche se risulta affascinante in alcuni fonemi specifici di alcune lingue.

8. Un tono di voce non sommesso né stridulo: una laringe in posizione "neutrale" e una piena vibrazione cordale garantiranno tale obiettivo, come accennato nella discussione sulla risonanza e qualità vocale degli speaker professionisti in questo post.

9. Una quantità non eccessiva di pause: i maschi, in modo particolare, tendono ad usare molte pause "piene", utilizzando "eh.." o "mmm...". Pause troppo lunghe vengono interpretate come insicurezza, introversione, incompetenza e basso livello intellettivo.

10. Eloquio non troppo rapido: un eloquio eccessivamente veloce, in cui si riducono al massimo le pause, dà l'impressione di un parlante ansioso o arrabbiato.

Lo ricordiamo: ogni genere musicale, ogni contesto attoriale o condizione professionale nonché ogni periodo storico prevedono criteri estetico-stilistici diversi. In questi casi, l'estetica asserve il comportamento vocale. Con questo post abbiamo tentato di capire se esistano dei canoni di bellezza universali atemporali e ci siamo chiesti se sia possibile ideare un piano di sviluppo vocale all'interno del quale la funzionalità corporea (per dirla con un termine della Rohmert) possa asservire l'estetica o coincidere con essa: una prospettiva nuova, ardua ma certamente allettante. Buona ricerca!

lunedì 7 settembre 2015

Dizione standard: quale italiano e quali ambiti di lavoro




Un aneddoto racconta che durante la ribellione dei Vespri siciliani, gli abitanti della Sicilia uccisero gli occupanti francesi che, interpellati, non sapevano pronunciare correttamente la parola siciliana "ciciri" ('ceci'). Si tratta di una variatio sul tema dello Shibboleth, narrato nel Libro dei Giudici (12, 5-6): dopo un combattimento, i Galaaditi volevano impedire la fuga dei loro nemici sopravvissuti, gli Efraimiti. Questi ultimi, al momento di fuggire attraverso il fiume Giordano, dovevano quindi essere fermati e individuati come tali e a tal fine si elaborò un test specifico: chi veniva fermato doveva pronunciare correttamente la parola Shibboleth. Siccome, nel loro repertorio fonetico, gli efraimiti non possedevano il suono [ʃ] (come il primo suono del termine italiano "sciarpa"), il test era efficace, e chi sbagliava la pronuncia veniva ucciso.

Qual è la nostra lingua materna? Una risposta frettolosa potrebbe essere <<l'italiano>>, <<l'inglese>>, ... A livello sociolinguistico, possiamo affermare che l'Italia presenta su tutto il territorio nazionale una situazione definibile come una forma particolare di "diglossia", "Lingua cum dialectis". La nostra lingua materna è allora l'italiano ("lingua") o un dialetto? Se siamo sicuri che la nostra lingua madre sia la "Lingua", dobbiamo chiederci quale variante regionale parliamo. Per rispondere a tali quesiti, la maggior parte dei lettori si sarà chiesta in quale lingua pensa, o in quale lingua parla più frequentemente. Un quesito dal valore diagnostico più accurato sarebbe tuttavia il seguente: "quale repertorio fonetico utilizzo nell'eloquio spontaneo?". Con "repertorio fonetico" indichiamo qui, in parole povere, l'insieme di suoni e melodie che utilizziamo nel parlato. Raramente però un individuo ha capacità autodiagnostiche così sviluppate da permettergli di valutare il grado di neutralità del proprio eloquio ed eventualmente modificarlo. Infatti:

- Le abitudini fonatorie (fonetiche e fonologiche), acquisite nei primi anni di vita, vengono immagazzinate nella memoria implicita diventando quindi automatiche ed "inconsce";

- Cambiare il proprio modo di parlare è un compito difficile, non solo a livello pratico, ma soprattutto a livello psicologico (si tratta di cambiare l'intera immagine di sé, il che non è facilmente "tollerabile");

- E' alquanto raro avere feedback positivi nella vita quotidiana: il contesto socioculturale in cui si è inseriti percepisce una pronuncia neutra come "diversa" e incongrua, o addirittura "snob" (il che porta spesso a feedback psicologico negativo in quanto il parlante si sente escluso da una comunità);


- Non esiste una comunità di parlanti di riferimento: l'italiano neutro è un'astrazione, non una varietà linguistica parlata in una determinata regione geografica.

Approfondiamo l'ultimo punto. L'italiano è stata una lingua quasi solo scritta per molti secoli: quando dovevano parlare, gli abitanti delle varie regioni italiane, indipendentemente dal censo, dall'istruzione, dall'età, usavano il dialetto. Quando - successivamente- si è imposta l'esigenza di una lingua unitaria nazionale anche nella comunicazione orale, la pronuncia dell'italiano che si è venuta formando nelle più diverse regioni non poteva che subire una forte interferenza della fonologia della parlata locale (...) per cui risulta molto difficile definire una sola fonologia dell'italiano: ci troviamo in realtà di fronte a un insieme (in termini tecnici: un diasistema) di almeno una ventina di fonologie dell'italiano. (Mioni, 1993, pp. 02-103). Nessuna di queste pronunce regionali è riuscita ad imporsi come effettivo modello nazionale: né quella fiorentina, né l'asse tosco-romano preconizzata negli anni Trenta e Quaranta (Berruto, 1987, p. 96). Ma allora che cos'è l'italiano neutro? I cosiddetti "professionisti della dizione" hanno adottato e proposto una parlata un po' artificiale (nel senso che non ha una realizzazione diatopica concreta, ovvero non è parlata in una zona geografica precisa), la quale prendendo come riferimento di partenza il toscano, lo depura delle particolarità locali. Contemporaneamente, l'addestramento pratico in questo modello - come afferma Mioni - tenta di espungere, nella pronuncia dei suoni, qualsiasi inflessione dialettale, allo scopo di rendere irriconoscibile la provenienza regionale del parlante. Ecco dunque che lo "Standard" può essere definito come un continuum di accenti che - a livello percettivo - non sembrano denotare caratteristiche articolatorie regionali, etniche o socioeconomiche. Tale definizione sembra essere condivisa da molti linguisti, anche se non mancano le eccezioni. Secondo Nora Galli de' Paratesi (1984) esiste in realtà un modello di pronuncia che si è storicamente imposto in Italia. Tale modello non sarebbe quello dei fiorentini colti, né tantomeno quello romano, ma piuttosto un modello emendato dai tratti più tipicamente fiorentini e assunto e reinterpretato al Nord-Ovest (Milano), da dove, grazie alla forza di penetrazione di una comunità egemone sul piano economico e culturale, si va lentamente espandendo in tutta Italia, compresa la Toscana (cfr. Lo Duca, 2013).


Per ascoltare un italiano (più o meno) neutro dobbiamo quindi rivolgerci ai professionisti radiofonici (ma non tutti..), agli esperti doppiatori di film in italiano, ad alcuni attori. Sono state realizzate delle opere che tentano di codificare l'italiano standard, quali ad esempio il Dizionario di Pronuncia Italiana (DOP), ora disponibile anche in una versione online (http://www.dizionario.rai.it/), o il Dizionario di Pronuncia Italiana (2009) di L. Canepari, il quale contempla diversi tipi di pronuncia per molti lessemi: la pronuncia "moderna", quella "tradizionale", "accettata", "tollerata", "trascurata", "intenzionale", "aulica" (cf. http://venus.unive.it/canipa/dokuwiki/doku.php?id=en:start).

Ma cosa implica lo studio della "dizione"? Alla luce di quanto detto sopra, è vantaggioso considerare l'acquisizione dell'italiano neutro come l'apprendimento di una lingua straniera o, meglio, di un dialetto secondo.

Molti di coloro che frequentano corsi mirati (di cui l'Italia pullula) si vantano di sapere qual è la pronuncia corretta di determinate parole (ad esempio <<si dice "Bene" con la "e aperta", non chiusa>>) ma esibiscono poi una modalità d'eloquio smaccatamente regionale che fa apparire quasi ridicoli gli sforzi di pronunciare correttamente le "e" e le "o". Questo perché la "dizione" è un ambito pluridisciplinare che abbraccia molti settori della fonetica articolatoria (branca della linguistica che si occupa dello studio dei suoni della lingua), non solo la questione dell'apertura o chiusura delle vocali. Vediamo brevemente quali sono le aree di studio.

1. Ortofonia: (da orthόs e phσné) si riferisce all'esatta produzione di vocali e consonanti della lingua. Si tratta di capire quale schema motorio è all'origine dello spettro sonoro dei fonemi della lingua. Nella produzione delle vocali si presterà particolare attenzione alla posizione della lingua, delle labbra e della mandibola. Nelle consonanti ci si concentrerà sul modo e luogo di articolazione. In quest'ambito si cercherà di eliminare difetti articolatori che portano a pronunce anomale o non standard, ivi inclusi fenomeni quali il rotacismo ("erre moscia" o comunque non alveolare) e il sigmatismo (problema di realizzazione della esse), a patto che questi non siano conseguenti ad alterazioni muscoloscheletriche di competenza ortodontica o comunque logopedica. Si accerta - in quest'area di studio - anche la corretta assimilazione delle regole fonologiche della lingua in questione, nonché dell'effettiva realizzazione corretta dei vari allofoni previsti nella cornice dei fenomeni di coarticolazione (ad esempio la realizzazione del fonema /n/ è diversa nelle parole "anno" e "incontro" a causa di fenomeni di assimilazione che possono differire tra italiano neutro e italiano regionale).

2. Ortoepia: (da orthόs e épos) si riferisce all'uso corretto di e/o (aperta o chiusa), s (sorda o sonora), [ts] e [tz], all'accento di parola appropriato (ad esempio: si dice "ìnfido" o "infìdo"?), alla durata dei fonemi e ad altri fenomeni quali la geminazione (auto-geminazione, pre-geminazione, pos-geminazione, de-geminazione, cogeminazione/raddoppiamento sintattico). Si tratta quindi dell'ambito che la maggior parte delle persone associa alla "dizione" in senso stretto, ma che rappresenta in realtà solo una piccola parte dell'argomento, assai più complesso.

3. Intonazione: lo studio del set di contorni intonativi standardizzato in ogni lingua per fare asserzioni o porre domande. L'apprendimento dell'uso delle tonìe standard (tonìa conclusiva, sospensiva, continuativa, interrogativa...) è l'elemento a mio parere principale che si dovrebbe studiare per attenuare una cadenza regionale, in quanto esse rappresentano la "melodia" della lingua, la quale tende a giungere al nostro orecchio prima delle "singole note" (ovvero i singoli fonemi), in condizioni di ascolto normale.

4. Ortologia: (da orthόs e lόgos), lo studio della resa vocale delle intenzioni comunicative. Si tratta qui di analizzare ed allenare qualità foniche, prosodiche e parafoniche della voce per rendere i contenuti più efficaci e pregnanti. Tono, volume, tempo, mordente, in riferimento all'emozione da comunicare.. l'ortologia è il sottocampo più musicale dello studio della "dizione". Molti tendono a pronunciare le frasi in un modo che non rende l'emozione che intendono comunicare (dicendo, ad esempio, <<Le vacanze sono andate bene..>> con un tono di voce "grigio" e "spento" che non traduce l'idea del divertimento e della gioia che hanno provato nel corso delle stesse); la parafonica mira dunque a insegnare a sintonizzare la propria modalità comunicativa con le proprie reali intenzioni emotive.

5. Articolazione e respirazione: per "articolazione" intendiamo una generale tonicizzazione dell'articolatore attivo (lingua) e delle labbra, nonché una sufficiente apertura della bocca. Sufficiente, non eccessiva (troppo spesso si vedono studenti dei corsi di dizione che acquisiscono tensioni e pattern muscolari svantaggiosi in nome di una maggiore "articolazione"). L'articolazione dei fonemi nel parlato non va confusa con quella nel canto: in quest'ultimo, se di stampo pop o comunque moderno, si cerca di rimanere il più vicini possibile al parlato, ma in alcune zone frequenziali sono necessari degli aggiustamenti a livello linguale e laringeo. Per questo motivo guardo con sospetto a tutte quelle metodologie di allenamento vocale per cantanti che puntano ad esagerare l'articolazione tipica del parlato...(ulteriori informazioni in un post futuro..). Lo studio della respirazione nel parlato ha in comune con il canto la ricerca di un efficace accordo pneumofonico, senza pressione aerea eccessiva, nonché di mettere in grado il parlante di articolare frasi lunghe con un solo fiato, se necessario. Nel parlato essa tuttavia assume anche la funzione di stimolo rilassante, il quale rallenta il battito cardiaco e - forse - promuove una posizione laringea rilassata/un po' più bassa tramite il fenomeno del pull tracheale (ipotesi, questa, tutt'ora dibattuta).

6. Risonanza e qualità vocale: il training della voce parlata tende ad impostare una qualità vocale che, a livello spettrografico, presenta un ampio spettro armonico. Ciò è motivato dal fatto che l'intelligibilità di un eloquio è direttamente proporzionale alla quantità degli armonici presenti, specialmente all'interno dell'area al di sotto dei 3000 Hertz circa. Tale qualità vocale è correlata - a livello anatomofisiologico - ad un'ampia superficie di contatto cordale, rippling della mucosa di rivestimento delle pliche e sufficiente contrazione del muscolo vocale. Il tutto senza "costrizioni" dannose a carico della laringe. Spesso si sente far riferimento a questa qualità come "voce di petto", e non manca chi fa mettere la mano sul petto per stimolare questo tipo di risonanza. Non è un caso che la maggior parte delle (belle) voci che sentiamo in radio e nei doppiaggi siano voci profonde e sonore. 

Ognuno può emettere una qualità vocale che risulti da una piena vibrazione delle pliche vocali, ma il risultato acustico (ovvero quanto profonda sarà la voce e quindi quanto possiamo avvicinarci a ipotetici modelli di riferimento radiofonici..) dipenderà in primis dalle dimensioni della laringe e del filtro vocale, caratteristiche cioè legate alla genetica e non modificabili di molto nemmeno con il migliore dei training.



Come in ogni programma di formazione che si rispetti, bisogna individuare le aree di intervento prioritarie e seguire un programma di training giornaliero che sia incrementale e mirato a colmare le lacune individuali. A titolo esemplificativo, sentire qualcuno che parla con un'ortoepia perfetta ma con una voce monotona, stridula e intonazione fortemente regionale fa un po' sorridere.. specialmente se costui si vanta di aver "studiato dizione". Per maggiori informazioni sul training della voce parlata:

domenica 30 agosto 2015

I dieci fraintendimenti più frequenti nel training vocale

Già da molto tempo oramai i didatti del canto e i vocal coach di stampo anglosassone si sono tendenzialmente distaccati dalla tradizione pedagogica che ricorreva ad una serie di immagini soggettive proposte come regole oggettive, la maggior parte delle quali non aveva alcun senso per l'allievo. La soggettività e le proprie sensazioni, il proprio personale ed unico rapporto con il suono nonché le proprie specifiche modalità di apprendimento vanno esplorati e valorizzati, ma è metodologicamente scorretto additare l'individuale esperienza di feedback corporeo come istruzione tecnica definitiva e valida per tutti, confondendo dati oggettivi (la fisiologia) con dati soggettivi (la propriocezione legata all'evento fisiologico) trasformandoli in indicazioni didattiche. Nonostante i passi avanti fatti, alcune espressioni vengono ancora usate e permangono "per tradizione", e spesso gli allievi tendono ancora a confondere determinati concetti con altri o ad interpretare specifiche richieste in modo inappropriato; questo è molte volte chiaramente riscontrabile nel comportamento vocale e fisico derivante dall'applicazione di quelle "regole", che si rivela problematico e frequentemente disfunzionale. La colpa può essere dell'insegnante, il quale non è oggettivo e chiaro nelle istruzioni, oppure dell'allievo, che interpreta male quanto richiestogli (ma se interpreta male vuol dire che l'insegnante non è stato efficiente..), o di entrambi, se non riescono a creare un "rapport" basato sulla comprensibilità e semplicità comunicativa nonché sull'onestà reciproca e sulla precisione lessicale. L'importanza della relazione docente-allievo è anche uno dei motivi per cui nessuno imparerà mai a cantare leggendo un testo.

Ci auguriamo tuttavia che queste coppie di termini e locuzioni varie possano stuzzicare l'intelletto dei cantanti/attori/vocalist e, di lì, possano andare a stimolare la motivazione a ricercare un rapporto più funzionale con il suono (o con il proprio maestro/a).



1. Energia fisica VS spingere più aria

Quando le pliche vocali "vibrano", si aprono e si chiudono un determinato numero di volte. La durata della fase di chiusura è direttamente proporzionale alla pressione che si crea al di sotto della glottide. In termini molto semplici, quando la pressione sottoglottica supera un certo livello, le corde vocali hanno bisogno di essere "aiutate" a gestirla: se il corpo del cantante/vocalist/attore risponde in maniera funzionale (e non è detto che sia così), intervengono allora delle catene muscolari che, stabilizzando l'attività laringea e  controllando il flusso aereo, permettono di realizzare questo exploit vocale che non è "da tutti i giorni". Chi sta vocalizzando, dunque, deve accettare che aumenti l'energia corporea, oppure - se ciò non accade automaticamente - imparare ad aumentarla. Moltissime volte gli allievi pensano tuttavia di dover spingere fuori più aria aumentando il flusso espiratorio, il che - a seconda della qualità vocale utilizzata e dello specifico momento del ciclo espiratorio (...) - può essere molto dannoso per la salute della laringe e comunque non porta quasi mai i risultati sperati. E' fondamentale che ogni utente della voce impari a distinguere queste due attività muscolari.

2. Eutono VS ipotonia


Tutti si saranno sentiti dire almeno una volta nel corso del training vocale che devono "rilassarsi". Quando il lavoro muscolare è eccessivo, esso si espande alle regioni limitrofe e porta a rigidità generalizzata. A quel punto capita spesso che l'allievo se ne accorga (cosa positiva) ma che scelga come soluzione la strada opposta: rilassare tutto. A quel punto "spoggia" (come si direbbe seguendo la "tradizione"), produce una qualità timbrica molto esile e flebile (che potrebbe o meno essere desiderata o desiderabile) e non riesce ad affrontare quei task vocali che richiedono più energia (ad esempio aumentare il volume o superare il cosiddetto "passaggio di registro"). La soluzione sta nel capire dove bisogna immettere l'energia, dove bisogna ridurla, in quali quantità e in quale modalità. Nel momento in cui tutto "funziona" nell'apparato fonorisonatore, la sensazione percettiva sarà di facilità e "rilassatezza".. ma non è la realtà biologica dei fatti, ne è solo il correlato percettivo. Rilassare coscientemente in senso generalizzato conduce molto spesso all' ipotonia, la quale non porta da nessuna parte.

3. Gola libera VS gola aperta


Qui il problema sta in primis nel termine apparentemente innocuo "gola". Si tratta infatti di un vocabolo non tecnico che si potrebbe riferire alla cavità orale, alla rinofaringe, all'orofaringe, all'ipofaringe, alla laringe, al vestibolo laringeo, all'altezza della laringe nel collo, alla posizione del velo palatino, alla posizione della lingua... E poi cosa indica effettivamente l'aggettivo "aperta"? Significa "larga"? Il problema più comune legato a tale concetto è riscontrabile in zona frequenziale acuta. Spesso l'allievo ha "imparato" che deve allargare il più possibile la "gola" (bocca, cavità orale, tubo faringeo) proprio in acuto. Ma la fisiologia va in un'altra direzione, prevedendo - al salire degli Herz - un parziale accorciamento e restringimento del "tubo vocale" finalizzato ad un più efficiente aggiustamento laringeo e risonanziale in assenza del quale la nota acuta può essere raggiunta (in modo grossolano, impreciso e spesso dannoso) solo con una maggiore spinta d'aria.

4. Laringe mobile VS laringe instabile

Una laringe sana è una laringe che si muove e si aggiusta a seconda della frequenza e dell'intensità che desidera produrre. Non nel momento in cui sta producendo un suono fisso, però; qui parliamo di preparazione all'emissione. Una volta che la laringe ha assunto la posizione più funzionale ed adatta al task che si prepone il cantante/attore, essa deve essere stabilizzata. Stabilizzata, non "fissata" in quella posizione per tutto il tempo della performance. E' possibile contenere l'escursione verticale della laringe - molti cantanti d'opera studiano anni per farlo - ma non è auspicabile la letterale fissazione in un punto unico e rigidamente definito. Analogamente non è desiderabile - ed è sintomo di voce non allenata - l'instabilità dell'emissione.

5. Pronuncia avanti VS suono avanti

"Mandare il suono in avanti" può essere una percezione soggettiva di guida molto accurata, ma solo nel momento in cui chi canta/parla ha compreso che è l'efficacia della produzione vocale a livello laringeo e una precisa condizione degli organi che compongono il tratto vocale che la causa. Accade spesso che l'allievo che si sente dire di "mandare il suono in avanti" faccia una serie di cose alquanto bizzarre o addirittura nocive al fine di ottenere questo agognato "suono in maschera" che non riesce a percepire: spinge notevoli quantità di aria, nasalizza o "schiaccia" eccessivamente il timbro, altera la postura cervicale spostando in avanti o indietro il mento, etc. Altra cosa è spostare in avanti la pronuncia, azione che si basa su una posizione della lingua che permette - tramite un'apertura della zona epilaringea - una maggiore libertà di movimento della laringe, in aggiunta ad un aumento della brillantezza del suono.

6. Suono più forte "internamente" VS suono più forte "esternamente"

Quando viene chiesto ad un allievo di emettere un suono più forte, spesso (oltre a spingere troppa aria, alterare in senso disfunzionale la postura ecc.)  tende a realizzare un suono che egli percepisce come più forte/risonante dal "di dentro". Non è assolutamente detto che dal di fuori (ovvero all'orecchio dell'ascoltatore) il suono sia più forte.. spesso si sente non una voce più forte, bensì una voce "ingrossata", spinta, che "non corre", grossolana e rozza. Lo studente tende anche a dimenticare che - a parità di intensità - l'orecchio umano percepisce i suoni acuti come più " in forte" rispetto a quelli gravi (basta consultare il famoso grafico conosciuto come "Diagramma di uguale intensità sonora"/"Audiogramma di Fletcher-Munson per avere un riferimento scientifico"). La conseguenza è che invece di emettere acuti più "in piano" rispetto ai gravi (il che causerebbe nell'ascoltatore la percezione di uniformità dell'intensità nel passaggio dai gravi agli acuti), l'allievo tende a spingere le frequenze più elevate con tutti gli aspetti deleteri a questo legati.

7. Contrazione del retto dell'addome VS appoggio del suono

L'appoggio del suono è molto spesso citato nei testi sul canto e sulla voce come qualcosa di sacro, religioso e vago: tutti sanno che cos'è ma nessuno è preciso in riferimento a dove esso venga realizzato, come, a che fine (cosa appoggiamo quando appoggiamo la voce?), quale sia il feedback percettivo del suo corretto utilizzo e, soprattutto, come si possa insegnare efficacemente. Rimandiamo ad un altro post futuro la discussione sull'appoggio della voce (se appartieni alla scuola che associa l'appoggio alla respirazione, leggi questo post), ma mettiamo fin da subito in risalto che l'appoggio non è una mera e grossolana contrazione del retto dell'addome. Tale movimento muscolare (nonostante avvenga automaticamente e fisiologicamente in misura maggiore o minore in determinate zone del ciclo espiratorio e in corrispondenza degli estremi dell'estensione) non fa che aumentare la pressione e - tramite una connessione nervosa filogeneticamente e ontogeneticamente antica e ben radicata - causa costrizione e potenziali danni vocali, temporanei o permanenti. Leggi quest'articolo per maggiori dettagli.

8. Instabilità VS vibrato naturale

Ogni suono presente in natura ha un suo vibrato. In alcuni generi musicali il vibrato è fondamentale per la valutazione della qualità della voce, in altri meno, in altri ancora esso è tabù. Alcune voci esibiscono più di altre un vibrato naturale, che può essere voluto o meno. Un buon vibrato è riconoscibile dal numero di pulsazioni al secondo (5 o 6), nonché da una qualità "rotonda" che deriva dalla fluttuazione a livello di intensità, in aggiunta alla variazione frequenziale. Accade che certi allievi interpretino erroneamente il nascere del vibrato come instabilità; accade altresì il contrario, ovvero che alcuni allievi, nel tentativo di produrre un vibrato che non posseggono, producano un suono instabile (con pulsazioni inferiori o superiori a 5/6 al secondo e/o con irregolarità generalizzata delle stesse in aggiunta ad un'escursione tonale troppo elevata). Alcune voci rifiutano invece il loro vibrato naturale e adottano una serie di comportamenti compensatori che irrigidiscono eccessivamente il corpo e la vocalizzazione stessa.

9. Suoni sfiatati o urlati VS intensità emotiva

Molto di frequente i giovani cantanti e attori si "affezionano" ad una modalità interpretativa o di emissione e tendono ad adottarla ogni qual volta sentono di dover comunicare emozione ed emotività. Nessuno nega che ci sia un posto per i suoni sfiatati e per gli "urlati" (se eseguiti con coscienza tecnica e senza esagerare) sulla "tavolozza" dell'artista; il problema nasce quando queste diventano le uniche scelte possibili e/o ricorrenti. A quel punto diventa spesso irritante e all'ascoltatore/allo spettatore la performance appare falsa e pure puerile. La ricerca interpretativa non si può fermare al falsetto e all'urlo. L'artista deve esplorare tutte le sfumature, tentare varie strade e non fermarsi mai a ciò che già conosce.

10. Problema tecnico VS problema "istologico"

Una difficoltà vocale, transitoria o permanente, non è necessariamente dovuta a incompetenza tecnica. A volte vi è un'alterazione organica delle pliche vocali o del tratto vocale che può essere conseguente ad alterazioni ormonali (ad esempio nei giorni precedenti il ciclo mestruale), disidratazione, cambi di alimentazione, agenti patogeni (malattie stagionali), allergie, malmenage o surmenage (uso improprio o troppo prolungato dello strumento, anche in contesti quotidiani, al di fuori delle performance), patologia da reflusso gastro-esofageo, lesione della superficie cordale- congenita o acquisita. Lo strumento vocale umano è soggetto ad ogni tipo di stress ("endogeno" od "esogeno"), per cui a volte risulta necessario avere compassione per se stessi e riconoscere che - a prescindere dall'impegno e dalla quantità di studio - ci saranno giorni in cui la voce sarà più in forma e altri in cui sembrerà abbandonarci. Non bisogna nemmeno sconfinare nell'ipocondria però, convincendosi di avere contratto gravi patologie non appena arriva un raffreddore o un abbassamento di voce. In caso di dubbi "sani", ovvero quando il problema è persistente e non sembra migliorare, si ricorrerà ad un controllo medico con uno specialista.

martedì 25 agosto 2015

Insegnanti d'eccezione: gli animali (per attori e vocalist)



 In ambito attoriale è molto diffuso lo studio degli animali. Esso comprende sia un'analisi di tipo "intellettuale" (lettura di libri specifici, visione di documentari e video sull'animale in questione) che l'osservazione diretta. Lo scopo è la comprensione del punto di vista dell'animale scelto e la riproduzione del suo comportamento (andatura, uso dei sensi, strategie cognitive e modalità di interazione con la realtà). Tutto questo potrebbe sembrare puerile, ma si tratta invece di un'esperienza dall'elevato valore didattico che può fornire materiale da usare nella caratterizzazione di un personaggio, ampliando la palette di scelte artistiche di cui dispone l'artista. 



James Dean investì molto tempo nello studio meticoloso dei gatti: vale la pena (ri)vedere l'epico pugno di Cal Trask (Dean) a suo fratello Aron (Richard Davalos) nel film East of Eden, prestando attenzione alla straordinaria fisicità dell'attore.




Marlon Brando disse di aver tratto spunto da un esercizio di "mimesi" con i gorilla per dar vita all'anziano Don Corleone ne Il Padrino.

                               
        

Anche Jason Patric nel film After Dark My Sweet (di James Foley), basato su un romanzo di Jim Thompson, è un eccellente esempio di efficace trasferimento di tratti animali ad un personaggio. Osservate con attenzione l'ingresso del personaggio principale, nella scena nel deserto. L'esercizio specifico, per chi volesse provarlo, prevede che l'attore si ponga inizialmente il seguente quesito: Quale animale ricorda il personaggio del monologo/testo teatrale in questione?Deve poi raccogliere il maggior numero possibile di informazioni su questo, osservarlo se possibile dal vivo, scoprire in che parte del corpo si trovano i muscoli più poderosi, come caccia e come si difende, quali sono le sue abitudini fisiche, come si muove/mangia/gioca/(...). Esplorando la realtà dell'animale in questione l'attore potrà così selezionare aspetti da trasferire alla fisicità del personaggio.

Ma l'osservazione e la riproduzione dei comportamenti animali trova posto anche nella formazione vocale. La prima ovvia motivazione è che l'imitazione dei vari versi e "posture" è una scorciatoia per la scoperta di numerose qualità vocali che forse non si usano abitualmente. Spesso imitare un suono è più facile di tentare di riprodurre istruzioni anatomiche dettagliate: dopotutto, impariamo prevalentemente per imitazione. Non si tratta solo di trovare timbri particolari; anche questioni tecniche possono trarre vantaggio da questo gioco/studio di imitazione faunistica (ad esempio, accade molto spesso che un allievo inizi a capire cosa significa "passaggio" nella voce quando imita il miagolio di un gatto..).



Anche la riproduzione della posizione e dell'andatura animale ha valore didattico. Cantare a pancia in giù come un rettile o appesi al ramo di un albero come un primate... sono tutte esperienze corporeo-vocali che "insegnano" al corpo e alla voce qualcosa di nuovo e vanno valorizzate.


Tralasciamo volutamente per esigenze di spazio e di complessità il valore "neurologico" di tali esperienze corporee e vocali, legate alla famosa teoria del "cervello tripartito"..



Ma è a livello psicologico che l'esercizio dà i maggiori benefici. E' infatti frequentemente difficile, per molti allievi, produrre suoni differenti rispetto alla loro abituale modalità di parlare/cantare o al loro modello fonatorio in generale. L'ostacolo è una reticenza psicologica legata all'immagine di se stessi, alla timidezza e all'insicurezza. L'imitare un animale fa sì che l'allievo si stacchi, anche se momentaneamente, dall'idea di "canto" o di "valutazione qualitativa" di sé e della propria vocalità, e "osi" provare soluzioni diverse, perché il "gioco" protegge l'autostima. 

Il senso del gioco è fondamentale nell'apprendimento, soprattutto nello sviluppo artistico: troppo spesso le lezioni tendono a cadere nel tecnicismo e verbosità magari fini a se stessi. Perché allora non fare un giro al parco o allo zoo? Non sarà una lezione"ortodossa" ma sarà sicuramente efficace e divertente.