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lunedì 17 ottobre 2016

La voce del gender: Hillary Clinton, uomini, donne e LGBT





Associazioni all'apparenza azzardate e argomenti scomodi. Ma leggete bene e capirete.

Disclaimer: con il presente post, non è nostra intenzione esprimere idee politiche né operare discriminazioni nei confronti di alcuna cultura, identità di genere, orientamento sessuale delle persone. E' nostra convinzione che qualsiasi richiesta di "makeover" vocale possa essere accolta se sensata e non imposta dall'esterno. Dal nostro punto di vista, non c'é alcunché di "sbagliato" o "da correggere" in alcuna abitudine vocale/accento/comportamento, a meno che non siano presenti disfunzionalità o patologie, a patto che sia il cliente stesso a richiederlo e che tale richiesta non rifletta conflittualità interne di pertinenza psicologica o psicoterapeutica.

La psicologia sociale insegna che il processo decisionale di un individuo - a seconda delle circostanze, del tempo e delle informazioni a disposizione - può seguire due percorsi cognitivi distinti: la via "centrale", oppure la via "periferica". La via "centrale" prevede un'analisi razionale dei fattori e delle variabili inerenti la scelta; la via "periferica" consta, al contrario, di "euristiche" o "scorciatoie cognitive" su cui si basa la persona per prendere una decisione. Questo i politici lo sanno da tempo: risulta fondamentale tenere sotto controllo la propria self-presentation, curandone tutti i particolari, in quanto molti elettori - ignoranti in materia politica ed economica - tenderanno più o meno subconsciamente a ricorrere ad impressioni, sensazioni "a pelle", e all'istinto (via periferica) al momento di esprimere una preferenza nelle urne. Non è certo un segreto che i vari politicanti si avvalgano di consulenti d'immagine, truccatori, coach di vario tipo (anche vocal coach, certo), ghost writer etc. al fine di ottenere quell'immagine vincente che possa essere funzionale al ruolo e strappare più voti possibili agli elettori più "naïf".

 Lampante è certamente il caso americano, con i dibattiti presidenziali di questi giorni che sembrano più spettacoli di "infotainment" o, come direbbe qualcuno più audace forse di chi scrive, dei meri "puppet shows". La propaganda politica è lontana dagli scopi di questo blog, nonché dalla mia sfera di interessi (anche se mi auguro che i lettori appartengano a quel gruppo di persone che raccoglie informazioni e segue la "via centrale" prima di esprimere opinioni che riguardano il futuro del loro paese), e vorrei mettere in chiaro che quanto sarà detto a riguardo di determinate personalità politiche o altre categorie di persone all'interno di questo post non rappresenta un "endorsement" né una condanna, semmai una sorta di raccolta di "case studies" che possano stimolare l'interesse di chi legge e, magari, fornire informazioni che possano essere utili a qualcuno.

Veniamo quindi al punto: Hillary Clinton. Il candidato democratico alla White House viene molto spesso criticato (molto probabilmente da chi tende a preferire la via "periferica") per la voce. Credo, a riguardo, che i detrattori della Clinton usino il termine "voce"  in maniera un po' imprecisa, per descrivere de facto una più ampia serie di fenomeni vocali e linguistici (pronuncia, prosodia, accento, intonazione, pragmatica...). 


La stessa Clinton ne è pienamente cosciente, innanzitutto perché - vista la sua capacità di "adattamento linguistico" a seconda del target cui si rivolge - ha probabilmente una buona competenza e controllo vocale/linguistico (vedasi il mutare delle caratteristiche fonologiche del suo accento in diversi momenti della sua carriera politica), ma anche come dimostra quanto lei stessa ha dichiarato qualche tempo fa:

“I’m not Barack Obama. I’m not Bill Clinton. Both of them carry themselves with a naturalness that is very appealing to audiences. But I’m married to one and I’ve worked for the other, so I know how hard they work at being natural. It’s not something they just dial in. They work and they practice what they’re going to say. It’s not that they’re trying to be somebody else. But it’s hard work to present yourself in the best possible way. You have to communicate in a way that people say: ‘OK, I get her.’ And that can be more difficult for a woman. Because who are your models? If you want to run for the Senate, or run for the Presidency, most of your role models are going to be men. And what works for them won’t work for you. Women are seen through a different lens. It’s not bad. It’s just a fact. It’s really quite funny. I’ll go to these events and there will be men speaking before me, and they’ll be pounding the message, and screaming about how we need to win the election. And people will love it. And I want to do the same thing. Because I care about this stuff. But I’ve learned that I can’t be quite so passionate in my presentation. I love to wave my arms, but apparently that’s a little bit scary to people. And I can’t yell too much. It comes across as ‘too loud’ or ‘too shrill’ or ‘too this’ or ‘too that.’ Which is funny, because I’m always convinced that the people in the front row are loving it.”

Quello che Hillary cerca di dire, e ciò che in effetti si può estrapolare leggendo i commenti di chi la critica per la sua modalità comunicativa, è che il suo modo di comunicare (verbale e non) può venire percepito come "gender inappropriate". Chiaramente, la Clinton non usa qui il termine "gender", anche perché - come sa bene chi segue gli sviluppi sociali ed antropologici della civiltà umana - parlare di "gender" e di/VS "sex" significa innescare diatribe che risulterebbero controproducenti a questo punto della corsa per la Casa Bianca. Visto che chi scrive ha però usato tale termine, mi si permetta soltanto di esplicare, per chi non avesse dimestichezza con il concetto, che con "gender" si intende qui una serie di aspettative che la società ha in riferimento ad un determinato sesso biologico. Aspettative in merito a vari aspetti della personalità e del comportamento nonché della vita stessa: la posizione lavorativa; la scelta dell'abbigliamento; il ruolo ed il potere sociale; il modo di usare il corpo, il linguaggio, la comunicazione e quindi la voce. Non so se la Clinton abbia ragione a pensarla così, se sia sincera o se le parole sopra riportate siano piuttosto uno stratagemma comunicativo (certamente efficace) per invitare gli elettori a prendere una via più "centrale" alle urne, facendola apparire al tempo stesso "più umana" e "meno fredda", trasformando quindi dei "difetti" (di immagine) in virtù politica.


Sta di fatto , però, che in alcuni casi la sua vocalità, gestualità e stile comunicativo si sono allontanati considerevolmente dallo stereotipo dell'American Woman. E allontanarsi dallo stereotipo, per ragioni probabilmente legate all'evoluzione e alle modalità di cognizione umane, è percepito come "fattore di disturbo", specie da chi non è stato condizionato (tramite istruzione diretta o indiretta o per esposizione) a restare in guardia dai tranelli che la mente ci riserva (il processo di stereotipizzazione stesso). 


Qualche settimana fa mi è capitato di vedere un documentario, suggeritomi da un collega SLP statunitense (l'equivalente americano del logopedista, seppur con alcune differenze nel curriculum di studio e nelle effettive mansioni svolte) che ha risollevato lo stesso tema della stereotipizzazione. Si tratta di "Do I sound gay?", di David Thorpe.


Il protagonista, quarantenne recentemente tornato single, si propone inizialmente di cambiare la sua voce, che percepisce come "troppo gay" e ritiene essere la causa o la concausa di alcuni fallimenti in ambito sentimentale, e della conseguente bassa autostima. Si rivolge quindi ad alcuni SLP, voice coach e linguisti per tentare di risolvere il "problema" che lo assilla, mentre contemporaneamente intraprende un viaggio di ricerca psicologica per scovare le cause prima della sua "gay voice", e poi anche del suo disgusto per questa specifica modalità fonatorio-comunicativa. 

Quest'ultima parte occupa gran parte della pellicola, ragion per cui non l'ho trovata particolarmente interessante, ma solo perché - per deformazione professionale - avrei preferito che vi fosse un approfondimento più di natura foniatrica-fonetica. Ma mi rendo conto che un tale approccio avrebbe reso il documentario poco interessante per il "grande pubblico" e, soprattutto, per il target a cui principalmente si rivolge (la comunità LGBT). La principale ragione per cui ho visionato il video, però, è un'altra: mi è capitato molto spesso, in USA ma anche in Italia, di lavorare con clienti che richiedono - direttamente o velatamente - una "mascolinizzazione" o "femminilizzazione" della voce. Parlo qui di individui cisgender (ovvero a proprio agio con il genere a loro "assegnato alla nascita", come riporta la definizione di Wikipedia), eterosessuali o omosessuali. A questi si aggiunge l'altra porzione di clienti transgender, FTM e MTF, che hanno delle necessità più ovvie dal punto di vista vocale e comunicativo. 
Specialmente nel caso delle persone cisgender, il primo approccio è sempre molto cauto: è importante, dal mio punto di vista, che siano coscienti del fatto che stanno richiedendo, in un certo senso, di "allontanarsi da sé" e "avvicinarsi ad uno stereotipo". E' questo ciò che vogliono realmente? Nel caso di persone omosessuali, il desiderio di cambiare "voce" è motivato e funzionale, oppure nasconde un disprezzo di sé e un' egodistonia che dovrebbero essere oggetto di attenzione psichiatrica o psicologia? Questi non sono ambiti di mia competenza professionale, ma è importante - a mio parere - considerare tali questioni prima di intraprendere dei percorsi di modifica vocale e comportamentale che si potrebbero rivelare controproducenti. Spiego sempre ai miei allievi/clienti, inoltre, che non si tratta necessariamente di cambiare modalità in ogni contesto e senza possibilità di ritorno, bensì di acquisire una nuova competenza (come quando si impara una lingua straniera) che può essere usata quando si vuole, intervallandola con altre modalità (code-switching) o adottandola come unica per stadi progressivi e graduati, sempre nel rispetto dell'igiene vocale e della psicologia individuale. Per quanto riguarda la "voce gay", la mia "working theory" è che essa sia semplicemente una modalità comunicativa comprendente dei tratti stereotipicamente associati al genere femminile (ovviamente, se il parlante è una donna, allora vale il contrario). Ma non esiste una vera e propria "voce gay", in  quanto vi sono numerosi maschi eterosessuali che presentano dei tratti fonologici/vocali associati al genere femminile, così come vi sono donne che fanno uso abbondante di tratti comunicativi stereotipicamente maschili (come nel caso della Clinton). E' importante porsi di fronte alle richieste del cliente un po' come fa (o dovrebbe fare) il chirurgo estetico in colloquio con un paziente: la richiesta è sensata? Il paziente sarà soddisfatto a risultato ottenuto oppure soffre di un disturbo di dismorfismo corporeo (o vocale) che necessita di un intervento psicoterapeutico? Spero di non apparire pedante e ripetitivo, ma credo che quando si ha a che fare con la voce e la comunicazione di una persona, si ha a che fare con l'immagine di sé e con l'identità dell'individuo, per cui è necessaria massima cautela, chiarezza, apertura e rispetto.


Veniamo quindi al vero argomento di questo post: le caratteristiche stereotipiche della voce maschile e femminile. Chi richiede una mascolinizzazione o una femminilizzazione vocale ritiene, erroneamente, che si tratti essenzialmente di abbassare o innalzare la frequenza fondamentale. Questo, invece, è solo uno dei tanti ambiti su cui si può lavorare, ma non certo l'unico. Vediamo nel loro insieme quali sono le aree di intervento:

-Frequenza

-Risonanza e timbro

-Intonazione

-Velocità d'eloquio

-Volume/Intensità

-Sintassi

-Scelta lessicale

-Pragmatica

-Articolazione

-Igiene vocale: è molto facile che questi clienti acquisiscano abitudini vocali scorrette nel tentativo di emulare modelli troppo lontani dalle possibilità del loro strumento, sviluppando patologie foniatriche quali la disfonia da tensione muscolare o vere e proprie lesioni cordali.

-Comunicazione non verbale

-Modalità di trasferimento del nuovo "codice" nella vita quotidiana

-La voce nel canto (se l'individuo che richiede una consulenza è anche cantante).

Cercherò ora di approfondire, seppur brevemente, i vari punti sovra esposti, cercando di mantenere una prospettiva linguisticamente "universale". Ogni persona, infatti, rappresenta un caso a sé, e ciò che è considerato "gender-appropriate" (termine politicamente poco corretto, forse dovremmo dire "conforme allo stereotipo di genere") dipende dalle variazioni su quello che in sociolinguistica si chiama "asse diatopico, diastratico, diafasico e diamesico" (dove siamo? quale classe sociale? quale contesto comunicativo? quale mezzo comunicativo?). A titolo esemplificativo, un costante "uptalk", ovvero un'intonazione interrogativa laddove si dovrebbe usare una struttura intonativa conclusiva, è sì un tratto stereotipicamente femminile, ma è anche una caratteristica di alcuni dialetti settentrionali.


-Frequenza fondamentale: Andrews (1999) ha appurato che la donne parlano mediamente con una frequenza fondamentale di 220Hz (± 20 Hz); i maschi, al contrario, parlano un'ottava sotto (120 Hz, ± 20 Hz). La scelta più salutare (ed esteticamente più gradevole, non "caricaturale"), generalmente, per gli individui transgender, è quella di puntare ad un range in cui la percezione del genere da parte dell'ascoltatore è "ambigua" (ovvero tale per cui non si riesca a stabilire, basandosi esclusivamente sulla frequenza usata, se chi parla è un uomo o una donna) che si situa all'incirca tra i 150 e i 185Hz. La voce stereotipicamente maschile usa meno variazioni tonali rispetto a quella femminile.

-Risonanza e timbro: le pliche vocali nella voce femminile tendono ad essere più sottili (per ragioni anatomico-endocrinologiche) ma anche ad essere usate in una condizione più assottigliata rispetto a quello che avviene nella voce tipicamente maschile. Spesso è presente, nella voce femminile, una componente di ariosità (a volte patologica, o comunque si tratta di una condizione predisponente a patologie vocali, per cui attenzione!). Tale condizione glottale influenza la pressione sottoglottica ed il timbro vocale. Usando una terminologia un po' obsoleta, si potrebbe dire che la voce maschile è più "di petto", quella femminile "di testa" (in realtà questi ultimi sono termini che non uso quasi mai nella didattica, ma possono essere utili per qualche lettore). La voce stereotipicamente femminile tende a pronunciare le vocali più "avanti", quella maschile più "indietro". In realtà, però, non si tratta tanto di posture della lingua, quanto di effettivo spazio oro-buccale (maggiore nell'uomo). Ma la posizione della lingua può certamente simulare o dissimulare lo spazio anatomico relativo allo stereotipo sopra descritto. Lo stesso discorso vale per la posizione della laringe nel collo (tendenzialmente più bassa per una voce tipicamente maschile).

-Intonazione: le donne tendono ad usare variazioni intonative (frequenziali) per evidenziare le parole chiave del discorso, mentre gli uomini tendenzialmente fanno a tal scopo un uso maggiore delle variazioni d'intensità (è una delle cose che fa anche Hillary Clinton). Le donne tendono ad usare più "uptalk", gli uomini una struttura prosodica più dichiarativa, conclusiva.

-Velocità d'eloquio: nella conversazione quotidiana (non  di carattere "specialistico"), gli uomini tendono a parlare più velocemente delle donne (!). Ciò è in parte dovuto al fatto che nella parlata stereotipata femminile, alcuni fonemi - specialmente le vocali ed i dittonghi - vengono allungati. Inoltre, gli uomini tendono a parlare con un ritmo abbastanza costante, mentre le donne si esprimono spesso con "agglomerati linguistici" intervallati da una pausa (Norton, 2000).

-Volume/Intensità: generalmente gli uomini hanno un'intensità vocale superiore a quella femminile. L'intensità vocale/volume è generalmente associata a potere e sicurezza.

-Sintassi: le differenze, troppo numerose per essere enumerate comprensivamente, riguardano l'uso della paratassi e dell'ipotassi (subordinazione), l'uso di determinati avverbi e congiunzioni, la posizione degli stessi, l'utilizzo di espressioni che addolciscono il discorso e la posizione espressa, un maggiore o minore livello di educazione e cortesia (politeness), etc.

-Lessico: le scelte lessicali riflettono lo stereotipo delle aree di competenza. Nel caso delle donne, quindi: psicologia, arte, frutta, verdura, mobili... Per gli uomini: il campo semantico degli attrezzi, utensili e componenti elettroniche, minore uso di aggettivi qualificativi ed avverbi, maggior uso di linguaggio taboo e scurrile... Ricordiamo che si tratta di stereotipi che non è nostra intenzione perpetuare, ma allo stesso tempo tali ipergeneralizzazioni hanno un correlato reale (cfr le ricerche di Albanese et al, 2000; Capitani et al., 1999; Schulz, 1975; Coates, 2004; Lakoff, 1975).

-Pragmatica: gli uomini tendono a comunicare al fine di stabilire una gerarchia o di acquisire informazioni, mentre le donne ricercano consenso e condividono pensieri e sentimenti. Gli uomini tendono a fare meno domande per timore di trasmettere incompetenza, le donne generalmente sono più espressive, ...

-Articolazione: le donne tendono a produrre vocali più lunghe degli uomini; l'attacco dei suoni tende ad essere meno deciso nelle donne rispetto agli uomini; i maschi hanno uno stile più "staccato", le femmine più "legato"; le donne tendono a pronunciare le consonanti con più precisione rispetto agli uomini, ma il contatto tra gli articolatori risulta essere più delicato; la protrusione labiale (nei fonemi che lo prevedono) e l'abbassamento mandibolare tendono ad essere più pronunciati nelle donne, ...

-Comunicazione non verbale: si registrano differenze nella cinetica (movimenti corporei), nelle proprietà del contatto interpersonale, nella prossemica, nel contatto visivo, nell'olfatto, nel modo di porsi (postura) e di muoversi (camminata, gestualità), nella concezione (e gestione)del tempo...


Lo spazio del blog e le risorse attentive umane mi impongono di concludere il presente post, che non vuole di certo essere esauriente ed esaustivo. Tengo a sottolineare, ancora una volta, che i tratti sopra descritti non sono normativi, ma rappresentano (seppure con varianti tra una cultura e l'altra) i prototipi del genere maschile e femminile. Ogni persona, poi, è un caso a sé, e un cambiamento appropriato per un individuo potrebbe non esserlo per un altro. Ecco perché è fondamentale il rapporto con il coach e, soprattutto, l'accoglienza e l'onestà. E, prima di iniziare un percorso di cambiamento (vocale), bisogna imparare ad accettare sempre e comunque se stessi.

Per maggiori informazioni: http://www.dynamicalvoice.com/MTF.html