Associazioni all'apparenza azzardate e argomenti scomodi. Ma leggete bene e capirete.
Disclaimer: con il presente post, non è nostra intenzione esprimere idee politiche né operare discriminazioni nei confronti di alcuna cultura, identità di genere, orientamento sessuale delle persone. E' nostra convinzione che qualsiasi richiesta di "makeover" vocale possa essere accolta se sensata e non imposta dall'esterno. Dal nostro punto di vista, non c'é alcunché di "sbagliato" o "da correggere" in alcuna abitudine vocale/accento/comportamento, a meno che non siano presenti disfunzionalità o patologie, a patto che sia il cliente stesso a richiederlo e che tale richiesta non rifletta conflittualità interne di pertinenza psicologica o psicoterapeutica.
La
psicologia sociale insegna che il processo decisionale di un individuo - a
seconda delle circostanze, del tempo e delle informazioni a disposizione - può
seguire due percorsi cognitivi distinti: la via "centrale", oppure la
via "periferica". La via "centrale" prevede un'analisi
razionale dei fattori e delle variabili inerenti la scelta; la via
"periferica" consta, al contrario, di "euristiche" o
"scorciatoie cognitive" su cui si basa la persona per prendere una
decisione. Questo i politici lo sanno da tempo: risulta fondamentale tenere
sotto controllo la propria self-presentation, curandone tutti i particolari, in
quanto molti elettori - ignoranti in materia politica ed economica - tenderanno
più o meno subconsciamente a ricorrere ad impressioni, sensazioni "a
pelle", e all'istinto (via periferica) al momento di esprimere una
preferenza nelle urne. Non è certo un segreto che i vari politicanti si
avvalgano di consulenti d'immagine, truccatori, coach di vario tipo (anche
vocal coach, certo), ghost writer etc. al fine di ottenere quell'immagine
vincente che possa essere funzionale al ruolo e strappare più voti possibili
agli elettori più "naïf".
Lampante è
certamente il caso americano, con i dibattiti presidenziali di questi giorni
che sembrano più spettacoli di "infotainment" o, come direbbe
qualcuno più audace forse di chi scrive, dei meri "puppet shows". La
propaganda politica è lontana dagli scopi di questo blog, nonché dalla mia
sfera di interessi (anche se mi auguro che i lettori appartengano a quel gruppo
di persone che raccoglie informazioni e segue la "via centrale" prima
di esprimere opinioni che riguardano il futuro del loro paese), e vorrei
mettere in chiaro che quanto sarà detto a riguardo di determinate personalità
politiche o altre categorie di persone all'interno di questo post non
rappresenta un "endorsement" né una condanna, semmai una sorta di raccolta
di "case studies" che possano stimolare l'interesse di chi legge e,
magari, fornire informazioni che possano essere utili a qualcuno.
Veniamo quindi al
punto: Hillary Clinton. Il candidato democratico alla White House viene molto
spesso criticato (molto probabilmente da chi tende a preferire la via
"periferica") per la voce. Credo, a riguardo, che i detrattori della
Clinton usino il termine "voce" in maniera un po' imprecisa, per descrivere de
facto una più ampia serie di fenomeni vocali e linguistici (pronuncia,
prosodia, accento, intonazione, pragmatica...).
La stessa Clinton
ne è pienamente cosciente, innanzitutto perché - vista la sua capacità di
"adattamento linguistico" a seconda del target cui si rivolge - ha
probabilmente una buona competenza e controllo vocale/linguistico (vedasi il mutare delle caratteristiche fonologiche del suo accento in diversi momenti della sua carriera politica), ma anche come dimostra quanto
lei stessa ha dichiarato qualche tempo fa:
“I’m not Barack Obama. I’m not Bill Clinton. Both
of them carry themselves with a naturalness that is very appealing to
audiences. But I’m married to one and I’ve worked for the other, so I know how
hard they work at being natural. It’s not something they just dial in. They
work and they practice what they’re going to say. It’s not that they’re trying
to be somebody else. But it’s hard work to present yourself in the best
possible way. You have to communicate in a way that people say: ‘OK, I get
her.’ And that can be more difficult for a woman. Because who are your models?
If you want to run for the Senate, or run for the Presidency, most of your role
models are going to be men. And what works for them won’t work for you. Women
are seen through a different lens. It’s not bad. It’s just a fact. It’s really
quite funny. I’ll go to these events and there will be men speaking before me,
and they’ll be pounding the message, and screaming about how we need to win the
election. And people will love it. And I want to do the same thing. Because I
care about this stuff. But I’ve learned that I can’t be quite so passionate in
my presentation. I love to wave my arms, but apparently that’s a little bit
scary to people. And I can’t yell too much. It comes across as ‘too loud’ or
‘too shrill’ or ‘too this’ or ‘too that.’ Which is funny, because I’m always
convinced that the people in the front row are loving it.”
Quello che
Hillary cerca di dire, e ciò che in effetti si può estrapolare leggendo i
commenti di chi la critica per la sua modalità comunicativa, è che il suo modo
di comunicare (verbale e non) può venire percepito come "gender
inappropriate". Chiaramente, la Clinton non usa qui il termine "gender",
anche perché - come sa bene chi segue gli sviluppi sociali ed antropologici
della civiltà umana - parlare di "gender" e di/VS "sex"
significa innescare diatribe che risulterebbero controproducenti a questo punto
della corsa per la Casa Bianca. Visto che chi scrive ha però usato tale
termine, mi si permetta soltanto di esplicare, per chi non avesse dimestichezza
con il concetto, che con "gender" si intende qui una serie di
aspettative che la società ha in riferimento ad un determinato sesso biologico.
Aspettative in merito a vari aspetti della personalità e del comportamento
nonché della vita stessa: la posizione lavorativa; la scelta
dell'abbigliamento; il ruolo ed il potere sociale; il modo di usare il corpo,
il linguaggio, la comunicazione e quindi la voce. Non so se la Clinton abbia
ragione a pensarla così, se sia sincera o se le parole sopra riportate siano piuttosto uno
stratagemma comunicativo (certamente efficace) per invitare gli elettori a
prendere una via più "centrale" alle urne, facendola apparire al
tempo stesso "più umana" e "meno fredda", trasformando quindi dei "difetti" (di immagine) in virtù politica.
Sta di fatto ,
però, che in alcuni casi la sua vocalità, gestualità e stile comunicativo si
sono allontanati considerevolmente dallo stereotipo dell'American Woman. E
allontanarsi dallo stereotipo, per ragioni probabilmente legate all'evoluzione
e alle modalità di cognizione umane, è percepito come "fattore di
disturbo", specie da chi non è stato condizionato (tramite istruzione
diretta o indiretta o per esposizione) a restare in guardia dai tranelli che la
mente ci riserva (il processo di stereotipizzazione stesso).
Qualche settimana
fa mi è capitato di vedere un documentario, suggeritomi da un collega SLP
statunitense (l'equivalente americano del logopedista, seppur con alcune
differenze nel curriculum di studio e nelle effettive mansioni svolte) che ha
risollevato lo stesso tema della stereotipizzazione. Si tratta di "Do I
sound gay?", di David Thorpe.
Il
protagonista, quarantenne recentemente tornato single, si propone inizialmente
di cambiare la sua voce, che percepisce come "troppo gay" e ritiene
essere la causa o la concausa di alcuni fallimenti in ambito sentimentale, e della conseguente bassa autostima. Si rivolge quindi ad alcuni SLP, voice coach e linguisti per
tentare di risolvere il "problema" che lo assilla, mentre contemporaneamente intraprende un
viaggio di ricerca psicologica per scovare le cause prima della sua "gay
voice", e poi anche del suo disgusto per questa specifica modalità
fonatorio-comunicativa.
Quest'ultima parte occupa gran parte della pellicola, ragion per cui non l'ho trovata particolarmente interessante, ma solo perché - per deformazione professionale - avrei preferito che vi fosse un approfondimento più di natura foniatrica-fonetica. Ma mi rendo conto che un tale approccio avrebbe reso il documentario poco interessante per il "grande pubblico" e, soprattutto, per il target a cui principalmente si rivolge (la comunità LGBT). La principale ragione per cui ho visionato il video, però, è un'altra: mi è capitato molto spesso, in USA ma anche in Italia, di lavorare con clienti che richiedono - direttamente o velatamente - una "mascolinizzazione" o "femminilizzazione" della voce. Parlo qui di individui cisgender (ovvero a proprio agio con il genere a loro "assegnato alla nascita", come riporta la definizione di Wikipedia), eterosessuali o omosessuali. A questi si aggiunge l'altra porzione di clienti transgender, FTM e MTF, che hanno delle necessità più ovvie dal punto di vista vocale e comunicativo.
Specialmente nel
caso delle persone cisgender, il primo approccio è sempre molto cauto: è
importante, dal mio punto di vista, che siano coscienti del fatto che stanno
richiedendo, in un certo senso, di "allontanarsi da sé" e
"avvicinarsi ad uno stereotipo". E' questo ciò che vogliono
realmente? Nel caso di persone omosessuali, il desiderio di cambiare
"voce" è motivato e funzionale, oppure nasconde un disprezzo di sé e
un' egodistonia che dovrebbero essere oggetto di attenzione psichiatrica o
psicologia? Questi non sono ambiti di mia competenza professionale, ma è
importante - a mio parere - considerare tali questioni prima di intraprendere
dei percorsi di modifica vocale e comportamentale che si potrebbero rivelare
controproducenti. Spiego sempre ai miei allievi/clienti, inoltre, che non si tratta
necessariamente di cambiare modalità in ogni contesto e senza possibilità di
ritorno, bensì di acquisire una nuova competenza (come quando si impara una
lingua straniera) che può essere usata quando si vuole, intervallandola con
altre modalità (code-switching) o adottandola come unica per stadi progressivi
e graduati, sempre nel rispetto dell'igiene vocale e della psicologia
individuale. Per quanto riguarda la "voce gay", la mia "working
theory" è che essa sia semplicemente una modalità comunicativa
comprendente dei tratti stereotipicamente associati al genere femminile (ovviamente, se il parlante è una donna, allora vale il contrario). Ma non
esiste una vera e propria "voce gay", in quanto vi sono numerosi maschi eterosessuali
che presentano dei tratti fonologici/vocali associati al genere femminile, così
come vi sono donne che fanno uso abbondante di tratti comunicativi
stereotipicamente maschili (come nel caso della Clinton). E'
importante porsi di fronte alle richieste del cliente un po' come fa (o
dovrebbe fare) il chirurgo estetico in colloquio con un paziente: la richiesta
è sensata? Il paziente sarà soddisfatto a risultato ottenuto oppure soffre di un disturbo di
dismorfismo corporeo (o vocale) che necessita di un intervento
psicoterapeutico? Spero di non apparire pedante e ripetitivo, ma credo che
quando si ha a che fare con la voce e la comunicazione di una persona, si ha a
che fare con l'immagine di sé e con l'identità dell'individuo, per cui è
necessaria massima cautela, chiarezza, apertura e rispetto.
Veniamo quindi al
vero argomento di questo post: le caratteristiche stereotipiche della voce
maschile e femminile. Chi richiede una mascolinizzazione o una
femminilizzazione vocale ritiene, erroneamente, che si tratti essenzialmente di
abbassare o innalzare la frequenza fondamentale. Questo, invece, è solo uno dei
tanti ambiti su cui si può lavorare, ma non certo l'unico. Vediamo nel loro
insieme quali sono le aree di intervento:
-Frequenza
-Risonanza e
timbro
-Intonazione
-Velocità
d'eloquio
-Volume/Intensità
-Sintassi
-Scelta lessicale
-Pragmatica
-Articolazione
-Igiene vocale: è
molto facile che questi clienti acquisiscano abitudini vocali scorrette nel
tentativo di emulare modelli troppo lontani dalle possibilità del loro
strumento, sviluppando patologie foniatriche quali la disfonia da tensione
muscolare o vere e proprie lesioni cordali.
-Comunicazione
non verbale
-Modalità di
trasferimento del nuovo "codice" nella vita quotidiana
-La voce nel
canto (se l'individuo che richiede una consulenza è anche cantante).
Cercherò ora di
approfondire, seppur brevemente, i vari punti sovra esposti, cercando di
mantenere una prospettiva linguisticamente "universale". Ogni
persona, infatti, rappresenta un caso a sé, e ciò che è considerato
"gender-appropriate" (termine politicamente poco corretto, forse
dovremmo dire "conforme allo stereotipo di genere") dipende dalle variazioni su
quello che in sociolinguistica si chiama "asse diatopico, diastratico,
diafasico e diamesico" (dove siamo? quale classe sociale? quale contesto
comunicativo? quale mezzo comunicativo?). A titolo esemplificativo, un costante
"uptalk", ovvero un'intonazione interrogativa laddove si dovrebbe
usare una struttura intonativa conclusiva, è sì un tratto stereotipicamente
femminile, ma è anche una caratteristica di alcuni dialetti settentrionali.
-Frequenza
fondamentale: Andrews (1999) ha appurato che la donne parlano mediamente con
una frequenza fondamentale di 220Hz (± 20 Hz); i maschi, al contrario, parlano
un'ottava sotto (120 Hz, ± 20 Hz). La scelta più salutare (ed esteticamente più gradevole, non "caricaturale"), generalmente, per
gli individui transgender, è quella di puntare ad un range in cui la percezione
del genere da parte dell'ascoltatore è "ambigua" (ovvero tale per cui
non si riesca a stabilire, basandosi esclusivamente sulla frequenza usata, se
chi parla è un uomo o una donna) che si situa all'incirca tra i 150 e i 185Hz.
La voce stereotipicamente maschile usa meno variazioni tonali rispetto a quella
femminile.
-Risonanza e
timbro: le pliche vocali nella voce femminile tendono ad essere più sottili
(per ragioni anatomico-endocrinologiche) ma anche ad essere usate in una
condizione più assottigliata rispetto a quello che avviene nella voce
tipicamente maschile. Spesso è presente, nella voce femminile, una componente
di ariosità (a volte patologica, o comunque si tratta di una condizione
predisponente a patologie vocali, per cui attenzione!). Tale condizione
glottale influenza la pressione sottoglottica ed il timbro vocale. Usando una
terminologia un po' obsoleta, si potrebbe dire che la voce maschile è più
"di petto", quella femminile "di testa" (in realtà questi
ultimi sono termini che non uso quasi mai nella didattica, ma possono essere
utili per qualche lettore). La voce stereotipicamente femminile tende a
pronunciare le vocali più "avanti", quella maschile più
"indietro". In realtà, però, non si tratta tanto di posture della
lingua, quanto di effettivo spazio oro-buccale (maggiore nell'uomo). Ma la
posizione della lingua può certamente simulare o dissimulare lo spazio
anatomico relativo allo stereotipo sopra descritto. Lo stesso discorso vale per
la posizione della laringe nel collo (tendenzialmente più bassa per una voce
tipicamente maschile).
-Intonazione: le
donne tendono ad usare variazioni intonative (frequenziali) per evidenziare le
parole chiave del discorso, mentre gli uomini tendenzialmente fanno a tal scopo
un uso maggiore delle variazioni d'intensità (è una delle cose che fa anche
Hillary Clinton). Le donne tendono ad usare più "uptalk", gli uomini
una struttura prosodica più dichiarativa, conclusiva.
-Velocità
d'eloquio: nella conversazione quotidiana (non
di carattere "specialistico"), gli uomini tendono a parlare
più velocemente delle donne (!). Ciò è in parte dovuto al fatto che nella
parlata stereotipata femminile, alcuni fonemi - specialmente le vocali ed i dittonghi -
vengono allungati. Inoltre, gli uomini tendono a parlare con un ritmo
abbastanza costante, mentre le donne si esprimono spesso con "agglomerati
linguistici" intervallati da una pausa (Norton, 2000).
-Volume/Intensità:
generalmente gli uomini hanno un'intensità vocale superiore a quella femminile.
L'intensità vocale/volume è generalmente associata a potere e sicurezza.
-Sintassi: le
differenze, troppo numerose per essere enumerate comprensivamente, riguardano
l'uso della paratassi e dell'ipotassi (subordinazione), l'uso di determinati
avverbi e congiunzioni, la posizione degli stessi, l'utilizzo di espressioni
che addolciscono il discorso e la posizione espressa, un maggiore o minore livello di
educazione e cortesia (politeness), etc.
-Lessico: le
scelte lessicali riflettono lo stereotipo delle aree di competenza. Nel caso
delle donne, quindi: psicologia, arte, frutta, verdura, mobili... Per gli
uomini: il campo semantico degli attrezzi, utensili e componenti elettroniche,
minore uso di aggettivi qualificativi ed avverbi, maggior uso di linguaggio
taboo e scurrile... Ricordiamo che si tratta di stereotipi che non è nostra
intenzione perpetuare, ma allo stesso tempo tali ipergeneralizzazioni hanno un
correlato reale (cfr le ricerche di Albanese et al, 2000; Capitani et al.,
1999; Schulz, 1975; Coates, 2004; Lakoff, 1975).
-Pragmatica: gli
uomini tendono a comunicare al fine di stabilire una gerarchia o di acquisire
informazioni, mentre le donne ricercano consenso e condividono pensieri e
sentimenti. Gli uomini tendono a fare meno domande per timore di trasmettere incompetenza, le donne generalmente sono più espressive, ...
-Articolazione:
le donne tendono a produrre vocali più lunghe degli uomini; l'attacco dei suoni
tende ad essere meno deciso nelle donne rispetto agli uomini; i maschi hanno
uno stile più "staccato", le femmine più "legato"; le donne
tendono a pronunciare le consonanti con più precisione rispetto agli uomini, ma
il contatto tra gli articolatori risulta essere più delicato; la protrusione
labiale (nei fonemi che lo prevedono) e l'abbassamento mandibolare tendono ad
essere più pronunciati nelle donne, ...
-Comunicazione
non verbale: si registrano differenze nella cinetica (movimenti corporei),
nelle proprietà del contatto interpersonale, nella prossemica, nel contatto
visivo, nell'olfatto, nel modo di porsi (postura) e di muoversi (camminata,
gestualità), nella concezione (e gestione)del tempo...
Lo spazio del
blog e le risorse attentive umane mi impongono di concludere il presente post,
che non vuole di certo essere esauriente ed esaustivo. Tengo a sottolineare,
ancora una volta, che i tratti sopra descritti non sono normativi, ma
rappresentano (seppure con varianti tra una cultura e l'altra) i prototipi del
genere maschile e femminile. Ogni persona, poi, è un caso a sé, e un
cambiamento appropriato per un individuo potrebbe non esserlo per un altro.
Ecco perché è fondamentale il rapporto con il coach e, soprattutto,
l'accoglienza e l'onestà. E, prima di iniziare un percorso di cambiamento (vocale), bisogna imparare ad accettare sempre e comunque se stessi.
Per maggiori
informazioni: http://www.dynamicalvoice.com/MTF.html