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giovedì 29 dicembre 2016

Evoluzione biologica e tecnica vocale: il viaggio della laringe



Se consideriamo l’odierna struttura della laringe da un punto di vista filo- e ontogenetico, dobbiamo concludere che essa è il risultato dell’evoluzione di uno sfintere respiratorio primitivo, la cui unica funzione consisteva nel permettere la respirazione e impedire attraverso un meccanismo di chiusura che corpi estranei entrassero nei polmoni. Tale funzione, fondamentale per la sopravvivenza, è tutt’ora attiva, e comprende una catena muscolare che include la muscolatura faringea (come i costrittori), la lingua, l’epiglottide, il complesso muscolare laringeo, il palato molle, etc.


Col proseguire dell’evoluzione, tuttavia, tale sistema si differenziò progressivamente in due valvole: una ad alta pressione (più antica dal punto di vista filogenetico), l’altra a bassa pressione (acquisita più recentemente nella storia dell'evoluzione). Le cosiddette “Pliche vocali vere” – così chiamate perché responsabili della produzione del suono vocale – sono rivolte all’insù e rappresentano la valvola a bassa pressione; la pressione intrapolmonare collegata alla loro chiusura (viene diminuita la pressione interna alla gabbia toracica e si stabilizza così il cingolo scapolare) è necessaria nell’esecuzione di movimenti muscolari con direzionalità “dall’esterno verso il corpo”, come ad esempio nella trazione di un oggetto oppure nell’appendersi ad un’estremità e oscillare avanzando a forza di braccia (che è ciò che facevano i nostri progenitori passando da un albero all’altro…).


Le “Pliche ventricolari” o “Pliche vocali false”, invece, con la loro forma rivolta all’ingiù (a forma di cuspide), agiscono come valvola ad alta pressione, chiudendosi in preparazione ad attività muscolari con direzionalità “dal corpo verso l’esterno”, quali ad esempio l’attaccare/colpire, calciare, spingere.. Anche tutte le attività pressorie e/o espulsive (cfr. la cosiddetta “Fissazione toracica”, che stabilizza il bacino e sviluppa un'elevata forza che si può "scaricare" attraverso l'uso degli arti superiori) necessitano di un’alta pressione intrapolmonare per potersi realizzare efficacemente (ad esempio: tossire, vomitare, partorire…). La chiusura delle corde false è anche concomitante alla scarica ormonale legata all'istinto di sopravvivenza denominato "Risposta fight or flight". Poiché, tuttavia, esse sono oramai troppo deboli per potersi chiudere da sole, è necessario l’intervento compensatorio della muscolatura della deglutizione, cosicché nei compiti motori regolati da un’elevata pressione interna sono rilevabili una serie di tensioni/contrazioni che si estendono fino alla muscolatura mimica. 


Quanto fin’ora descritto non ha nulla a che vedere con la fonazione, ma rappresenta la funzione biologicamente più importante della laringe, quella cioè che, assieme alla respirazione, ci mantiene in vita: la funzione primaria. La funzione primaria si suddivide in una funzione di protezione (che garantisce che non entrino corpi estranei in trachea e quindi nei polmoni) e una funzione di regolazione (che permette l’esecuzione delle diverse attività muscolari). Esiste tuttavia anche una funzione secondaria, la quale espleta un’attività di coordinazione tra diverse funzioni corporee. Essa permette l’interplay (la coordinazione) tra laringe e vocal tract per la produzione di foni vocalici e consonantici (lingua parlata). All’interno di questa funzione di coordinazione, però, la funzione primaria della laringe esercita ancora la sua “autorità”: si tratta infatti di un alternarsi continuo di stati di chiusura e di apertura (cfr. l’articolazione delle consonanti), nel corso del quale la tendenza alla chiusura (tipica della funzione primaria) potrebbe innescare meccanismi non funzionali alla comunicazione verbale, quali la chiusura delle pliche ventricolari o l’attivazione dell’intero meccanismo della deglutizione. Nella cosiddetta funzione terziaria, al contrario, entrambe le valvole si sottomettono alle necessità del canto attraverso una particolare modalità di attivazione neuromuscolare nell’intero corpo. Quando entrambe le valvole danno luogo a questa nuova “forma”, la chiusura delle pliche vocali vere è ideale; la compressione mediale efficace; l’epiglottide, la lingua, la muscolatura faringea ed il palato trasportano le frequenze sonore riflettendole, anziché smorzarle (cfr. Gisela Rohmert). Il "lavoro vocale" risulta comodo e sostenibile (e viene spesso considerato "rilassatezza").


Una delle principali cause della difficoltà nel fare un uso corretto ed economico dello strumento voce sta proprio nella frequente innervazione inconscia della funzione primaria e secondaria nel parlato e nel canto. Il bisogno di protezione, presente in ciascuno di noi a livello sia corporeo che psicologico, porta all’innervazione non soltanto delle pliche vere, bensì anche delle pliche ventricolari, le quali sono collegate all’attivazione di catene muscolari che causano tensioni accessorie. Per la chiusura raffinata delle pliche vocali vere c’è bisogno della creazione di bassa pressione interna, la quale si produce normalmente dopo che l’aria in uscita dai polmoni ha separato le corde vocali e la “valvola” si è conseguentemente aperta. A quel punto si trova momentaneamente un numero di molecole aeree maggiore al di sopra delle pliche vocali rispetto alla quantità al di sotto delle stesse e, di conseguenza, nasce una condizione di bassa pressione al di sotto della glottide. E’ qui che le corde vere si attivano nella loro funzione di valvola a bassa pressione e si chiudono (Effetto Bernoulli) ed è in questa condizione che i muscoli intrinseci delle pliche vocali vere e lo strato di copertura possono operare nel modo più efficace ed economico. Ma allora cosa succede quando si forza l’espirazione nel corso della fonazione? La chiusura delle pliche vere non è più efficace ed economica, viene attivata l’innervazione delle pliche ventricolari nonché di tutta la muscolatura compensatoria ad esse collegata. In questo stato, è ancora possibile ottenere un suono vocale soltanto con un’ipercontrazione della muscolatura di chiusura, la quale causa una compressione mediale estremamente rigida che ha come conseguenza un drastico decremento della flessibilità del muscolo vocale e della mucosa di rivestimento (udibili nel suono). La comprensione di tali funzioni è fondamentale nell’elaborazione di un piano di formazione vocale rispettoso della fisiologia dell’organismo e quindi corretto.

Per info sul training vocale su base fisiologica: Dynamical Voice Coaching


Alcune delle informazioni qui riportate sono state rielaborate a partire dagli studi contenuti nel libro "Grundzuege des funktionalen Stimmtrainings", edito da W. Rohmert, Institut fuer Arbeitswissenschaft der Technischen Hochschule, Darmstadt, 1989.

Grazie a Francesca P. per le immagini.

lunedì 17 ottobre 2016

La voce del gender: Hillary Clinton, uomini, donne e LGBT





Associazioni all'apparenza azzardate e argomenti scomodi. Ma leggete bene e capirete.

Disclaimer: con il presente post, non è nostra intenzione esprimere idee politiche né operare discriminazioni nei confronti di alcuna cultura, identità di genere, orientamento sessuale delle persone. E' nostra convinzione che qualsiasi richiesta di "makeover" vocale possa essere accolta se sensata e non imposta dall'esterno. Dal nostro punto di vista, non c'é alcunché di "sbagliato" o "da correggere" in alcuna abitudine vocale/accento/comportamento, a meno che non siano presenti disfunzionalità o patologie, a patto che sia il cliente stesso a richiederlo e che tale richiesta non rifletta conflittualità interne di pertinenza psicologica o psicoterapeutica.

La psicologia sociale insegna che il processo decisionale di un individuo - a seconda delle circostanze, del tempo e delle informazioni a disposizione - può seguire due percorsi cognitivi distinti: la via "centrale", oppure la via "periferica". La via "centrale" prevede un'analisi razionale dei fattori e delle variabili inerenti la scelta; la via "periferica" consta, al contrario, di "euristiche" o "scorciatoie cognitive" su cui si basa la persona per prendere una decisione. Questo i politici lo sanno da tempo: risulta fondamentale tenere sotto controllo la propria self-presentation, curandone tutti i particolari, in quanto molti elettori - ignoranti in materia politica ed economica - tenderanno più o meno subconsciamente a ricorrere ad impressioni, sensazioni "a pelle", e all'istinto (via periferica) al momento di esprimere una preferenza nelle urne. Non è certo un segreto che i vari politicanti si avvalgano di consulenti d'immagine, truccatori, coach di vario tipo (anche vocal coach, certo), ghost writer etc. al fine di ottenere quell'immagine vincente che possa essere funzionale al ruolo e strappare più voti possibili agli elettori più "naïf".

 Lampante è certamente il caso americano, con i dibattiti presidenziali di questi giorni che sembrano più spettacoli di "infotainment" o, come direbbe qualcuno più audace forse di chi scrive, dei meri "puppet shows". La propaganda politica è lontana dagli scopi di questo blog, nonché dalla mia sfera di interessi (anche se mi auguro che i lettori appartengano a quel gruppo di persone che raccoglie informazioni e segue la "via centrale" prima di esprimere opinioni che riguardano il futuro del loro paese), e vorrei mettere in chiaro che quanto sarà detto a riguardo di determinate personalità politiche o altre categorie di persone all'interno di questo post non rappresenta un "endorsement" né una condanna, semmai una sorta di raccolta di "case studies" che possano stimolare l'interesse di chi legge e, magari, fornire informazioni che possano essere utili a qualcuno.

Veniamo quindi al punto: Hillary Clinton. Il candidato democratico alla White House viene molto spesso criticato (molto probabilmente da chi tende a preferire la via "periferica") per la voce. Credo, a riguardo, che i detrattori della Clinton usino il termine "voce"  in maniera un po' imprecisa, per descrivere de facto una più ampia serie di fenomeni vocali e linguistici (pronuncia, prosodia, accento, intonazione, pragmatica...). 


La stessa Clinton ne è pienamente cosciente, innanzitutto perché - vista la sua capacità di "adattamento linguistico" a seconda del target cui si rivolge - ha probabilmente una buona competenza e controllo vocale/linguistico (vedasi il mutare delle caratteristiche fonologiche del suo accento in diversi momenti della sua carriera politica), ma anche come dimostra quanto lei stessa ha dichiarato qualche tempo fa:

“I’m not Barack Obama. I’m not Bill Clinton. Both of them carry themselves with a naturalness that is very appealing to audiences. But I’m married to one and I’ve worked for the other, so I know how hard they work at being natural. It’s not something they just dial in. They work and they practice what they’re going to say. It’s not that they’re trying to be somebody else. But it’s hard work to present yourself in the best possible way. You have to communicate in a way that people say: ‘OK, I get her.’ And that can be more difficult for a woman. Because who are your models? If you want to run for the Senate, or run for the Presidency, most of your role models are going to be men. And what works for them won’t work for you. Women are seen through a different lens. It’s not bad. It’s just a fact. It’s really quite funny. I’ll go to these events and there will be men speaking before me, and they’ll be pounding the message, and screaming about how we need to win the election. And people will love it. And I want to do the same thing. Because I care about this stuff. But I’ve learned that I can’t be quite so passionate in my presentation. I love to wave my arms, but apparently that’s a little bit scary to people. And I can’t yell too much. It comes across as ‘too loud’ or ‘too shrill’ or ‘too this’ or ‘too that.’ Which is funny, because I’m always convinced that the people in the front row are loving it.”

Quello che Hillary cerca di dire, e ciò che in effetti si può estrapolare leggendo i commenti di chi la critica per la sua modalità comunicativa, è che il suo modo di comunicare (verbale e non) può venire percepito come "gender inappropriate". Chiaramente, la Clinton non usa qui il termine "gender", anche perché - come sa bene chi segue gli sviluppi sociali ed antropologici della civiltà umana - parlare di "gender" e di/VS "sex" significa innescare diatribe che risulterebbero controproducenti a questo punto della corsa per la Casa Bianca. Visto che chi scrive ha però usato tale termine, mi si permetta soltanto di esplicare, per chi non avesse dimestichezza con il concetto, che con "gender" si intende qui una serie di aspettative che la società ha in riferimento ad un determinato sesso biologico. Aspettative in merito a vari aspetti della personalità e del comportamento nonché della vita stessa: la posizione lavorativa; la scelta dell'abbigliamento; il ruolo ed il potere sociale; il modo di usare il corpo, il linguaggio, la comunicazione e quindi la voce. Non so se la Clinton abbia ragione a pensarla così, se sia sincera o se le parole sopra riportate siano piuttosto uno stratagemma comunicativo (certamente efficace) per invitare gli elettori a prendere una via più "centrale" alle urne, facendola apparire al tempo stesso "più umana" e "meno fredda", trasformando quindi dei "difetti" (di immagine) in virtù politica.


Sta di fatto , però, che in alcuni casi la sua vocalità, gestualità e stile comunicativo si sono allontanati considerevolmente dallo stereotipo dell'American Woman. E allontanarsi dallo stereotipo, per ragioni probabilmente legate all'evoluzione e alle modalità di cognizione umane, è percepito come "fattore di disturbo", specie da chi non è stato condizionato (tramite istruzione diretta o indiretta o per esposizione) a restare in guardia dai tranelli che la mente ci riserva (il processo di stereotipizzazione stesso). 


Qualche settimana fa mi è capitato di vedere un documentario, suggeritomi da un collega SLP statunitense (l'equivalente americano del logopedista, seppur con alcune differenze nel curriculum di studio e nelle effettive mansioni svolte) che ha risollevato lo stesso tema della stereotipizzazione. Si tratta di "Do I sound gay?", di David Thorpe.


Il protagonista, quarantenne recentemente tornato single, si propone inizialmente di cambiare la sua voce, che percepisce come "troppo gay" e ritiene essere la causa o la concausa di alcuni fallimenti in ambito sentimentale, e della conseguente bassa autostima. Si rivolge quindi ad alcuni SLP, voice coach e linguisti per tentare di risolvere il "problema" che lo assilla, mentre contemporaneamente intraprende un viaggio di ricerca psicologica per scovare le cause prima della sua "gay voice", e poi anche del suo disgusto per questa specifica modalità fonatorio-comunicativa. 

Quest'ultima parte occupa gran parte della pellicola, ragion per cui non l'ho trovata particolarmente interessante, ma solo perché - per deformazione professionale - avrei preferito che vi fosse un approfondimento più di natura foniatrica-fonetica. Ma mi rendo conto che un tale approccio avrebbe reso il documentario poco interessante per il "grande pubblico" e, soprattutto, per il target a cui principalmente si rivolge (la comunità LGBT). La principale ragione per cui ho visionato il video, però, è un'altra: mi è capitato molto spesso, in USA ma anche in Italia, di lavorare con clienti che richiedono - direttamente o velatamente - una "mascolinizzazione" o "femminilizzazione" della voce. Parlo qui di individui cisgender (ovvero a proprio agio con il genere a loro "assegnato alla nascita", come riporta la definizione di Wikipedia), eterosessuali o omosessuali. A questi si aggiunge l'altra porzione di clienti transgender, FTM e MTF, che hanno delle necessità più ovvie dal punto di vista vocale e comunicativo. 
Specialmente nel caso delle persone cisgender, il primo approccio è sempre molto cauto: è importante, dal mio punto di vista, che siano coscienti del fatto che stanno richiedendo, in un certo senso, di "allontanarsi da sé" e "avvicinarsi ad uno stereotipo". E' questo ciò che vogliono realmente? Nel caso di persone omosessuali, il desiderio di cambiare "voce" è motivato e funzionale, oppure nasconde un disprezzo di sé e un' egodistonia che dovrebbero essere oggetto di attenzione psichiatrica o psicologia? Questi non sono ambiti di mia competenza professionale, ma è importante - a mio parere - considerare tali questioni prima di intraprendere dei percorsi di modifica vocale e comportamentale che si potrebbero rivelare controproducenti. Spiego sempre ai miei allievi/clienti, inoltre, che non si tratta necessariamente di cambiare modalità in ogni contesto e senza possibilità di ritorno, bensì di acquisire una nuova competenza (come quando si impara una lingua straniera) che può essere usata quando si vuole, intervallandola con altre modalità (code-switching) o adottandola come unica per stadi progressivi e graduati, sempre nel rispetto dell'igiene vocale e della psicologia individuale. Per quanto riguarda la "voce gay", la mia "working theory" è che essa sia semplicemente una modalità comunicativa comprendente dei tratti stereotipicamente associati al genere femminile (ovviamente, se il parlante è una donna, allora vale il contrario). Ma non esiste una vera e propria "voce gay", in  quanto vi sono numerosi maschi eterosessuali che presentano dei tratti fonologici/vocali associati al genere femminile, così come vi sono donne che fanno uso abbondante di tratti comunicativi stereotipicamente maschili (come nel caso della Clinton). E' importante porsi di fronte alle richieste del cliente un po' come fa (o dovrebbe fare) il chirurgo estetico in colloquio con un paziente: la richiesta è sensata? Il paziente sarà soddisfatto a risultato ottenuto oppure soffre di un disturbo di dismorfismo corporeo (o vocale) che necessita di un intervento psicoterapeutico? Spero di non apparire pedante e ripetitivo, ma credo che quando si ha a che fare con la voce e la comunicazione di una persona, si ha a che fare con l'immagine di sé e con l'identità dell'individuo, per cui è necessaria massima cautela, chiarezza, apertura e rispetto.


Veniamo quindi al vero argomento di questo post: le caratteristiche stereotipiche della voce maschile e femminile. Chi richiede una mascolinizzazione o una femminilizzazione vocale ritiene, erroneamente, che si tratti essenzialmente di abbassare o innalzare la frequenza fondamentale. Questo, invece, è solo uno dei tanti ambiti su cui si può lavorare, ma non certo l'unico. Vediamo nel loro insieme quali sono le aree di intervento:

-Frequenza

-Risonanza e timbro

-Intonazione

-Velocità d'eloquio

-Volume/Intensità

-Sintassi

-Scelta lessicale

-Pragmatica

-Articolazione

-Igiene vocale: è molto facile che questi clienti acquisiscano abitudini vocali scorrette nel tentativo di emulare modelli troppo lontani dalle possibilità del loro strumento, sviluppando patologie foniatriche quali la disfonia da tensione muscolare o vere e proprie lesioni cordali.

-Comunicazione non verbale

-Modalità di trasferimento del nuovo "codice" nella vita quotidiana

-La voce nel canto (se l'individuo che richiede una consulenza è anche cantante).

Cercherò ora di approfondire, seppur brevemente, i vari punti sovra esposti, cercando di mantenere una prospettiva linguisticamente "universale". Ogni persona, infatti, rappresenta un caso a sé, e ciò che è considerato "gender-appropriate" (termine politicamente poco corretto, forse dovremmo dire "conforme allo stereotipo di genere") dipende dalle variazioni su quello che in sociolinguistica si chiama "asse diatopico, diastratico, diafasico e diamesico" (dove siamo? quale classe sociale? quale contesto comunicativo? quale mezzo comunicativo?). A titolo esemplificativo, un costante "uptalk", ovvero un'intonazione interrogativa laddove si dovrebbe usare una struttura intonativa conclusiva, è sì un tratto stereotipicamente femminile, ma è anche una caratteristica di alcuni dialetti settentrionali.


-Frequenza fondamentale: Andrews (1999) ha appurato che la donne parlano mediamente con una frequenza fondamentale di 220Hz (± 20 Hz); i maschi, al contrario, parlano un'ottava sotto (120 Hz, ± 20 Hz). La scelta più salutare (ed esteticamente più gradevole, non "caricaturale"), generalmente, per gli individui transgender, è quella di puntare ad un range in cui la percezione del genere da parte dell'ascoltatore è "ambigua" (ovvero tale per cui non si riesca a stabilire, basandosi esclusivamente sulla frequenza usata, se chi parla è un uomo o una donna) che si situa all'incirca tra i 150 e i 185Hz. La voce stereotipicamente maschile usa meno variazioni tonali rispetto a quella femminile.

-Risonanza e timbro: le pliche vocali nella voce femminile tendono ad essere più sottili (per ragioni anatomico-endocrinologiche) ma anche ad essere usate in una condizione più assottigliata rispetto a quello che avviene nella voce tipicamente maschile. Spesso è presente, nella voce femminile, una componente di ariosità (a volte patologica, o comunque si tratta di una condizione predisponente a patologie vocali, per cui attenzione!). Tale condizione glottale influenza la pressione sottoglottica ed il timbro vocale. Usando una terminologia un po' obsoleta, si potrebbe dire che la voce maschile è più "di petto", quella femminile "di testa" (in realtà questi ultimi sono termini che non uso quasi mai nella didattica, ma possono essere utili per qualche lettore). La voce stereotipicamente femminile tende a pronunciare le vocali più "avanti", quella maschile più "indietro". In realtà, però, non si tratta tanto di posture della lingua, quanto di effettivo spazio oro-buccale (maggiore nell'uomo). Ma la posizione della lingua può certamente simulare o dissimulare lo spazio anatomico relativo allo stereotipo sopra descritto. Lo stesso discorso vale per la posizione della laringe nel collo (tendenzialmente più bassa per una voce tipicamente maschile).

-Intonazione: le donne tendono ad usare variazioni intonative (frequenziali) per evidenziare le parole chiave del discorso, mentre gli uomini tendenzialmente fanno a tal scopo un uso maggiore delle variazioni d'intensità (è una delle cose che fa anche Hillary Clinton). Le donne tendono ad usare più "uptalk", gli uomini una struttura prosodica più dichiarativa, conclusiva.

-Velocità d'eloquio: nella conversazione quotidiana (non  di carattere "specialistico"), gli uomini tendono a parlare più velocemente delle donne (!). Ciò è in parte dovuto al fatto che nella parlata stereotipata femminile, alcuni fonemi - specialmente le vocali ed i dittonghi - vengono allungati. Inoltre, gli uomini tendono a parlare con un ritmo abbastanza costante, mentre le donne si esprimono spesso con "agglomerati linguistici" intervallati da una pausa (Norton, 2000).

-Volume/Intensità: generalmente gli uomini hanno un'intensità vocale superiore a quella femminile. L'intensità vocale/volume è generalmente associata a potere e sicurezza.

-Sintassi: le differenze, troppo numerose per essere enumerate comprensivamente, riguardano l'uso della paratassi e dell'ipotassi (subordinazione), l'uso di determinati avverbi e congiunzioni, la posizione degli stessi, l'utilizzo di espressioni che addolciscono il discorso e la posizione espressa, un maggiore o minore livello di educazione e cortesia (politeness), etc.

-Lessico: le scelte lessicali riflettono lo stereotipo delle aree di competenza. Nel caso delle donne, quindi: psicologia, arte, frutta, verdura, mobili... Per gli uomini: il campo semantico degli attrezzi, utensili e componenti elettroniche, minore uso di aggettivi qualificativi ed avverbi, maggior uso di linguaggio taboo e scurrile... Ricordiamo che si tratta di stereotipi che non è nostra intenzione perpetuare, ma allo stesso tempo tali ipergeneralizzazioni hanno un correlato reale (cfr le ricerche di Albanese et al, 2000; Capitani et al., 1999; Schulz, 1975; Coates, 2004; Lakoff, 1975).

-Pragmatica: gli uomini tendono a comunicare al fine di stabilire una gerarchia o di acquisire informazioni, mentre le donne ricercano consenso e condividono pensieri e sentimenti. Gli uomini tendono a fare meno domande per timore di trasmettere incompetenza, le donne generalmente sono più espressive, ...

-Articolazione: le donne tendono a produrre vocali più lunghe degli uomini; l'attacco dei suoni tende ad essere meno deciso nelle donne rispetto agli uomini; i maschi hanno uno stile più "staccato", le femmine più "legato"; le donne tendono a pronunciare le consonanti con più precisione rispetto agli uomini, ma il contatto tra gli articolatori risulta essere più delicato; la protrusione labiale (nei fonemi che lo prevedono) e l'abbassamento mandibolare tendono ad essere più pronunciati nelle donne, ...

-Comunicazione non verbale: si registrano differenze nella cinetica (movimenti corporei), nelle proprietà del contatto interpersonale, nella prossemica, nel contatto visivo, nell'olfatto, nel modo di porsi (postura) e di muoversi (camminata, gestualità), nella concezione (e gestione)del tempo...


Lo spazio del blog e le risorse attentive umane mi impongono di concludere il presente post, che non vuole di certo essere esauriente ed esaustivo. Tengo a sottolineare, ancora una volta, che i tratti sopra descritti non sono normativi, ma rappresentano (seppure con varianti tra una cultura e l'altra) i prototipi del genere maschile e femminile. Ogni persona, poi, è un caso a sé, e un cambiamento appropriato per un individuo potrebbe non esserlo per un altro. Ecco perché è fondamentale il rapporto con il coach e, soprattutto, l'accoglienza e l'onestà. E, prima di iniziare un percorso di cambiamento (vocale), bisogna imparare ad accettare sempre e comunque se stessi.

Per maggiori informazioni: http://www.dynamicalvoice.com/MTF.html 

sabato 20 agosto 2016

Un'apologia del "Voicecraft"

Mettiamo in figura 10 figurazioni delle figure obbligatorie che fanno fare brutta figura




Regola fondamentale della lettura critica: controllare sempre le fonti. Questo esordio è doveroso per almeno tre motivi:


1. Non tutti coloro che parlano di "Voicecraft" hanno cognizione di causa: c'è chi insegna usando questo approccio senza aver pienamente compreso il modello (e senza averne conseguito la certificazione, il cui scopo è garantire l'efficacia e la correttezza del trasferimento delle informazioni), e c'è chi - magari in buona fede o perché mal informato- diffonde dati totalmente o parzialmente scorretti sul contenuto formativo.





2. La critica ossessiva del lavoro altrui è tutt'oggi concepita - in alcuni contesti culturali - come efficace strategia di marketing per le proprie attività. Molto spesso chi denigra metodologie specifiche lo fa con il principale fine di promuovere, indirettamente, la propria, che ritiene l'unica vera ed efficace. Il blog dynamicalvoice non persegue la pubblicizzazione di un unico metodo, bensì la divulgazione della conoscenza in ambito vocale e comunicativo, presentando dati scientifici, didattici ed "esperienziali" derivati da svariati ambiti e metodi.



3. Chi scrive è un didatta che trae ispirazione da vari approcci alla vocalità e ne cerca sempre di nuovi. Tuttavia, non è certo un segreto che sia un docente certificato Estill Voice Training System, e ciò significa - secondo il principio per cui ogni testo non è mai al 100% oggettivo - che chi legge troverà senza dubbio un bias positivo nei confronti dell'approccio pedagogico in questione. A tal proposito, è anche mia premura mettere in risalto che quanto espresso nel presente post (per quanto di veridicità appurata) è espressione dell'autore, non pronunciamento ufficiale di Estill Voice International, che è titolare dei diritti dell'EVTS.

Dopo la doverosa premessa, veniamo alla dichiarazione d'intenti, già anticipata nel sottotitolo. Mi propongo in questa sede di riportare alcune delle critiche o accuse rivolte al "Voicecraft", oppure alcune descrizioni fuorvianti dello stesso, cercando di individuarne le fallace, le scorrettezze e le imprecisioni. Sia ben chiaro che non è mia intenzione negare la validità delle critiche, in quanto ognuno è libero di prendere posizione di fronte a qualsiasi cosa, bensì di correggere le "dispercezioni" e le disinformazioni che talora traspaiono dalla formulazione delle suddette considerazioni. Consapevole di non poter essere esaustivo, mi auguro che la natura interattiva dello strumento blog possa portare ad un eventuale dibattito in riferimento ad altre questioni qui tralasciate.

Iniziamo quindi il lavoro. Troverete di seguito un'enumerazione di malintesi o falsità, formulati come titoli di ogni paragrafo e seguiti da una breve rettifica o spiegazione degli errori contenuti negli stessi.

1. "Voicecraft"


E' vero che - in passato - si chiamava "Voicecraft". E' altresì doveroso riconoscere che, in alcune parti del mondo, si parla ancora di "Voicecraft". Il termine corretto è però "Estill Voice Training System". Mi si dirà a questo punto che si tratta di un'irrilevante distinzione semantica. In realtà non è così. Quando parliamo di EVTS, parliamo in effetti di un percorso formativo tripartito in CRAFT (da cui deriva "Voicecraft"), ARTISTRY e METAPHYSICS. Certamente, quando si frequentano i corsi ufficiali EVTS (Level 1, Level 2) ci si concentra sulla parte denominata "Craft" (la "competenza tecnica", la conoscenza delle possibilità fisiologiche dello strumento e dei relativi output acustici e percettivi), ma all'interno della rosa di insegnanti certificati ci sono anche cantanti e artisti di diversi ambiti (cantanti, attori, public speaker) che esplorano analogamente l'universo dell'ARTISTRY (insegnando uno stile, un genere, un'estetica..) e della METAPHYSICS (la "magia" dell'esecuzione, la psicologia della performance). I CCI (certified course instructors) offrono altresì corsi avanzati in cui si parla di queste ulteriori dimensioni che trascendono il puro "CRAFT". Jo Estill non negava l'importanza di questi due ambiti, ma non perdeva occasione per mettere in risalto che la fattibilità di un'idea estetica e interpretativa è subordinata ad una competenza raffinata nell'uso (muscolare) del corpo e dello "strumento voce". Per quanto mi riguarda, le lezioni one-on-one non seguono quasi mai il format dei corsi EVTS (Level 1, Level 2), non si insegna una "figura" dietro l'altra (se l'allievo non lo richiede espressamente) bensì si ricorre alle conoscenze acquisite tramite il modello EVTS in maniera sempre personalizzata e mirata al conseguimento degli obiettivi specifici del cliente o alunno. Ecco quindi che il termine "Voicecraft", seppur entrato nel linguaggio comune italiano, mi appare un po' riduttivo e come potenziale fonte di equivoci.

2. E' una tecnica/un metodo vocale 

Personalmente, non ho grossi problemi con la definizione dell'EVTS come "tecnica", ma la parola stessa è polisemica, ragion per cui potrebbe far sorgere problemi di interpretazione. La domanda "Cos'è la tecnica?", seguita da "Cos'è una buona tecnica?" ha guidato e continua tuttora a guidare la mia personale ricerca vocale e didattica, ma basta confrontarsi con i colleghi per capire che esistono fondamentalmente due scuole di pensiero:

A)Chi dice che la "tecnica" è una soltanto, ed opera un distinguo tra "tecnica" e "emissione"
B)Chi dice che ci sono varie "tecniche" che corrispondono alle diverse modalità di emissione.

Al contrario di quanto discusso nel punto 1, credo che qui si tratti realmente di una mera questione linguistica legata al significato attribuito al lessema. Se con "tecnica" intendiamo "controllo di uno strumento", allora l'EVTS può essere accostato a tale definizione, almeno per quanto riguarda il "CRAFT". Se con "tecnica" facciamo riferimento ad un modo specifico di usare lo strumento (penso, per analogia, al mondo della pittura, dove si parla di "tecnica dell'acquarello", "tecnica dell'acrilico", "tecnica del pastello", etc.), è possibile che ci rifacciamo ad uno stampo prescrittivo (ovvero ad istruzioni del tipo "si fa così e non così"), inserendo il vocabolo nell'insieme sinonimico di cui fanno parte anche "metodo" e "scuola". In questo secondo caso possiamo affermare con certezza che l'EVTS non è certo una tecnica e tanto meno un metodo. Credo che la denominazione più corretta per definire l'EVTS sia "sistema di addestramento vocale" (ulteriore ragione per preferire la dicitura "Estill Voice Training System") oppure "Modello di funzionamento vocale", ponendo l'accento sul carattere descrittivo (e non prescrittivo) dell'approccio didattico, il quale si propone di insegnare che cosa si può fare (senza farsi male), di contro a ciò che si "deve", in quanto il "si deve" si ricollega a pregiudizi estetico-stilistici che sono soggettivi, spesso cronologicamente circoscritti (cambiano con il tempo, sia quello dello sviluppo del cantante che quello dello sviluppo della società) e non certo applicabili ad ogni ambito artistico. 

3. Non è scientifico/è pseudoscientifico/è "veteroscientifico"


Studiare scientificamente la voce umana è un compito estremamente arduo per varie ragioni, prima fra tutte l'estrema variabilità del campo. La non ripetitività delle esperienze (nessun essere umano è in grado di ripetere la stessa frase, parlata o cantata, in maniera assolutamente identica per due volte di fila), la relativa invasività degli strumenti diagnostici (l'elettromiografia e la contemporanea endoscopia transnasale prolungata non sono facilmente tollerate da tutti i soggetti) e altri fattori rendono indubbiamente difficile la vita dello scienziato della voce. Difficile ma non impossibile, se si fanno le scelte giuste. Jo Estill, assieme ad altri collaboratori (fra cui scienziati, ORL, foniatri e personalità di grande spessore del panorama scientifico) ha operato delle scelte all'interno del metodo scientifico che le hanno permesso di formulare ipotesi, condurre esperimenti metodologicamente ineccepibili (usando double-blind, gruppi sperimentali e gruppi di controllo), valutare e rivalutare i risultati ottenuti in maniera critica e con la massima acribia, garantire validità statistica dei paper realizzati, pubblicare quanto appreso in riviste specializzate vagliate dalla peer-review, presentare le ricerche effettuate in simposi e convegni specialistici su invito dei luminari del settore. Una lista delle pubblicazioni è disponibile sul sito http://www.estillvoice.com/pages/research, molti degli studi possono essere facilmente reperiti su amazon.com o tramite portali specifici quali pubmed. La scienza è questo: ipotesi, verifica, raccolta dati numerici, confronto con i colleghi specialisti, peer-review ed eventuale successiva rimessa in discussione dei risultati. Sarò sincero: è estremamente noioso stare a leggere numeri e dati, a studiare grafici e, alla fine del paper, leggere che "sono necessari ulteriori studi per confermare l'ipotesi". Ma questa è la vera scienza. Molto più divertente e rilassante è leggere un libro il cui contenuto sia scorrevole e piacevole, che tratti di arte con un linguaggio suggestivo e non contempli tutti quei nomi di muscolature e altre astruse componenti anatomiche. Chiunque può scrivere un libro sulla voce (anche chi ne sa poco o nulla), e chiunque può dire ciò che vuole all'interno del proprio libro (o all'interno del proprio blog, devo ammetterlo!), in quanto non si è sottoposti al fondamentale procedimento di peer-review che impone invece la pubblicazione di carattere scientifico. Jo Estill ha raccolto i dati delle sue ricerche, organizzandoli in un modello d'addestramento specifico per utenti della voce che fosse accurato dal punto di vista scientifico e che scindesse chiaramente la fisiologia dall'estetica, sfidando (oserei dire) l'intera tradizione culturale didattica canora che era (e forse lo è tuttora) di tipo coscientemente o incoscientemente prescrittivo. Il modello EVTS, inoltre, è in continua evoluzione, adattandosi e rimodellandosi in riferimento ai progressi della ricerca (basta osservare quanto sia cambiato dagli anni 90 ad oggi). L'accusa di ascientificità mi appare dunque totalmente infondata in riferimento al lavoro della Estill e dei suoi successori.

4. Non serve conoscere l'anatomia per cantare


Non sono d'accordo con questa formulazione verbale della tesi. Sono semmai d'accordo con l'affermazione che "troppa anatomia non serve al cantante". Bisognerebbe quindi dibattere su cosa significhi "troppa". E soprattutto sulle caratteristiche del destinatario. Innanzitutto, l'allievo che si accosta per la prima volta ad un corso EVTS (Livello 1 oppure un ciclo di lezioni individuali) non è assolutamente bombardato di nomenclature anatomo-fisiologiche. Personalmente, sono molto attento a contenere la mia parte più nerd e cerco di dare poche informazioni anatomiche, solo quelle essenziali, badando di adattare lo stile comunicativo (e il contenuto tecnico) allo stile d'apprendimento e al carattere dell'allievo in questione. C'è sempre chi vuol saperne di più (e ci sono sempre medici, logopedisti e fisioterapisti che vengono a lezione, così come tecnici del suono e fonici con cui si rende necessario l'utilizzo di una terminologia più precisa nell'ambito dell'acustica); con questi si può "osare"ma, generalmente, ci si limita a nominare quelle componenti anatomiche che si possono percepire e "gestire". Il termine scientifico non è mai fine a se stesso, ma è sempre correlato alla percezione concreta della struttura. 

Qui devo però enfatizzare un altro aspetto, che il linguista potrà collegare alla famosa Sapir-Whorf hypothesis (Relatività Linguistica), almeno in alcune delle sue versioni: il possedere un concetto (un termine) plasma in maniera significativa la nostra percezione del mondo. Per chiarire, userò prima un esempio cromatico e poi un esempio vocale/anatomico.

A)La percezione dei colori è una reazione tipicamente umana a fenomeni legati all'incontro di uno spettro frequenziale di natura fisica (lunghezze d'onda) con le caratteristiche tipiche della retina dell'occhio e la successiva conversione dei dati in impulsi nervosi interpretati da un centro cerebrale apposito. La mia ignoranza lessicale in ambito cromatico mi fa percepire il colore rosso e le sue svariate sfumature come sempre e solo "rosso". Per un pittore (dotato di maggior competenza anche terminologica), è invece normale distinguere tra carminio, cremisi, vermiglio, rosso cardinale, rosso fragola, rosso mattone, scarlatto, rosso fuoco, rosso veneziano, rosso bordeaux, amaranto etc. Se non abbiamo una terminologia relativa, potremmo non percepire il concetto. La distinzione tra azzurro e blu non sussiste per gli anglosassoni (quando un azzurro diventa blu e viceversa?).




B)Per quanto riguarda l'anatomia, userò un esempio che non fa parte degli esercizi EVTS (che non propone un tale livello di complessità a un neofita che si accosta per la prima volta al sistema), ma che - credo - rende bene l'idea. Esistono delle catene muscolari complesse che contribuiscono all'innalzamento del velo palatino, ma essenzialmente i diretti esecutori sono due muscoli distinti che si chiamano, rispettivamente, "Levator veli palatini" e "Tensor veli palatini". Personalmente, vedere delle foto o delle rappresentazioni di tali muscolature, in unione alla loro attività, mi fa capire che l'innalzamento del palato molle può avvenire in (almeno) due modalità estremamente diverse: la prima, per così dire, "a tenda da campeggio" (questo non è anatomicamente esatto, ma mi si passi l'immagine per mancanza di migliori idee al momento della stesura di tale post), la seconda "a tendone da circo". Il risultato acustico in concomitanza con la fonazione è diverso. Semplicemente sapere che esistono questi due muscoli mi ha suggerito che esistono diverse possibilità di innalzamento. Me ne sarei accorto se non avessi avuto una terminologia di riferimento e se non avessi visto l'immagine/la raffigurazione della funzionalità in questione? Forse sì, ma certamente l'essere  in possesso del giusto vocabolario ha consolidato la percezione dell'esperienza.


No quindi all'eccesso di informazioni anatomiche se queste sono fini a se stesse, ma è importante capire bene che il linguaggio (preciso) è una parte fondamentale della cognizione, non una conseguenza di essa. [Rimando gli interessati a studi di psicologia cognitiva e semantica].

5. Si cantava bene anche prima dell'invenzione dell'endoscopio/non serve la scienza per cantare bene

I "cigni del canto", i "talenti naturali" sono sempre esistiti ed esisteranno sempre. Jo Estill aveva una missione "spirituale": insegnare a tutti a cantare, non solo a quelli che - per fortunati intrecci del destino e della cultura - già lo sapevano fare. Il suo mantra, ed uno degli "slogan" dell'EVTS, è "Everyone has a beautiful voice". Le ricerche di Jo e dei suoi collaboratori hanno gettato luce (letteralmente e metaforicamente) su quanto questi "cigni" facessero a livello subcosciente, e soprattutto ha tradotto tali scoperte in efficaci e semplici (non astruse, semplici!) indicazioni didattiche utili ad addestrare una voce. Ciò ha portato ad un drastico cambio paradigmatico nella didattica vocale, dando vita ad una modalità pedagogica che, fra l'altro, non si pone in contrasto con altri approcci, bensì li completa, puntando alla cooperazione.

Si giocava bene a calcio anche prima della nascita della medicina dello sport e dello sviluppo di team di supporto all'atleta (fisioterapista, massofisioterapista, nutrizionista, coach, preparatore atletico, psicologo, mental coach,...). I risultati che si ottengono ora in senso prestazionale, tuttavia, non sono paragonabili a quelli registrati (e richiesti) trent'anni fa. Capisco che non bisogna cadere nella trappola della troppa teoria fine a se stessa (e, per dovere d'onestà, debbo dire che alcuni docenti peccano di eccessivo nozionismo, forse più per inesperienza che per intento), ma non capisco perché si dovrebbero ignorare tutte le scoperte che la scienza ci ha permesso di fare negli ultimi anni, se queste possono portare ad un miglioramento delle prestazioni o ad una prevenzione degli infortuni. Molti dei grandi trattatisti del passato sono stati "scientifici", in riferimento alle (poche) possibilità di indagine bio-tecnologica di cui disponevano.
Una cosa che la scienza non fa (perché esula dal suo ambito d'indagine) è insegnare come si dovrebbe cantare, nel senso di ottemperanza a criteri stilistici-culturali. Come esplicato al punto 1, l'insegnante EVTS che sia cantante (come nel caso di chi scrive) può/deve insegnare uno stile ("ARTISTRY"), se ne è in grado, ma non deve imporlo come "l'unica modalità corretta di canto". E, a volte, molti insegnanti confondono la fisiologia con uno stile. A titolo esemplificativo: non esiste una regola "fisiologica" per cui si debba sempre cantare con "legato" e tutti gli attacchi delle note debbano essere "sul fiato" (espressione un po' imprecisa, fra l'altro..), così come non c'è alcuna ragione "biologica" per cui i maschi possano portare la cravatta e le femmine no.

6. Non insegna la base di tutto, che è la respirazione


Pregiudizio duro a morire, ma è facilmente comprensibile da dove sia scaturito. Jo Estill era una studiosa molto "visiva", amava le immagini a didascalia dei concetti e, soprattutto, adorava i grafici. Chi ha avuto l'occasione di lavorare con lei sa che uno dei primi lucidi (non c'erano ancora le slides..) che comparivano sulla parete (non c'erano le smart boards..) nel corso del seminario di livello base era quello inerente la "Pressure Relaxation Curve". Si tratta di una rappresentazione su assi cartesiani della capacità vitale e del comportamento della muscolatura respiratoria. Jo era solita descrivere dettagliatamente e fisiologicamente il meccanismo della respirazione - a riposo, nel parlato e nel cantato - dopodiché procedeva con la descrizione dei vari metodi di respirazione propugnati dalla didattica dal Seicento fino ai nostri giorni. Spesso concludeva dicendo: "That's all I know about breathing". A volte sentenziava: "I know nothing about breathing". E credo che qualcuno l'abbia presa alla lettera. Ciò che voleva dire, invece, è che non era stata fatta sufficiente ricerca in merito alla relazione tra comportamento laringeo e flusso aereo sottoglottico. Lei stessa eseguì in seguito una ricerca a proposito (sul flusso aereo nelle qualità "falsetto" e "sob"), ed altri studiosi (ad es. Hixon, Mead e Goldman) si cimentarono in studi ad hoc. Già nei primi anni del "Voicecraft", la respirazione era legata all'inizio del suono (una "figura obbligatoria", ovvero un esercizio del "Level 1"), focalizzando appunto l'attenzione sul rapporto tra aria e comportamento adduttorio delle pliche vocali, nonché alla figura dell'ancoraggio, che ha a che fare con la gestione del flusso espiratorio. Jo Estill, postulando un'innegabile dinamicità dell'apparato respiratorio, soleva dire: "Let the breath adjust to what it meets on the way out", mettendo in evidenza che il comportamento laringeo e del "filtro" (ovvero del tratto vocale) avevano un effetto retroagente sul fiato in arrivo dai polmoni. Ecco allora che si prestava moltissima attenzione alla respirazione, vedendola però sempre in relazione alla fonazione, osservandola cioè da un punto di vista diverso rispetto a quello della didattica più comune. 
Successivamente, è stato ampliato di molto l'argomento "respirazione" all'interno del "Level 1" e dell'insegnamento EVTS in generale, tanto che chi è in possesso dei workbooks di riferimento può notare che un intero capitolo è dedicato all'argomento e, soprattutto, che si parla di respirazione in riferimento ad ogni "figura obbligatoria" trattata, nonché ad ogni "qualità vocale" affrontata. Nella mia personale pratica pedagogica la respirazione è sempre monitorata, ma non mi capita mai di far sdraiare a terra l'allievo con un libro sulla pancia o varianti simili dell'"esercizio". Non escludo che possa capitare (ad esempio se un cantante è particolarmente teso potrebbe essere una buona soluzione), ma nonostante non abbia mai proposto tali pratiche, nessuno dei miei allievi direbbe mai che non trattiamo la respirazione. Ne parliamo, e tanto, ma in modo un po' diverso. E lo stesso dicasi per l'EVTS.

7. Qualsiasi metodo che insegna il controllo indipendente di parti specifiche dell'organo vocale è dannoso ed inutile per il canto


Ci sono diverse obiezioni che potrei esplicitare in merito a quest'affermazione, fra cui le già citate differenze tra corso collettivo e lezione individuale, oppure sulla vera articolazione del percorso di studi Estill che, dopo il Level 1 (in cui si affrontano le "Figure Obbligatorie", ovvero il controllo indipendente di alcune strutture anatomiche coinvolte nella produzione vocale) prevede un Level 2, in cui le "Figure" vengono combinate in modo da formare Qualità Vocali semplici (Level 2) ed eventualmente complesse (Livelli Avanzati/Specialistici). Mi limiterò tuttavia ad una considerazione di carattere psicologico, senza addentrarmi troppo in dettagli tecnici. Il canto o, per essere più precisi, la produzione di una determinata qualità vocale su un range frequenziale e dinamico diversificato, è un compito complesso. Un compito complesso, specialmente in età adulta, richiede apprendimento. L'apprendimento è reso più agibile se frammentato in step. L'obiettivo finale resta la creazione di una qualità vocale, ma per semplificare il task isoliamo le varie componenti e ci concentriamo su ognuna di esse singolarmente fino all'acquisizione di una competenza di alto livello nel controllo della stessa ("chunking"). Passo dopo passo (o, per dirla con una metafora culinaria, come fece già la Estill a suo tempo, "ingrediente dopo ingrediente"), è possibile quindi "proceduralizzare" (ovvero rendere automatica per il corpo) la produzione di diversi colori (timbri) vocali che possono, successivamente, essere a loro volta miscelati tra loro. Il controllo delle diverse "Figure" deve essere indipendente per mettere in grado l'allievo di combinarle successivamente in modalità distinte. Quando cantiamo, stiamo controllando una serie consistente di fattori:

-La melodia
-La qualità vocale
-Il ritmo
-La lingua, cioè le parole (spesso una lingua per noi straniera)
-La presenza sul palco (...)

Le variabili sono numerose ed il processo di apprendimentodiviene così alquanto arduo, ragion per cui, riprendendo un'allora famosa frase di una pubblicità americana, Jo era solita dire: "Stop the insanity!". E' molto più semplice focalizzarsi su un unico elemento per volta (le "Figure"). Il controllo indipendente non può essere dannoso dal punto di vista fisiologico, in quanto tutti gli esercizi che vengono proposti si basano su movimenti che il corpo fa già naturalmente. Non si tratta quindi di manipolare lo strumento forzandolo ad assumere posizioni preternaturali, ma di acquisire una coscienza ed una propriocezione motoria che la maggior parte delle persone non ha.

8. E' un metodo che costringe il canto in una gabbia di posizioni fisse e porta a rigidità/E' troppo "muscolare"


Credo che tale diceria sia frutto di informazioni carenti o tutt'al più di apprendimenti deficitarii e frettolosi. La prima "Figura propedeutica" che si insegna in EVTS è quella legata al "Lavoro muscolare". Mi sembra di ribadire l'ovvio quando sottolineo che la voce funziona perché dei muscoli si attivano. Su questo non possiamo discutere. Possiamo parlare della qualità dell'attivazione, ovvero sulla modalità di contrazione, sui tempi della stessa, sulla quantità e sulla localizzazione, nonché sulla percezione di questa "energia". Ed è esattamente ciò che si fa in EVTS. Impariamo a percepire la differenza tra rilassamento, lavoro e tensione accessoria. Apprendiamo a produrre un "lavoro" che non porti ad irrigidimento e a rilassare (per quanto possibile) quelle parti del corpo di cui non abbiamo bisogno o che interferiscono con una buona capacità fonatoria. Sottolineiamo che il tipo di lavoro necessario cambia in diversi punti dell'estensione, in diversi momenti del ciclo respiratorio, in diverse qualità vocali, etc. Notiamo che alcuni movimenti sono più "difficili" di altri perché non fanno parte del nostro corredo motorio abituale, ma che - con il tempo e la pratica costante - diventano molto più facili e "scorrevoli". Ci abituiamo quindi alla dinamicità dell'attivazione energetica, che è il contrario della fissità. "Indipendenza" di movimento non vuol dire necessariamente "fissità" o "fissazione"; al contrario, viene sempre portata l'attenzione sulla reazione ad uno specifico movimento delle altri componenti, prima fra tutte quella respiratoria.

9. Nessuna delle qualità vocali che si insegnano è utile al canto/L'Opera non è "opera"



Nel corso collettivo Level 2, i vari "ingredienti" (Figure) appresi nel Level 1 vengono combinati in diverse maniere per formare 6 Qualità Vocali: 4 semplici (Speech, Falsetto, Sob, Twang) e 2 composte (Opera, Belting). Siamo ancora all'interno del primo dei tre ambiti in cui l'EVTS divide lo studio della voce (CRAFT; cfr. punto 1), per cui non ci interessa l'estetica, ma il controllo. Ed è appunto come esercizi di controllo che Jo Estill intendeva le qualità vocali suddette. La domanda (e la "sfida") è a questo punto: riesco a controllare le varie strutture per produrre quella specifica qualità vocale con quelle determinate caratteristiche acustiche e percettive? Riesco a controllare le condizioni di produzione in tutta l'estensione? (Ri)conosco i limiti intrinseci, le qualità, le potenzialità e l'applicabilità di ogni timbro che sto imparando a produrre? So come affrontare gli eventuali problemi che potrebbero presentarsi nell'usare questi "colori"?

Non si tratta quindi di insegnare delle qualità con finalità necessariamente prescrittive ("Devi cantare così"), anche perché alcune di queste (vedi lo Speech) risultano esteticamente poco piacevoli in alcuni ambiti tonali. La validità didattica sta nelle domande sovrariportate e nello sviluppo del controllo dei "colori primari" su cui si baseranno le mie scelte nel cantato. Come mettiamo in risalto quando insegniamo le "Qualità", raramente capita di sentirle usate nella loro forma "pura" nella realtà (e spesso, all'interno dello stesso brano, si passa da una qualità all'altra, specie nell'ambito pop); quelle che sentiamo sono variazioni o "permutazioni" delle stesse, ma sempre possiamo ricondurre le qualità vocali reali che sentiamo tutti i giorni ad una "variazione di...". Nella mia attività 1-to-1, non mi capita mai di dire cose del tipo: "Qui devi cantare in speech". Spesso capita invece di dire: "Qui il problema è che vorresti questo tipo di risultato, ma per ottenerlo devi cambiare qualità o variare la "ricetta"". E tale abilità si impara studiando le "Six voice Qualities" del Level 2 e poi, ancora di più, nelle "Permutations" dei corsi avanzati (o studiando privatamente con un insegnante, ovvio).

Quanto detto vale anche per la Qualità "Opera" (che in passato era chiamata anche "Ring"). Si tratta di un esercizio combinatorio che produce una qualità che si udirà raramente nella sua forma pura nella vita reale. Per inciso, si tratta di un colore vocale che si può sentire di più (in forme più o meno variate) nel canto barocco, rispetto all'opera verdiana e post-verdiana. A titolo puramente di curiosità, mi capita spesso di sentire - nei tenori operistici di oggi - come venga fatto uso di una permutazione della qualità "Belting" per gli acuti, più che una variazione della qualità "Opera". Ho l'impressione che quanto affermato possa rappresentare una vera e propria eresia per qualcuno..

10. Il canto è libertà, non controllo, ossessione per la precisione, qualità vocali, sirene e muscoli

Ritorniamo alla tripartizione iniziale che è veramente l'ABC del metodo e forse la prima cosa che viene detta nei corsi EVTS: CRAFT; ARTISTRY; METAPHYSICS. L'obiettivo è arrivare alla parte "metafisica", alla "magia dell'esecuzione", all'essere nel momento presente, liberi da qualsiasi impedimento. Il pensare alla "tecnica" è uno di questi impedimenti, ma allo stesso tempo non possiamo esimerci dallo studio tecnico. Il fatto è che quando studiamo la "Craft", dobbiamo investire tutta la nostra attenzione cosciente sull'obiettivo (il modello di riferimento, in psicologia, si chiama "Focused Deliberate Practice") e, se lo studio è costante e sufficiente, i modelli motori saranno proceduralizzati e passeranno sotto il controllo di strutture cerebrali più profonde (come i gangli alla base), che ne permetteranno l'esecuzione automatica, senza dover pensare a tutti i passaggi della stessa. In altre parole, la "tecnica" va studiata, metabolizzata e poi "dimenticata" (nel senso di "rimossa dall'attenzione cosciente", la quale va rivolta alla performance, all'interpretazione, alla "metaphysics" appunto). Si passerà quindi da una competenza cosciente ad una competenza inconscia, che libererà risorse attentive da dedicare ad altro (il messaggio). 



La libertà è il risultato di una competenza tecnica, puntare alla libertà prima di aver acquisito la "craft" è come dire ad una ragazza che non ha mai ballato in vita sua che per fare la spaccata in volo basta liberare la mente e rilassarsi.




Per ulteriori informazioni sull'EVTS potete consultare la pagina ufficiale: www.estillvoice.com. Nessun testo, articolo o post, tuttavia, può essere paragonato allo studio con un insegnante certificato EVTS. Potete trovare una lista qui: http://www.estillvoice.com/instructors/search
Per informazioni sulla mia metodologia didattica (che, ripeto, non si basa soltanto sull'EVTS): http://www.dynamicalvoice.com/Dinamical.html
Per informazioni sull'EVTS sul mio sito: http://www.dynamicalvoice.com/estill.html