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mercoledì 10 maggio 2017

Sei un cattivo vocal coach?

Alcuni comportamenti sono incompatibili con l'essere coach e dannosi per l'intero contesto professionale






























Basta accedere ad un social - in modo particolare Facebook - ed entrare in un forum o gruppo di "discussione" per docenti di canto/tecnica vocale per accorgersene: il livello di competizione è alle stelle. Spesso sembra che lo schema di pensiero che sta alla base di chi pubblica post e commenti scaturisca direttamente dal quesito: "Come posso dimostrare di essere superiore a questi altri docenti/coach/metodi?". Chiaramente si tratta di un modus cogitandi et operandi di dubbia efficacia, che ha come conseguenza la creazione di una cultura professionale che, a conti fatti, nuoce all'allievo, al docente, e a tutta la comunità didattica. 
Il vocal coach (o aspirante tale) che si affacci a tale mondo (e tale Weltanschauung) imparerà ad accettare come "normali" atteggiamenti e tratti cognitivo-comportamentali quali:

-Arroganza nei confronti di colleghi, allievi (di altri docenti) e altre persone con cui comunicano;

-Sensazione di dover provare costantemente il proprio "valore" a tutti quelli con cui entrano in contatto;

-Comportamento "territoriale" inappropriato;

-Parlare male degli altri coach/insegnanti nel tentativo di guadagnare nuovi clienti;

-Adottare strategie di marketing che - invece di promuovere (giustamente) il proprio lavoro - screditano, squalificano o sminuiscono il lavoro altrui;

-Non promuovere - laddove possibile ed auspicabile - il lavoro degli altri istruttori, quando questi sono più qualificati di sé in determinate aree, credendo di ottenerne vantaggi personali ("accaparrarsi" o "tenersi" l'allievo);

-Copiare (anche nel senso di "scopiazzare i contenuti media o stampa") di altri insegnanti o coach - senza citarne le fonti - nel tentativo di dare un'immagine di sé che comunichi più competenza.

Invito ora chi legge (e anche chi scrive) a riguardarsi i punti qui elencati e a farsi un piccolo "esame di coscienza". Siamo colpevoli di tali condotte? O, se chi legge è allievo, forse ci si può interrogare sul proprio insegnante di canto ed il suo operato. La maggior parte delle caratteristiche che rendono un trainer (vocal coach, personal trainer, ...) un ottimo mentore sono il risultato dell'essere un essere umano compassionevole, una persona sensibile e attenta ai bisogni degli altri. Onestamente, credete che qualcuno che si "macchia" di alcuni dei "peccati" citati (o tutti) possa definirsi un buon vocal coach? Credete che possa avere e dimostrare un autentico interesse per le necessità di chi gli chiede di accompagnarlo in un percorso di sviluppo vocale? Mi sembra che l'unico risultato a cui possano portare tali azioni e stili di marketing sia il disprezzo verso gli altri, la calunnia facile, a volte l'offesa, e - credetemi - chi agisce in tal modo finirà per essere ripagato con la stessa moneta. Perché così facendo si alimenta la cultura della concorrenza disfunzionale e malsana, del pugnalare alle spalle e dell'imbarazzante narcisismo ed egocentrismo di personalità insicure. E, soprattutto, tali comportamenti hanno un effetto negativo sulla persona più importante: i nostri allievi, studenti, clienti e pazienti.

Ed ecco il punto dolente: molti di noi tendono a pensare sempre a SE stessi, a ciò che NOI possiamo guadagnare dalla situazione, come NOI possiamo metterci in ottima luce e promuoverci a discapito degli altri, come NOI possiamo "vincere" - spesso più sofisticamente che logicamente - una sterile diatriba online su quale metodo sia meglio di un altro, a quanto NOI possiamo guadagnare - in termini prettamente finanziari o in termini di "autostima"- se riusciamo a causare il "fallimento" degli altri trainer.


Tali atteggiamenti sussistono - in parte - perché non esiste un codice deontologico messo per iscritto che preveda (come nel caso dei medici) che la calunnia e la critica dei colleghi è da bandire. Ma abbiamo realmente bisogno di un codice scritto per comprendere che tali atteggiamenti sono inutili, controproducenti e - francamente - puerili?
A questo punto mi si potrebbe ribattere che - quando si assiste a modalità di insegnamento nocive e poco efficaci - si ha il DOVERE di "mettere in guardia" gli allievi - che ne trarranno solo danni o false promesse - nonché gli insegnanti stessi che "stanno sbagliando strada". Dopotutto - mi si rimarcherà - quando un insegnante dice ad un allievo di "spingere l'aria", o di "urlare", o di emettere "un versaccio" (...), siamo palesemente di fronte ad un didatta incompetente e ad un allievo in pericolo per la propria salute vocale.. La risposta è "Sì, ma...".

E' sì sbagliato spingere troppa aria, ma - in determinate condizioni - l'allievo potrebbe aver bisogno di più aria per raggiungere l'obiettivo che si pone.

E' sì sbagliato "urlare", ma - in determinate condizioni - l'allievo potrebbe beneficiare di una tale istruzione, ad esempio quando usa troppa poca energia, e pensando all'urlo può ottenere sonorità paradossalmente più sane.

E' esteticamente sgradevole "emettere versacci", ma tali suoni potrebbero - in determinate condizioni - risultare utili a livello tecnico o anche a livello psicologico per "sbloccare" certi schemi motori ed esplorarne altri.

In molti altri casi vale la regola del "Sì, ma...", e le "determinate condizioni" sono estremamente numerose, dato che gli allievi sono estremamente diversi uno rispetto all'altro. Ragion per cui - forse - bisognerebbe pensarci due volte prima di criticare l'approccio didattico altrui senza sapere esattamente a cosa mira, o a che punto del programma viene prevista una determinata istruzione. Paradossalmente, indicazioni opposte possono portare allo stesso risultato, se non altro perché una cosa è il contenuto semantico dell'istruzione stessa, altra cosa è l'interpretazione che ne dà l'allievo ed il gesto neuromuscolare/vocale che ne consegue.

"Sì, ma...", mi si dirà a questo punto, "Se si sente che un allievo è calante, stonato, bisogna "salvare" l'allievo da quel docente incompetente!". Innanzitutto bisogna vedere cosa si intende per "stonato", se si tratta di un vizio d'emissione costante, o se si tratta di imprecisione in alcune note. Bisogna poi vedere il contesto: si tratta di una lezione o di un live? Se è un live, siamo sicuri che l'imprecisione frequenziale sia da imputare a cattiva tecnica e - quindi - ad un cattivo docente, e non a fattori di sound engineering? Se è una lezione, la domanda da porsi è: da che livello è partito l'allievo? Questo è il risultato finale o uno step di un processo a lungo termine? Siamo sicuri che si tratti di intonazione calante e non di effetti di registrazione o di acustica ambientale che influenzano l'input e l'output sonori? Siamo sicuri che non sia semplicemente che lo spettro sonoro di quella specifica qualità timbrica non è di nostro gradimento?

"Sì, ma... se un docente sta danneggiando l'apparato pneumofonico di un allievo bisogna intervenire!". Sì, ma... siamo sicuri che l'insegnante stia effettivamente arrecando danni a breve o lungo termine all'allievo? Da cosa lo deduciamo? Non è forse l'allievo che, primo fra tutti, stabilisce se una certa modalità di emissione gli fa male o meno male, una volta che è stato adeguatamente educato in merito ai segnali d'allarme da tenere sott'occhio?

"Sì, ma... se l'allievo viene preso in giro dall'insegnante, se sta spendendo male il suo danaro, è giusto che lo sappia!". Sì, certo, ma forse allora bisognerebbe parlare direttamente con il ragazzo o la ragazza e, magari, pure con l'insegnante, al fine di capire la situazione - se è vero che ci sta a cuore il percorso dello studente - e non "approfittare" della situazione per screditare, su una piattaforma pubblica, l'operato di un collega.

Basta fare una semplice ricerca in internet (youtube, google, facebook...) per trovare testi o video che indicano - a lor dire - le caratteristiche di un cattivo o buon insegnante di canto. Basta avere un pizzico di "cervello" per capire che, spesso, tali scritti o produzioni multimediali non sono altro che un'ode a chi li ha elaborati... e non ci sarebbe nulla di male, se non contenessero altresì una serie di accuse o addirittura ridicolizzazioni del lavoro altrui. 

Chi è in possesso di nozioni basilari di psicologia sociale riconoscerà, in tale modo di fare, delle reazioni tipiche ai cosiddetti "dilemmi sociali" (il "dilemma del prigioniero" e la "tragedia delle risorse comuni" ne sono gli esempi più classici); sappiamo però, sempre da questa branca della psicologia, che il modo più efficace per risolvere i conflitti prevede le quattro C:

-Contatto

-Cooperazione

-Comunicazione

-Conciliazione






























Per rendere migliore il nostro contesto lavorativo e l'intera "industria", dobbiamo stabilire un contatto alla pari tra colleghi, senza sentirci minacciati gli uni dagli altri; 
dobbiamo quindi cooperare, rendendoci conto che un team è sempre più efficace di un individuo singolo "tuttofare", a patto che la squadra sia compatta e domini un clima di fiducia; dobbiamo comunicare con l'apertura mentale che ci permetta di comprendere quanto, moltissime volte, stiamo semplicemente esprimendo la stessa idea con linguaggi diversi, oppure che stiamo vedendo lo stesso fenomeno da diverse prospettive, tutte (più o meno) altrettanto valide, e soprattutto imparare ad ascoltare attentamente prima di cercare di controbattere; dobbiamo quindi trovare una conciliazione, stabilendo una rete di collaborazione che ci permetta, se necessario, di inviare l'allievo a persone più specializzate di noi in determinati ambiti, il tutto per il bene della persona più importante: lo studente/cliente/paziente.


Gli altri coach non sono "la concorrenza", sono i nostri colleghi, nostri pari, la nostra "squadra". Il panorama didattico vocale deve diventare più umano e al servizio del cliente, smettendo di essere (specialmente online) l'arena di qualche autoproclamatosi "guru" dai tratti di personalità discutibili che "combatte" contro chi aspira a diventarlo a sua volta. 






Be the change you want to see in the industry.

martedì 11 aprile 2017

I polipi cordali: cosa sono, come vengono, come si trattano, come si evitano



Le recenti dichiarazioni del nostro Liga nazionale, che ha dovuto interrompere la tournée a causa di una lesione cordale (un "polipo"), hanno scatenato una serie alquanto eterogenea di reazioni online. I fan, abbattuti, si chiedono quando potranno finalmente fruire di nuovo della voce del loro beniamino; alcuni giornalisti e blogger "sensazionalisti" hanno descritto lo stato di salute del noto cantautore come se si trattasse di una grave patologia incurabile; alcuni "addetti ai lavori" hanno correlato la comparsa del polipo intracordale ad una mancanza di tecnica vocale adeguata, approfittando forse della spiacevole "patologia professionale" di un noto personaggio dello show business per racimolare consensi, sentirsi un po' superiori rispetto agli altri "coach" e, magari, accalappiarsi qualche cliente in più che voglia acquisire la "loro" tecnica che - straordinariamente - eviterà la comparsa di qualsiasi tipo di lesione all'interno delle loro preziose laringi. Peccato che alcune conoscenze basilari di fisiopatologia del "sistema vocale" basterebbero per mettere a tacere tutti coloro che hanno parlato o agito così a sproposito dopo l'annuncio del cantante.

Dynamicalvoice non è una clinica otorinolaringioatrica, né uno studio foniatrico. Riteniamo tuttavia che fare informazione sia un diritto e un dovere, e che chiarire in termini non troppo complessi la natura di tale patologia laringea possa essere d'aiuto a molti che usano la voce in maniera professionale. Ciò detto, ribadiamo che la diagnosi, il trattamento e la riabilitazione/rieducazione dei pazienti che soffrono o hanno sofferto di lesioni cordali spetta - per legge - all'ORL, al foniatra (che possono certamente richiedere consulti a colleghi medici e chirurghi di altre specialità) e al logopedista. Se avete dei dubbi circa il vostro stato di salute vocale (o dei vostri allievi e clienti) rivolgetevi a tali figure professionali.

I polipi cordali

Che cosa sono?

Un polipo cordale è una tumefazione (formazione neoplastica benigna) che si riscontra sull'epitelio delle pliche vocali, lungo il bordo vibrante delle stesse. Tale escrescenza può contenere:

- sangue: parliamo in questo caso di "polipo ematico o emorragico";

- materiale gelatinoso chiaro: parliamo in questo caso di "polipo ialino o gelatinoso";

-vasi sanguigni visibili: parliamo di "polipo angiomatoso o teleangectasico";

- tessuto cicatriziale: parliamo allora di "polipo fibroso".

Generalmente il polipo compare solo su una delle due pliche vocali (parliamo infatti di "polipo unilaterale"), ma potrebbe presentarsi anche su entrambe ("polipi bilaterali"). E' importante, dunque, distinguere bene - in fase diagnostica - i "polipi" dai "noduli" (sempre bilaterali). Per maggiori informazioni sui noduli, ivi incluse le differenze rispetto ad altre lesioni, leggi qui: NODULI CORDALI.

Possiamo distinguere due ulteriori categorie di polipi cordali:

- "Polipi sessili": hanno una base ampia e appaiono, in termini semplici, come una sorta di "punta", un "rialzo" sulla superficie cordale;


- "Polipi peduncolati": come suggerisce il nome, questi sembrano "fuoriuscire" dalla corda vocale come un "piede" o una sorta di "fungo".


Quali sintomi li accompagnano?

A livello uditivo si osserva raucedine (disfonia) e diplofonia (ovvero "sdoppiamento" percettivo della voce). Un polipo sessile tende generalmente a produrre una diplofonia più costante rispetto a quello peduncolato, il quale, avendo maggiore mobilità, muta spesso posizione durante l'atto fonatorio, dando così adito ad una diplofonia più sporadica.

All'esame endoscopico si riscontra spesso un'escrescenza (il polipo, appunto) che si muove con l'onda mucosa. Un polipo contenente fluido (tessuto ialino o ematico) è "morbido" e, generalmente, non è causa di irritazione alla plica controlaterale. Un polipo "duro", invece, è il risultato del materiale che contiene (sangue coagulato o tessuto fibroso) e, spesso, il punto d'arrivo di un processo di irritazione cronicizzata della lesione cordale.

E' interessante notare come, spesso, chi si vede diagnosticare un polipo cordale riesca a ricordare il momento esatto in cui la lesione si è prodotta. Generalmente i pazienti descrivono una sensazione di "piccolo scoppio" in gola, un "pop", che coincide probabilmente con la formazione dell'alterazione istologica.



Cosa causa i polipi cordali?

Polipi gelatinosi (ialini): spesso compaiono conseguentemente a tosse o ripetuti abusi vocali (come il grido);

Polipi ematici: sono una lesione molto comune nei cantanti e possono avere origine anche da un solo episodio di abuso vocale (ad esempio un forte grido ad elevata intensità), oppure da malmenage/surmenage di breve durata, spesso conseguenti ad alterazioni percettive dovute ad uno strumento vocale non in stato ottimale (basta il semplice raffreddore a compromettere la propriocezione... Ricordiamo che le pliche vocali presentano scarsissimi recettori del dolore, quindi sussiste il rischio di sottoporle ad ulteriore stress quando sono in stato flogistico).



Popolazione a rischio

-Chi fa uso di farmaci che fluidificano il sangue (anticoagulanti, antiaggreganti): l'assunzione di tali sostanze predispone maggiormente all'emorragia e quindi alla formazione di polipi ;

-Chi canta durante la sindrome pre-mestruale e persino durante un comune raffreddore: entrambi gli stati sono spesso accompagnati da dilatazione dei capillari all'interno delle pliche vocali;

-Chi tende a gridare (ad esempio in occasione degli eventi sportivi);

-Chi si trova a dover parlare o cantare con un ritorno acustico poco funzionale o con molto rumore di fondo, che rende arduo il controllo della vocalizzazione e del lavoro fonatorio ottimale;

-Chi fa uso della voce in una condizione sistemica alterata (che può essere conseguente, ad esempio, all'assunzione di alcol o di altre sostanze che tendono a mascherare la percezione vocale).

Terapia

L'ORL tende a raccomandare cicli di logopedia per vedere se la lesione si risolve senza intervento chirurgico. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, l'operazione di rimozione risulta necessaria (specie se il polipo in questione è peduncolato). Nel caso dei polipi sessili, invece, si riscontra occasionalmente una progressiva riduzione e riassorbimento in concomitanza a terapia e riabilitazione logopedica.

Nel corso dell'intervento chirurgico, lo strato epiteliale della plica vocale viene "sollevato" ed il polipo viene reciso ed asportato. Il chirurgo è sempre molto attento a non danneggiare (per quanto possibile) il bordo vibrante delle pliche, in modo da garantire il ritorno ad un'ottima dinamica adduttorio-vibratoria dopo la formazione del tessuto cicatriziale. Nel caso di polipi ematici, può rivelarsi necessario il ricorso al laser per cauterizzare i vasi sanguigni ad esso collegati e minimizzare la possibilità di una recidiva. Dopo l'operazione viene generalmente raccomandato il riposo vocale totale (da 3 a 5 giorni) per consentire la guarigione della ferita chirurgica. Di solito si fa seguire all'operazione una riabilitazione vocale logopedica di 4-12 settimane per rieducare il paziente ad un uso più funzionale della voce e prevenire le "ricadute" in comportamenti abusivi a rischio di lesioni.

Per maggiori informazioni sull'igiene vocale, leggi QUI.


 

lunedì 20 febbraio 2017

Introduzione al "Metodo" Stanislavskij



Non c'è attore - o aspirante tale - che non abbia sentito parlare del "metodo", ovvero della Scuola di Konstantin Stanislavskij. Le sue teorie ed idee, espresse in varie forme e modalità, rappresentano per molti la base del proprio training attoriale, e i principi su cui si basa il "metodo" permeano il nostro modo di pensare il teatro (e la recitazione) ed hanno influenzato quasi tutte le altre metodologie di formazione attoriale esistenti, direttamente o indirettamente. Eppure non mancano i critici. In un interessante saggio breve, l'attrice e acting coach Bella Merlin scrive a proposito di Stanislavskij:

<<And yet, bizarrely, he's often dismissed. Why so? Is it due to poor translations? Misdirected editors? Vainglorious gurus who clamor to "claim" him? Postmodern performers who consider psychology obsolete? Could it even be due to his own inability from time to time to express his ideas succinctly, with the result that his writings sometimes seem to go round in circles and muddy his practical propositions?>>.

In riferimento all'ultimo punto (il discorso dello stile di scrittura di Stanislavskij), la Merlin non ha proprio tutti i torti. Ricordo ancora che quando lessi - in età adolescenziale - gli scritti fondamentali dell'autore ("Il lavoro dell'attore su se stesso", 1938; "Il lavoro dell'attore sul personaggio", 1957), gli occhi scorrevano sulle pagine, ma il cervello spesso si distraeva e l'attenzione faticava a stare sulle parole. "Il lavoro dell'attore su se stesso" è scritto con lo stratagemma letterario del "diario" di un personaggio fittizio, "Kostya", un giovane ed appassionato studente in formazione sotto la guida del suo mentore, Tortsov. L'opera esplora i processi immaginativi dell'attore e sottolinea l'importanza dello sviluppo degli stessi, mentre il secondo libro si occupa della creazione concreta di un personaggio attraverso l'osservazione e l'analisi delle scelte fisiche e vocali operate, come nel primo lbro, da Kostya, sotto la guida di Tortsov. Esiste un ulteriore libro nella "Trilogia" di Stanislavskij, che io sappia non tradotto in italiano, ma di cui è stata realizzata una traduzione in lingua inglese dal titolo "Creating a Role", all'interno di cui si parla dello studio del copione, della vita interiore di un personaggio e di un ruolo, e della ricerca di una forma fisica/ un "contenitore" visibile per quel ruolo; il tutto avviene nel contesto dell'analisi di tre opere teatrali molto diverse tra loro: "Che disgrazia essere intelligenti", di Griboedov; l'"Otello" di Shakespeare; "L'Ispettore Generale" di Gogol. Il divario culturale tra la società di Stanislavskij e la nostra, tra il suo tempo ed il nostro, sono certamente fattori che contribuiscono alla poca accessibilità dei testi, alla difficoltà che si riscontra nel leggerli. Ma sospetto che Stanislavskij stesse chiarendo a se stesso i propri pensieri e formulando quelle idee nel momento stesso in cui le metteva per iscritto; in questo senso il diario di "Kostya" è certamente anche il diario di "Konstantin". Ciononostante, i tre scritti sovracitati contengono - a mio parere - la maggior parte delle risposte di cui gli attori hanno bisogno... se si compie lo sforzo di leggerli con attenzione e, spesso, di leggerne il messaggio tra le righe.


    

Credo che una delle ragioni per cui molti fraintendano Stanislavskij o non lo capiscano sia il fatto che - come ogni grande pensatore della storia - egli avesse un pensiero "fluido" (di contro a "statico"). Nel corso della sua carriera, infatti, egli cambiò anche in maniera piuttosto drastica le proprie idee. All'inizio della sua ricerca, il desiderio di creare un teatro maggiormente realistico lo portò ad interessarsi alla natura delle emozioni (vedi il concetto della "memoria emotiva"); successivamente riconobbe tuttavia delle lacune e delle imperfezioni nella sua teoria, e decise di dare più enfasi all'azione, rispetto alla memoria emotiva ("Metodo delle azioni fisiche"). Tale "evoluzione" storica del pensiero di Stanislavskij è stata alla base di numerose "fratture" all'interno di scuole statunitensi, le quali adottavano interpretazioni diverse dei "dettami" di Stanislavskij, oppure si focalizzavano su alcune parti tralasciandone altre; è questo il caso, a titolo esemplificativo, della diatriba tra Lee Strasberg e Stella Adler negli anni 40 del secolo scorso.



Che cos'è il Metodo Stanislavskij? Per rispondere a tale quesito, è innanzitutto fondamentale sapere che Stanislavskij non ha mai voluto creare un "metodo" o un "sistema". A parer mio, il lavoro di Stanislavskij va piuttosto interpretato come una "cassetta degli attrezzi" per la creatività, non certo come un sistema prescrittivo. Egli stesso sancì più volte come "l'unico ed indiscutibile sistema fosse individuabile nella natura stessa" (cfr. Moore, "The Stanislavsky System", 1984). Stanislaskij riconobbe come la realtà fisica e la realtà psicologica dell'attore e del personaggio debbano essere affrontate assieme, in quanto le due realtà si influenzano a vicenda.













Che cos'è la "memoria emotiva"? Si tratta di uno strumento sviluppato da Stanislavskij per mettere l'attore nelle condizioni di provare realmente una specifica emozione in un preciso momento dell'opera teatrale nei panni di un determinato personaggio. L'attore deve, in termini semplicistici, rievocare un evento che egli stesso ha vissuto al fine di risentire (e quindi "riprodurre" fisicamente) le sensazioni legate ad esso, aumentando quindi il realismo della scena. La teoria afferma che se l'attore si "allena" abbastanza intensamente ed abbastanza a lungo nella rievocazione emotiva durante le prove, l'emozione richiesta potrà essere richiamata e "attivata" sul palcoscenico nel momento in cui è richiesta, trasformandosi in riflesso condizionato. Negli ultimi cinque anni del suo lavoro e della sua vita, Stanislavskij si rese tuttavia conto che tale approccio era psicologicamente snervante e persino "pericoloso" per l'attore, ragion per cui si mise alla ricerca di altre soluzioni. Fu così che giunse alla conclusione che fosse il corpo stesso la chiave della ricreazione di emozioni realistiche sul palcoscenico, dando il via alla seconda fase dell'evoluzione del suo pensiero: il metodo delle "Azioni Fisiche".




Il "Metodo delle Azioni Fisiche" prevede che l'emozione possa essere stimolata e comunicata, sul palcoscenico, attraverso una serie di atti prettamente fisici (non direttamente psicologici): l'esecuzione di una sequenza precisa di azioni è in grado di richiamare e far salire in superficie memorie emotive "immagazzinate" nel corpo stesso (quest'ultima tesi di Stanislavskij, fra l'altro, trova conferma negli studi di Pavlov e Secheno). Il corpo, dunque, rappresenta una "piattaforma di lancio" per l'attore (Stanislavskij parlerebbe di "grammatica"), il quale - successivamente - dona valore artistico a tale "sostrato fisico/emotivo" attraverso la propria immaginazione.



Stanislavskij fornì altresì indicazioni su come si dovrebbe analizzare un copione, il quale - secondo l'autore - va concepito come una serie di azioni e relative conseguenze, e va scandagliato ponendosi sei quesiti basilari che oggi conosciamo con la definizione di "Circostanze date":





1. Chi? Ovvero: chi è specificamente il mio personaggio?Quali sono i dettagli riguardanti la sua vita, il suo passato? Come ha influito il suo vissuto sul suo modo di pensare e sulla sua visione del mondo?

2. Dove? Ovvero: in che paese mi trovo? In che punto della stanza sono? Come cambia il mio comportamento in riferimento al luogo in cui mi muovo?

3. Quando? Ovvero: in che periodo storico è ambientata l'azione? Quali episodi storici/clima politico/fenomeni culturali caratterizzano il momento? Quale momento della giornata (giorno o notte)? In che modo tali indicazioni temporali influenzano il comportamento del mio personaggio?

4. Perché? Ovvero: quali eventi hanno portato alle circostanze che sto vivendo? Perché mi trovo qui?

5. Cosa?/Per quale ragione? Ovvero: che cosa vuole il mio personaggio? Per quale ragione ho bisogno che una determinata cosa accada? (E' una domanda che prevede uno scavo psicologico più profondo rispetto a "Perché?").

6. Come? Ovvero: quale "piano" ho in mente per ottenere ciò che voglio? La risposta a questa domanda è in costante flusso, in quanto il mio "piano" cambierà costantemente in risposta/reazione ai "piani" degli altri personaggi.

Stanislavskij suggerisce di dividere il testo teatrale (e l'opera stessa) in singole "unità", definendole come porzioni di scena all'interno di cui l'attore cerca di realizzare un obiettivo (vedi circostanza data numero 5) attraverso un'azione specifica. E' importante, tuttavia, tenere sempre a mente che ogni personaggio all'interno di un'opera possiede un "super-obiettivo", ovvero una necessità "globale" che intende soddisfare nel corso dell'opera e, forse, nel corso della propria vita. Terry Hardcastle fornisce un chiaro esempio della differenza tra "obiettivo dell'unità" e "super-obiettivo": il "super-obiettivo" di Batman, il "lavoro" della sua vita, è quello di salvare Gotham City; nelle scene singole, l'"obiettivo dell'unità" può essere, di volta in volta, sconfiggere Bane, oppure entrare nelle grazie di Cat Woman... ma il tutto è a servizio del suo "super-obiettivo".


Un altro strumento fornito da Stanislavskij per conseguire l'agognato realismo sulla scena è il "Magico Se". Tale "tecnica" prevede che l'attore si metta nei panni del personaggio chiedendosi: "Se la stessa cosa accadesse a me, come mi sentirei? Come reagirei? Quali azioni fisiche adotterei? (...)". Così facendo, si può creare una separazione psicologicamente sana tra se stessi ed il personaggio. L'attrice che si trovi ad interpretare Medea, ad esempio, potrà interrogarsi con il "magico se" ("Cosa farei/Come mi sentirei/Che azioni compirei se avessi ucciso i miei bambini?") al posto di identificarsi con una strega infanticida (cosa che, psicologicamente, non è certo innocua).


Ma il testo non è tutto. Stanislavskij incitava i suoi attori ad elaborare il cosiddetto "Sottotesto". Proprio come gli esseri umani reali, anche i personaggi dei testi teatrali non sempre verbalizzano tutti i propri pensieri; sta quindi all'attore immaginare questo universo cognitivo ed emotivo soggiacente l'azione fisica, che rivela le vere intenzioni e la vera natura di un personaggio, ed esprimerlo attraverso il corpo e la voce. Come riporta la Moore (1984), Stanislavskij - certamente ispirato anche dal lavoro di Chekhov - affermò: "Gli spettatori vengono a teatro per sentire il sottotesto. Il testo lo possono leggere a casa".

Altra nozione importante che Stanislavskij consiglia di esplorare nell'elaborazione di un personaggio è quella di tempo-ritmo. Ogni personaggio ed ogni emozione ha un preciso tempo-ritmo intrinseco, così come ogni individuo agisce fisicamente nel tempo-spazio in riflesso di un tempo-ritmo interno: spesso si dice, parlando un po' per stereotipi forse e giusto per fare un esempio che chiarisca il concetto, che i settentrionali hanno un "tempo-ritmo" più incalzante rispetto ai meridionali (confrontiamo come si muove la gente in metropolitana a Milano con il "ritmo della vita" in un paesino del Meridione).

Stanislavskij riteneva a ragione che l'attore dovesse allenare la propria voce come fa un cantante, e che il corpo dovesse essere flessibile ed elastico. L'eliminazione delle tensioni inutili (fisiche e psichiche) è un must, raggiungibile tramite espedienti fisici (esercizi di respirazione) ed immaginativi (ad esempio il famoso "cerchio d'attenzione", esercizio tramite cui si mira ad ottenere uno stato psicofisico di "solitudine pubblica", ovvero la capacità di agire in pubblico, mentre si viene osservati, come se fossimo in realtà da soli.


 Gli ultimi due concetti legati a Stanislavskij (per gli scopi di questo breve e dichiaratamente lacunoso articolo introduttivo) sono quelli di "comunione ed adattamento". Per comunicare con il pubblico, infatti, l'attore deve essere in piena comunione/comunicazione con gli altri attori. L'ascolto dell'altro è tutto, e l'attore deve "reagire" prima ancora di agire, in risposta alle azioni degli altri attori. Tenendo in vista l'obiettivo dell'unità specifica e il super-obiettivo, l'attore deve quindi adattare il proprio essere, reagire ed agire a quello degli altri; in questo modo le scene saranno sempre fluide e mai statiche, variabili e mai fisse (la metodologia di Meisner enfatizzerà ancora maggiormente tale aspetto).













Dynamicalvoice sostiene l'importanza dell'interpretazione - di stampo attoriale - anche per i cantanti, e ne sottolinea la validità altresì per i comunicatori e gli speaker.

Dynamicalvoice offre un corso specifico sul training vocale per l'attore.