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lunedì 20 febbraio 2017

Introduzione al "Metodo" Stanislavskij



Non c'è attore - o aspirante tale - che non abbia sentito parlare del "metodo", ovvero della Scuola di Konstantin Stanislavskij. Le sue teorie ed idee, espresse in varie forme e modalità, rappresentano per molti la base del proprio training attoriale, e i principi su cui si basa il "metodo" permeano il nostro modo di pensare il teatro (e la recitazione) ed hanno influenzato quasi tutte le altre metodologie di formazione attoriale esistenti, direttamente o indirettamente. Eppure non mancano i critici. In un interessante saggio breve, l'attrice e acting coach Bella Merlin scrive a proposito di Stanislavskij:

<<And yet, bizarrely, he's often dismissed. Why so? Is it due to poor translations? Misdirected editors? Vainglorious gurus who clamor to "claim" him? Postmodern performers who consider psychology obsolete? Could it even be due to his own inability from time to time to express his ideas succinctly, with the result that his writings sometimes seem to go round in circles and muddy his practical propositions?>>.

In riferimento all'ultimo punto (il discorso dello stile di scrittura di Stanislavskij), la Merlin non ha proprio tutti i torti. Ricordo ancora che quando lessi - in età adolescenziale - gli scritti fondamentali dell'autore ("Il lavoro dell'attore su se stesso", 1938; "Il lavoro dell'attore sul personaggio", 1957), gli occhi scorrevano sulle pagine, ma il cervello spesso si distraeva e l'attenzione faticava a stare sulle parole. "Il lavoro dell'attore su se stesso" è scritto con lo stratagemma letterario del "diario" di un personaggio fittizio, "Kostya", un giovane ed appassionato studente in formazione sotto la guida del suo mentore, Tortsov. L'opera esplora i processi immaginativi dell'attore e sottolinea l'importanza dello sviluppo degli stessi, mentre il secondo libro si occupa della creazione concreta di un personaggio attraverso l'osservazione e l'analisi delle scelte fisiche e vocali operate, come nel primo lbro, da Kostya, sotto la guida di Tortsov. Esiste un ulteriore libro nella "Trilogia" di Stanislavskij, che io sappia non tradotto in italiano, ma di cui è stata realizzata una traduzione in lingua inglese dal titolo "Creating a Role", all'interno di cui si parla dello studio del copione, della vita interiore di un personaggio e di un ruolo, e della ricerca di una forma fisica/ un "contenitore" visibile per quel ruolo; il tutto avviene nel contesto dell'analisi di tre opere teatrali molto diverse tra loro: "Che disgrazia essere intelligenti", di Griboedov; l'"Otello" di Shakespeare; "L'Ispettore Generale" di Gogol. Il divario culturale tra la società di Stanislavskij e la nostra, tra il suo tempo ed il nostro, sono certamente fattori che contribuiscono alla poca accessibilità dei testi, alla difficoltà che si riscontra nel leggerli. Ma sospetto che Stanislavskij stesse chiarendo a se stesso i propri pensieri e formulando quelle idee nel momento stesso in cui le metteva per iscritto; in questo senso il diario di "Kostya" è certamente anche il diario di "Konstantin". Ciononostante, i tre scritti sovracitati contengono - a mio parere - la maggior parte delle risposte di cui gli attori hanno bisogno... se si compie lo sforzo di leggerli con attenzione e, spesso, di leggerne il messaggio tra le righe.


    

Credo che una delle ragioni per cui molti fraintendano Stanislavskij o non lo capiscano sia il fatto che - come ogni grande pensatore della storia - egli avesse un pensiero "fluido" (di contro a "statico"). Nel corso della sua carriera, infatti, egli cambiò anche in maniera piuttosto drastica le proprie idee. All'inizio della sua ricerca, il desiderio di creare un teatro maggiormente realistico lo portò ad interessarsi alla natura delle emozioni (vedi il concetto della "memoria emotiva"); successivamente riconobbe tuttavia delle lacune e delle imperfezioni nella sua teoria, e decise di dare più enfasi all'azione, rispetto alla memoria emotiva ("Metodo delle azioni fisiche"). Tale "evoluzione" storica del pensiero di Stanislavskij è stata alla base di numerose "fratture" all'interno di scuole statunitensi, le quali adottavano interpretazioni diverse dei "dettami" di Stanislavskij, oppure si focalizzavano su alcune parti tralasciandone altre; è questo il caso, a titolo esemplificativo, della diatriba tra Lee Strasberg e Stella Adler negli anni 40 del secolo scorso.



Che cos'è il Metodo Stanislavskij? Per rispondere a tale quesito, è innanzitutto fondamentale sapere che Stanislavskij non ha mai voluto creare un "metodo" o un "sistema". A parer mio, il lavoro di Stanislavskij va piuttosto interpretato come una "cassetta degli attrezzi" per la creatività, non certo come un sistema prescrittivo. Egli stesso sancì più volte come "l'unico ed indiscutibile sistema fosse individuabile nella natura stessa" (cfr. Moore, "The Stanislavsky System", 1984). Stanislaskij riconobbe come la realtà fisica e la realtà psicologica dell'attore e del personaggio debbano essere affrontate assieme, in quanto le due realtà si influenzano a vicenda.













Che cos'è la "memoria emotiva"? Si tratta di uno strumento sviluppato da Stanislavskij per mettere l'attore nelle condizioni di provare realmente una specifica emozione in un preciso momento dell'opera teatrale nei panni di un determinato personaggio. L'attore deve, in termini semplicistici, rievocare un evento che egli stesso ha vissuto al fine di risentire (e quindi "riprodurre" fisicamente) le sensazioni legate ad esso, aumentando quindi il realismo della scena. La teoria afferma che se l'attore si "allena" abbastanza intensamente ed abbastanza a lungo nella rievocazione emotiva durante le prove, l'emozione richiesta potrà essere richiamata e "attivata" sul palcoscenico nel momento in cui è richiesta, trasformandosi in riflesso condizionato. Negli ultimi cinque anni del suo lavoro e della sua vita, Stanislavskij si rese tuttavia conto che tale approccio era psicologicamente snervante e persino "pericoloso" per l'attore, ragion per cui si mise alla ricerca di altre soluzioni. Fu così che giunse alla conclusione che fosse il corpo stesso la chiave della ricreazione di emozioni realistiche sul palcoscenico, dando il via alla seconda fase dell'evoluzione del suo pensiero: il metodo delle "Azioni Fisiche".




Il "Metodo delle Azioni Fisiche" prevede che l'emozione possa essere stimolata e comunicata, sul palcoscenico, attraverso una serie di atti prettamente fisici (non direttamente psicologici): l'esecuzione di una sequenza precisa di azioni è in grado di richiamare e far salire in superficie memorie emotive "immagazzinate" nel corpo stesso (quest'ultima tesi di Stanislavskij, fra l'altro, trova conferma negli studi di Pavlov e Secheno). Il corpo, dunque, rappresenta una "piattaforma di lancio" per l'attore (Stanislavskij parlerebbe di "grammatica"), il quale - successivamente - dona valore artistico a tale "sostrato fisico/emotivo" attraverso la propria immaginazione.



Stanislavskij fornì altresì indicazioni su come si dovrebbe analizzare un copione, il quale - secondo l'autore - va concepito come una serie di azioni e relative conseguenze, e va scandagliato ponendosi sei quesiti basilari che oggi conosciamo con la definizione di "Circostanze date":





1. Chi? Ovvero: chi è specificamente il mio personaggio?Quali sono i dettagli riguardanti la sua vita, il suo passato? Come ha influito il suo vissuto sul suo modo di pensare e sulla sua visione del mondo?

2. Dove? Ovvero: in che paese mi trovo? In che punto della stanza sono? Come cambia il mio comportamento in riferimento al luogo in cui mi muovo?

3. Quando? Ovvero: in che periodo storico è ambientata l'azione? Quali episodi storici/clima politico/fenomeni culturali caratterizzano il momento? Quale momento della giornata (giorno o notte)? In che modo tali indicazioni temporali influenzano il comportamento del mio personaggio?

4. Perché? Ovvero: quali eventi hanno portato alle circostanze che sto vivendo? Perché mi trovo qui?

5. Cosa?/Per quale ragione? Ovvero: che cosa vuole il mio personaggio? Per quale ragione ho bisogno che una determinata cosa accada? (E' una domanda che prevede uno scavo psicologico più profondo rispetto a "Perché?").

6. Come? Ovvero: quale "piano" ho in mente per ottenere ciò che voglio? La risposta a questa domanda è in costante flusso, in quanto il mio "piano" cambierà costantemente in risposta/reazione ai "piani" degli altri personaggi.

Stanislavskij suggerisce di dividere il testo teatrale (e l'opera stessa) in singole "unità", definendole come porzioni di scena all'interno di cui l'attore cerca di realizzare un obiettivo (vedi circostanza data numero 5) attraverso un'azione specifica. E' importante, tuttavia, tenere sempre a mente che ogni personaggio all'interno di un'opera possiede un "super-obiettivo", ovvero una necessità "globale" che intende soddisfare nel corso dell'opera e, forse, nel corso della propria vita. Terry Hardcastle fornisce un chiaro esempio della differenza tra "obiettivo dell'unità" e "super-obiettivo": il "super-obiettivo" di Batman, il "lavoro" della sua vita, è quello di salvare Gotham City; nelle scene singole, l'"obiettivo dell'unità" può essere, di volta in volta, sconfiggere Bane, oppure entrare nelle grazie di Cat Woman... ma il tutto è a servizio del suo "super-obiettivo".


Un altro strumento fornito da Stanislavskij per conseguire l'agognato realismo sulla scena è il "Magico Se". Tale "tecnica" prevede che l'attore si metta nei panni del personaggio chiedendosi: "Se la stessa cosa accadesse a me, come mi sentirei? Come reagirei? Quali azioni fisiche adotterei? (...)". Così facendo, si può creare una separazione psicologicamente sana tra se stessi ed il personaggio. L'attrice che si trovi ad interpretare Medea, ad esempio, potrà interrogarsi con il "magico se" ("Cosa farei/Come mi sentirei/Che azioni compirei se avessi ucciso i miei bambini?") al posto di identificarsi con una strega infanticida (cosa che, psicologicamente, non è certo innocua).


Ma il testo non è tutto. Stanislavskij incitava i suoi attori ad elaborare il cosiddetto "Sottotesto". Proprio come gli esseri umani reali, anche i personaggi dei testi teatrali non sempre verbalizzano tutti i propri pensieri; sta quindi all'attore immaginare questo universo cognitivo ed emotivo soggiacente l'azione fisica, che rivela le vere intenzioni e la vera natura di un personaggio, ed esprimerlo attraverso il corpo e la voce. Come riporta la Moore (1984), Stanislavskij - certamente ispirato anche dal lavoro di Chekhov - affermò: "Gli spettatori vengono a teatro per sentire il sottotesto. Il testo lo possono leggere a casa".

Altra nozione importante che Stanislavskij consiglia di esplorare nell'elaborazione di un personaggio è quella di tempo-ritmo. Ogni personaggio ed ogni emozione ha un preciso tempo-ritmo intrinseco, così come ogni individuo agisce fisicamente nel tempo-spazio in riflesso di un tempo-ritmo interno: spesso si dice, parlando un po' per stereotipi forse e giusto per fare un esempio che chiarisca il concetto, che i settentrionali hanno un "tempo-ritmo" più incalzante rispetto ai meridionali (confrontiamo come si muove la gente in metropolitana a Milano con il "ritmo della vita" in un paesino del Meridione).

Stanislavskij riteneva a ragione che l'attore dovesse allenare la propria voce come fa un cantante, e che il corpo dovesse essere flessibile ed elastico. L'eliminazione delle tensioni inutili (fisiche e psichiche) è un must, raggiungibile tramite espedienti fisici (esercizi di respirazione) ed immaginativi (ad esempio il famoso "cerchio d'attenzione", esercizio tramite cui si mira ad ottenere uno stato psicofisico di "solitudine pubblica", ovvero la capacità di agire in pubblico, mentre si viene osservati, come se fossimo in realtà da soli.


 Gli ultimi due concetti legati a Stanislavskij (per gli scopi di questo breve e dichiaratamente lacunoso articolo introduttivo) sono quelli di "comunione ed adattamento". Per comunicare con il pubblico, infatti, l'attore deve essere in piena comunione/comunicazione con gli altri attori. L'ascolto dell'altro è tutto, e l'attore deve "reagire" prima ancora di agire, in risposta alle azioni degli altri attori. Tenendo in vista l'obiettivo dell'unità specifica e il super-obiettivo, l'attore deve quindi adattare il proprio essere, reagire ed agire a quello degli altri; in questo modo le scene saranno sempre fluide e mai statiche, variabili e mai fisse (la metodologia di Meisner enfatizzerà ancora maggiormente tale aspetto).













Dynamicalvoice sostiene l'importanza dell'interpretazione - di stampo attoriale - anche per i cantanti, e ne sottolinea la validità altresì per i comunicatori e gli speaker.

Dynamicalvoice offre un corso specifico sul training vocale per l'attore. 

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