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mercoledì 10 maggio 2017

Sei un cattivo vocal coach?

Alcuni comportamenti sono incompatibili con l'essere coach e dannosi per l'intero contesto professionale






























Basta accedere ad un social - in modo particolare Facebook - ed entrare in un forum o gruppo di "discussione" per docenti di canto/tecnica vocale per accorgersene: il livello di competizione è alle stelle. Spesso sembra che lo schema di pensiero che sta alla base di chi pubblica post e commenti scaturisca direttamente dal quesito: "Come posso dimostrare di essere superiore a questi altri docenti/coach/metodi?". Chiaramente si tratta di un modus cogitandi et operandi di dubbia efficacia, che ha come conseguenza la creazione di una cultura professionale che, a conti fatti, nuoce all'allievo, al docente, e a tutta la comunità didattica. 
Il vocal coach (o aspirante tale) che si affacci a tale mondo (e tale Weltanschauung) imparerà ad accettare come "normali" atteggiamenti e tratti cognitivo-comportamentali quali:

-Arroganza nei confronti di colleghi, allievi (di altri docenti) e altre persone con cui comunicano;

-Sensazione di dover provare costantemente il proprio "valore" a tutti quelli con cui entrano in contatto;

-Comportamento "territoriale" inappropriato;

-Parlare male degli altri coach/insegnanti nel tentativo di guadagnare nuovi clienti;

-Adottare strategie di marketing che - invece di promuovere (giustamente) il proprio lavoro - screditano, squalificano o sminuiscono il lavoro altrui;

-Non promuovere - laddove possibile ed auspicabile - il lavoro degli altri istruttori, quando questi sono più qualificati di sé in determinate aree, credendo di ottenerne vantaggi personali ("accaparrarsi" o "tenersi" l'allievo);

-Copiare (anche nel senso di "scopiazzare i contenuti media o stampa") di altri insegnanti o coach - senza citarne le fonti - nel tentativo di dare un'immagine di sé che comunichi più competenza.

Invito ora chi legge (e anche chi scrive) a riguardarsi i punti qui elencati e a farsi un piccolo "esame di coscienza". Siamo colpevoli di tali condotte? O, se chi legge è allievo, forse ci si può interrogare sul proprio insegnante di canto ed il suo operato. La maggior parte delle caratteristiche che rendono un trainer (vocal coach, personal trainer, ...) un ottimo mentore sono il risultato dell'essere un essere umano compassionevole, una persona sensibile e attenta ai bisogni degli altri. Onestamente, credete che qualcuno che si "macchia" di alcuni dei "peccati" citati (o tutti) possa definirsi un buon vocal coach? Credete che possa avere e dimostrare un autentico interesse per le necessità di chi gli chiede di accompagnarlo in un percorso di sviluppo vocale? Mi sembra che l'unico risultato a cui possano portare tali azioni e stili di marketing sia il disprezzo verso gli altri, la calunnia facile, a volte l'offesa, e - credetemi - chi agisce in tal modo finirà per essere ripagato con la stessa moneta. Perché così facendo si alimenta la cultura della concorrenza disfunzionale e malsana, del pugnalare alle spalle e dell'imbarazzante narcisismo ed egocentrismo di personalità insicure. E, soprattutto, tali comportamenti hanno un effetto negativo sulla persona più importante: i nostri allievi, studenti, clienti e pazienti.

Ed ecco il punto dolente: molti di noi tendono a pensare sempre a SE stessi, a ciò che NOI possiamo guadagnare dalla situazione, come NOI possiamo metterci in ottima luce e promuoverci a discapito degli altri, come NOI possiamo "vincere" - spesso più sofisticamente che logicamente - una sterile diatriba online su quale metodo sia meglio di un altro, a quanto NOI possiamo guadagnare - in termini prettamente finanziari o in termini di "autostima"- se riusciamo a causare il "fallimento" degli altri trainer.


Tali atteggiamenti sussistono - in parte - perché non esiste un codice deontologico messo per iscritto che preveda (come nel caso dei medici) che la calunnia e la critica dei colleghi è da bandire. Ma abbiamo realmente bisogno di un codice scritto per comprendere che tali atteggiamenti sono inutili, controproducenti e - francamente - puerili?
A questo punto mi si potrebbe ribattere che - quando si assiste a modalità di insegnamento nocive e poco efficaci - si ha il DOVERE di "mettere in guardia" gli allievi - che ne trarranno solo danni o false promesse - nonché gli insegnanti stessi che "stanno sbagliando strada". Dopotutto - mi si rimarcherà - quando un insegnante dice ad un allievo di "spingere l'aria", o di "urlare", o di emettere "un versaccio" (...), siamo palesemente di fronte ad un didatta incompetente e ad un allievo in pericolo per la propria salute vocale.. La risposta è "Sì, ma...".

E' sì sbagliato spingere troppa aria, ma - in determinate condizioni - l'allievo potrebbe aver bisogno di più aria per raggiungere l'obiettivo che si pone.

E' sì sbagliato "urlare", ma - in determinate condizioni - l'allievo potrebbe beneficiare di una tale istruzione, ad esempio quando usa troppa poca energia, e pensando all'urlo può ottenere sonorità paradossalmente più sane.

E' esteticamente sgradevole "emettere versacci", ma tali suoni potrebbero - in determinate condizioni - risultare utili a livello tecnico o anche a livello psicologico per "sbloccare" certi schemi motori ed esplorarne altri.

In molti altri casi vale la regola del "Sì, ma...", e le "determinate condizioni" sono estremamente numerose, dato che gli allievi sono estremamente diversi uno rispetto all'altro. Ragion per cui - forse - bisognerebbe pensarci due volte prima di criticare l'approccio didattico altrui senza sapere esattamente a cosa mira, o a che punto del programma viene prevista una determinata istruzione. Paradossalmente, indicazioni opposte possono portare allo stesso risultato, se non altro perché una cosa è il contenuto semantico dell'istruzione stessa, altra cosa è l'interpretazione che ne dà l'allievo ed il gesto neuromuscolare/vocale che ne consegue.

"Sì, ma...", mi si dirà a questo punto, "Se si sente che un allievo è calante, stonato, bisogna "salvare" l'allievo da quel docente incompetente!". Innanzitutto bisogna vedere cosa si intende per "stonato", se si tratta di un vizio d'emissione costante, o se si tratta di imprecisione in alcune note. Bisogna poi vedere il contesto: si tratta di una lezione o di un live? Se è un live, siamo sicuri che l'imprecisione frequenziale sia da imputare a cattiva tecnica e - quindi - ad un cattivo docente, e non a fattori di sound engineering? Se è una lezione, la domanda da porsi è: da che livello è partito l'allievo? Questo è il risultato finale o uno step di un processo a lungo termine? Siamo sicuri che si tratti di intonazione calante e non di effetti di registrazione o di acustica ambientale che influenzano l'input e l'output sonori? Siamo sicuri che non sia semplicemente che lo spettro sonoro di quella specifica qualità timbrica non è di nostro gradimento?

"Sì, ma... se un docente sta danneggiando l'apparato pneumofonico di un allievo bisogna intervenire!". Sì, ma... siamo sicuri che l'insegnante stia effettivamente arrecando danni a breve o lungo termine all'allievo? Da cosa lo deduciamo? Non è forse l'allievo che, primo fra tutti, stabilisce se una certa modalità di emissione gli fa male o meno male, una volta che è stato adeguatamente educato in merito ai segnali d'allarme da tenere sott'occhio?

"Sì, ma... se l'allievo viene preso in giro dall'insegnante, se sta spendendo male il suo danaro, è giusto che lo sappia!". Sì, certo, ma forse allora bisognerebbe parlare direttamente con il ragazzo o la ragazza e, magari, pure con l'insegnante, al fine di capire la situazione - se è vero che ci sta a cuore il percorso dello studente - e non "approfittare" della situazione per screditare, su una piattaforma pubblica, l'operato di un collega.

Basta fare una semplice ricerca in internet (youtube, google, facebook...) per trovare testi o video che indicano - a lor dire - le caratteristiche di un cattivo o buon insegnante di canto. Basta avere un pizzico di "cervello" per capire che, spesso, tali scritti o produzioni multimediali non sono altro che un'ode a chi li ha elaborati... e non ci sarebbe nulla di male, se non contenessero altresì una serie di accuse o addirittura ridicolizzazioni del lavoro altrui. 

Chi è in possesso di nozioni basilari di psicologia sociale riconoscerà, in tale modo di fare, delle reazioni tipiche ai cosiddetti "dilemmi sociali" (il "dilemma del prigioniero" e la "tragedia delle risorse comuni" ne sono gli esempi più classici); sappiamo però, sempre da questa branca della psicologia, che il modo più efficace per risolvere i conflitti prevede le quattro C:

-Contatto

-Cooperazione

-Comunicazione

-Conciliazione






























Per rendere migliore il nostro contesto lavorativo e l'intera "industria", dobbiamo stabilire un contatto alla pari tra colleghi, senza sentirci minacciati gli uni dagli altri; 
dobbiamo quindi cooperare, rendendoci conto che un team è sempre più efficace di un individuo singolo "tuttofare", a patto che la squadra sia compatta e domini un clima di fiducia; dobbiamo comunicare con l'apertura mentale che ci permetta di comprendere quanto, moltissime volte, stiamo semplicemente esprimendo la stessa idea con linguaggi diversi, oppure che stiamo vedendo lo stesso fenomeno da diverse prospettive, tutte (più o meno) altrettanto valide, e soprattutto imparare ad ascoltare attentamente prima di cercare di controbattere; dobbiamo quindi trovare una conciliazione, stabilendo una rete di collaborazione che ci permetta, se necessario, di inviare l'allievo a persone più specializzate di noi in determinati ambiti, il tutto per il bene della persona più importante: lo studente/cliente/paziente.


Gli altri coach non sono "la concorrenza", sono i nostri colleghi, nostri pari, la nostra "squadra". Il panorama didattico vocale deve diventare più umano e al servizio del cliente, smettendo di essere (specialmente online) l'arena di qualche autoproclamatosi "guru" dai tratti di personalità discutibili che "combatte" contro chi aspira a diventarlo a sua volta. 






Be the change you want to see in the industry.

martedì 11 aprile 2017

I polipi cordali: cosa sono, come vengono, come si trattano, come si evitano



Le recenti dichiarazioni del nostro Liga nazionale, che ha dovuto interrompere la tournée a causa di una lesione cordale (un "polipo"), hanno scatenato una serie alquanto eterogenea di reazioni online. I fan, abbattuti, si chiedono quando potranno finalmente fruire di nuovo della voce del loro beniamino; alcuni giornalisti e blogger "sensazionalisti" hanno descritto lo stato di salute del noto cantautore come se si trattasse di una grave patologia incurabile; alcuni "addetti ai lavori" hanno correlato la comparsa del polipo intracordale ad una mancanza di tecnica vocale adeguata, approfittando forse della spiacevole "patologia professionale" di un noto personaggio dello show business per racimolare consensi, sentirsi un po' superiori rispetto agli altri "coach" e, magari, accalappiarsi qualche cliente in più che voglia acquisire la "loro" tecnica che - straordinariamente - eviterà la comparsa di qualsiasi tipo di lesione all'interno delle loro preziose laringi. Peccato che alcune conoscenze basilari di fisiopatologia del "sistema vocale" basterebbero per mettere a tacere tutti coloro che hanno parlato o agito così a sproposito dopo l'annuncio del cantante.

Dynamicalvoice non è una clinica otorinolaringioatrica, né uno studio foniatrico. Riteniamo tuttavia che fare informazione sia un diritto e un dovere, e che chiarire in termini non troppo complessi la natura di tale patologia laringea possa essere d'aiuto a molti che usano la voce in maniera professionale. Ciò detto, ribadiamo che la diagnosi, il trattamento e la riabilitazione/rieducazione dei pazienti che soffrono o hanno sofferto di lesioni cordali spetta - per legge - all'ORL, al foniatra (che possono certamente richiedere consulti a colleghi medici e chirurghi di altre specialità) e al logopedista. Se avete dei dubbi circa il vostro stato di salute vocale (o dei vostri allievi e clienti) rivolgetevi a tali figure professionali.

I polipi cordali

Che cosa sono?

Un polipo cordale è una tumefazione (formazione neoplastica benigna) che si riscontra sull'epitelio delle pliche vocali, lungo il bordo vibrante delle stesse. Tale escrescenza può contenere:

- sangue: parliamo in questo caso di "polipo ematico o emorragico";

- materiale gelatinoso chiaro: parliamo in questo caso di "polipo ialino o gelatinoso";

-vasi sanguigni visibili: parliamo di "polipo angiomatoso o teleangectasico";

- tessuto cicatriziale: parliamo allora di "polipo fibroso".

Generalmente il polipo compare solo su una delle due pliche vocali (parliamo infatti di "polipo unilaterale"), ma potrebbe presentarsi anche su entrambe ("polipi bilaterali"). E' importante, dunque, distinguere bene - in fase diagnostica - i "polipi" dai "noduli" (sempre bilaterali). Per maggiori informazioni sui noduli, ivi incluse le differenze rispetto ad altre lesioni, leggi qui: NODULI CORDALI.

Possiamo distinguere due ulteriori categorie di polipi cordali:

- "Polipi sessili": hanno una base ampia e appaiono, in termini semplici, come una sorta di "punta", un "rialzo" sulla superficie cordale;


- "Polipi peduncolati": come suggerisce il nome, questi sembrano "fuoriuscire" dalla corda vocale come un "piede" o una sorta di "fungo".


Quali sintomi li accompagnano?

A livello uditivo si osserva raucedine (disfonia) e diplofonia (ovvero "sdoppiamento" percettivo della voce). Un polipo sessile tende generalmente a produrre una diplofonia più costante rispetto a quello peduncolato, il quale, avendo maggiore mobilità, muta spesso posizione durante l'atto fonatorio, dando così adito ad una diplofonia più sporadica.

All'esame endoscopico si riscontra spesso un'escrescenza (il polipo, appunto) che si muove con l'onda mucosa. Un polipo contenente fluido (tessuto ialino o ematico) è "morbido" e, generalmente, non è causa di irritazione alla plica controlaterale. Un polipo "duro", invece, è il risultato del materiale che contiene (sangue coagulato o tessuto fibroso) e, spesso, il punto d'arrivo di un processo di irritazione cronicizzata della lesione cordale.

E' interessante notare come, spesso, chi si vede diagnosticare un polipo cordale riesca a ricordare il momento esatto in cui la lesione si è prodotta. Generalmente i pazienti descrivono una sensazione di "piccolo scoppio" in gola, un "pop", che coincide probabilmente con la formazione dell'alterazione istologica.



Cosa causa i polipi cordali?

Polipi gelatinosi (ialini): spesso compaiono conseguentemente a tosse o ripetuti abusi vocali (come il grido);

Polipi ematici: sono una lesione molto comune nei cantanti e possono avere origine anche da un solo episodio di abuso vocale (ad esempio un forte grido ad elevata intensità), oppure da malmenage/surmenage di breve durata, spesso conseguenti ad alterazioni percettive dovute ad uno strumento vocale non in stato ottimale (basta il semplice raffreddore a compromettere la propriocezione... Ricordiamo che le pliche vocali presentano scarsissimi recettori del dolore, quindi sussiste il rischio di sottoporle ad ulteriore stress quando sono in stato flogistico).



Popolazione a rischio

-Chi fa uso di farmaci che fluidificano il sangue (anticoagulanti, antiaggreganti): l'assunzione di tali sostanze predispone maggiormente all'emorragia e quindi alla formazione di polipi ;

-Chi canta durante la sindrome pre-mestruale e persino durante un comune raffreddore: entrambi gli stati sono spesso accompagnati da dilatazione dei capillari all'interno delle pliche vocali;

-Chi tende a gridare (ad esempio in occasione degli eventi sportivi);

-Chi si trova a dover parlare o cantare con un ritorno acustico poco funzionale o con molto rumore di fondo, che rende arduo il controllo della vocalizzazione e del lavoro fonatorio ottimale;

-Chi fa uso della voce in una condizione sistemica alterata (che può essere conseguente, ad esempio, all'assunzione di alcol o di altre sostanze che tendono a mascherare la percezione vocale).

Terapia

L'ORL tende a raccomandare cicli di logopedia per vedere se la lesione si risolve senza intervento chirurgico. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, l'operazione di rimozione risulta necessaria (specie se il polipo in questione è peduncolato). Nel caso dei polipi sessili, invece, si riscontra occasionalmente una progressiva riduzione e riassorbimento in concomitanza a terapia e riabilitazione logopedica.

Nel corso dell'intervento chirurgico, lo strato epiteliale della plica vocale viene "sollevato" ed il polipo viene reciso ed asportato. Il chirurgo è sempre molto attento a non danneggiare (per quanto possibile) il bordo vibrante delle pliche, in modo da garantire il ritorno ad un'ottima dinamica adduttorio-vibratoria dopo la formazione del tessuto cicatriziale. Nel caso di polipi ematici, può rivelarsi necessario il ricorso al laser per cauterizzare i vasi sanguigni ad esso collegati e minimizzare la possibilità di una recidiva. Dopo l'operazione viene generalmente raccomandato il riposo vocale totale (da 3 a 5 giorni) per consentire la guarigione della ferita chirurgica. Di solito si fa seguire all'operazione una riabilitazione vocale logopedica di 4-12 settimane per rieducare il paziente ad un uso più funzionale della voce e prevenire le "ricadute" in comportamenti abusivi a rischio di lesioni.

Per maggiori informazioni sull'igiene vocale, leggi QUI.


 

lunedì 20 febbraio 2017

Introduzione al "Metodo" Stanislavskij



Non c'è attore - o aspirante tale - che non abbia sentito parlare del "metodo", ovvero della Scuola di Konstantin Stanislavskij. Le sue teorie ed idee, espresse in varie forme e modalità, rappresentano per molti la base del proprio training attoriale, e i principi su cui si basa il "metodo" permeano il nostro modo di pensare il teatro (e la recitazione) ed hanno influenzato quasi tutte le altre metodologie di formazione attoriale esistenti, direttamente o indirettamente. Eppure non mancano i critici. In un interessante saggio breve, l'attrice e acting coach Bella Merlin scrive a proposito di Stanislavskij:

<<And yet, bizarrely, he's often dismissed. Why so? Is it due to poor translations? Misdirected editors? Vainglorious gurus who clamor to "claim" him? Postmodern performers who consider psychology obsolete? Could it even be due to his own inability from time to time to express his ideas succinctly, with the result that his writings sometimes seem to go round in circles and muddy his practical propositions?>>.

In riferimento all'ultimo punto (il discorso dello stile di scrittura di Stanislavskij), la Merlin non ha proprio tutti i torti. Ricordo ancora che quando lessi - in età adolescenziale - gli scritti fondamentali dell'autore ("Il lavoro dell'attore su se stesso", 1938; "Il lavoro dell'attore sul personaggio", 1957), gli occhi scorrevano sulle pagine, ma il cervello spesso si distraeva e l'attenzione faticava a stare sulle parole. "Il lavoro dell'attore su se stesso" è scritto con lo stratagemma letterario del "diario" di un personaggio fittizio, "Kostya", un giovane ed appassionato studente in formazione sotto la guida del suo mentore, Tortsov. L'opera esplora i processi immaginativi dell'attore e sottolinea l'importanza dello sviluppo degli stessi, mentre il secondo libro si occupa della creazione concreta di un personaggio attraverso l'osservazione e l'analisi delle scelte fisiche e vocali operate, come nel primo lbro, da Kostya, sotto la guida di Tortsov. Esiste un ulteriore libro nella "Trilogia" di Stanislavskij, che io sappia non tradotto in italiano, ma di cui è stata realizzata una traduzione in lingua inglese dal titolo "Creating a Role", all'interno di cui si parla dello studio del copione, della vita interiore di un personaggio e di un ruolo, e della ricerca di una forma fisica/ un "contenitore" visibile per quel ruolo; il tutto avviene nel contesto dell'analisi di tre opere teatrali molto diverse tra loro: "Che disgrazia essere intelligenti", di Griboedov; l'"Otello" di Shakespeare; "L'Ispettore Generale" di Gogol. Il divario culturale tra la società di Stanislavskij e la nostra, tra il suo tempo ed il nostro, sono certamente fattori che contribuiscono alla poca accessibilità dei testi, alla difficoltà che si riscontra nel leggerli. Ma sospetto che Stanislavskij stesse chiarendo a se stesso i propri pensieri e formulando quelle idee nel momento stesso in cui le metteva per iscritto; in questo senso il diario di "Kostya" è certamente anche il diario di "Konstantin". Ciononostante, i tre scritti sovracitati contengono - a mio parere - la maggior parte delle risposte di cui gli attori hanno bisogno... se si compie lo sforzo di leggerli con attenzione e, spesso, di leggerne il messaggio tra le righe.


    

Credo che una delle ragioni per cui molti fraintendano Stanislavskij o non lo capiscano sia il fatto che - come ogni grande pensatore della storia - egli avesse un pensiero "fluido" (di contro a "statico"). Nel corso della sua carriera, infatti, egli cambiò anche in maniera piuttosto drastica le proprie idee. All'inizio della sua ricerca, il desiderio di creare un teatro maggiormente realistico lo portò ad interessarsi alla natura delle emozioni (vedi il concetto della "memoria emotiva"); successivamente riconobbe tuttavia delle lacune e delle imperfezioni nella sua teoria, e decise di dare più enfasi all'azione, rispetto alla memoria emotiva ("Metodo delle azioni fisiche"). Tale "evoluzione" storica del pensiero di Stanislavskij è stata alla base di numerose "fratture" all'interno di scuole statunitensi, le quali adottavano interpretazioni diverse dei "dettami" di Stanislavskij, oppure si focalizzavano su alcune parti tralasciandone altre; è questo il caso, a titolo esemplificativo, della diatriba tra Lee Strasberg e Stella Adler negli anni 40 del secolo scorso.



Che cos'è il Metodo Stanislavskij? Per rispondere a tale quesito, è innanzitutto fondamentale sapere che Stanislavskij non ha mai voluto creare un "metodo" o un "sistema". A parer mio, il lavoro di Stanislavskij va piuttosto interpretato come una "cassetta degli attrezzi" per la creatività, non certo come un sistema prescrittivo. Egli stesso sancì più volte come "l'unico ed indiscutibile sistema fosse individuabile nella natura stessa" (cfr. Moore, "The Stanislavsky System", 1984). Stanislaskij riconobbe come la realtà fisica e la realtà psicologica dell'attore e del personaggio debbano essere affrontate assieme, in quanto le due realtà si influenzano a vicenda.













Che cos'è la "memoria emotiva"? Si tratta di uno strumento sviluppato da Stanislavskij per mettere l'attore nelle condizioni di provare realmente una specifica emozione in un preciso momento dell'opera teatrale nei panni di un determinato personaggio. L'attore deve, in termini semplicistici, rievocare un evento che egli stesso ha vissuto al fine di risentire (e quindi "riprodurre" fisicamente) le sensazioni legate ad esso, aumentando quindi il realismo della scena. La teoria afferma che se l'attore si "allena" abbastanza intensamente ed abbastanza a lungo nella rievocazione emotiva durante le prove, l'emozione richiesta potrà essere richiamata e "attivata" sul palcoscenico nel momento in cui è richiesta, trasformandosi in riflesso condizionato. Negli ultimi cinque anni del suo lavoro e della sua vita, Stanislavskij si rese tuttavia conto che tale approccio era psicologicamente snervante e persino "pericoloso" per l'attore, ragion per cui si mise alla ricerca di altre soluzioni. Fu così che giunse alla conclusione che fosse il corpo stesso la chiave della ricreazione di emozioni realistiche sul palcoscenico, dando il via alla seconda fase dell'evoluzione del suo pensiero: il metodo delle "Azioni Fisiche".




Il "Metodo delle Azioni Fisiche" prevede che l'emozione possa essere stimolata e comunicata, sul palcoscenico, attraverso una serie di atti prettamente fisici (non direttamente psicologici): l'esecuzione di una sequenza precisa di azioni è in grado di richiamare e far salire in superficie memorie emotive "immagazzinate" nel corpo stesso (quest'ultima tesi di Stanislavskij, fra l'altro, trova conferma negli studi di Pavlov e Secheno). Il corpo, dunque, rappresenta una "piattaforma di lancio" per l'attore (Stanislavskij parlerebbe di "grammatica"), il quale - successivamente - dona valore artistico a tale "sostrato fisico/emotivo" attraverso la propria immaginazione.



Stanislavskij fornì altresì indicazioni su come si dovrebbe analizzare un copione, il quale - secondo l'autore - va concepito come una serie di azioni e relative conseguenze, e va scandagliato ponendosi sei quesiti basilari che oggi conosciamo con la definizione di "Circostanze date":





1. Chi? Ovvero: chi è specificamente il mio personaggio?Quali sono i dettagli riguardanti la sua vita, il suo passato? Come ha influito il suo vissuto sul suo modo di pensare e sulla sua visione del mondo?

2. Dove? Ovvero: in che paese mi trovo? In che punto della stanza sono? Come cambia il mio comportamento in riferimento al luogo in cui mi muovo?

3. Quando? Ovvero: in che periodo storico è ambientata l'azione? Quali episodi storici/clima politico/fenomeni culturali caratterizzano il momento? Quale momento della giornata (giorno o notte)? In che modo tali indicazioni temporali influenzano il comportamento del mio personaggio?

4. Perché? Ovvero: quali eventi hanno portato alle circostanze che sto vivendo? Perché mi trovo qui?

5. Cosa?/Per quale ragione? Ovvero: che cosa vuole il mio personaggio? Per quale ragione ho bisogno che una determinata cosa accada? (E' una domanda che prevede uno scavo psicologico più profondo rispetto a "Perché?").

6. Come? Ovvero: quale "piano" ho in mente per ottenere ciò che voglio? La risposta a questa domanda è in costante flusso, in quanto il mio "piano" cambierà costantemente in risposta/reazione ai "piani" degli altri personaggi.

Stanislavskij suggerisce di dividere il testo teatrale (e l'opera stessa) in singole "unità", definendole come porzioni di scena all'interno di cui l'attore cerca di realizzare un obiettivo (vedi circostanza data numero 5) attraverso un'azione specifica. E' importante, tuttavia, tenere sempre a mente che ogni personaggio all'interno di un'opera possiede un "super-obiettivo", ovvero una necessità "globale" che intende soddisfare nel corso dell'opera e, forse, nel corso della propria vita. Terry Hardcastle fornisce un chiaro esempio della differenza tra "obiettivo dell'unità" e "super-obiettivo": il "super-obiettivo" di Batman, il "lavoro" della sua vita, è quello di salvare Gotham City; nelle scene singole, l'"obiettivo dell'unità" può essere, di volta in volta, sconfiggere Bane, oppure entrare nelle grazie di Cat Woman... ma il tutto è a servizio del suo "super-obiettivo".


Un altro strumento fornito da Stanislavskij per conseguire l'agognato realismo sulla scena è il "Magico Se". Tale "tecnica" prevede che l'attore si metta nei panni del personaggio chiedendosi: "Se la stessa cosa accadesse a me, come mi sentirei? Come reagirei? Quali azioni fisiche adotterei? (...)". Così facendo, si può creare una separazione psicologicamente sana tra se stessi ed il personaggio. L'attrice che si trovi ad interpretare Medea, ad esempio, potrà interrogarsi con il "magico se" ("Cosa farei/Come mi sentirei/Che azioni compirei se avessi ucciso i miei bambini?") al posto di identificarsi con una strega infanticida (cosa che, psicologicamente, non è certo innocua).


Ma il testo non è tutto. Stanislavskij incitava i suoi attori ad elaborare il cosiddetto "Sottotesto". Proprio come gli esseri umani reali, anche i personaggi dei testi teatrali non sempre verbalizzano tutti i propri pensieri; sta quindi all'attore immaginare questo universo cognitivo ed emotivo soggiacente l'azione fisica, che rivela le vere intenzioni e la vera natura di un personaggio, ed esprimerlo attraverso il corpo e la voce. Come riporta la Moore (1984), Stanislavskij - certamente ispirato anche dal lavoro di Chekhov - affermò: "Gli spettatori vengono a teatro per sentire il sottotesto. Il testo lo possono leggere a casa".

Altra nozione importante che Stanislavskij consiglia di esplorare nell'elaborazione di un personaggio è quella di tempo-ritmo. Ogni personaggio ed ogni emozione ha un preciso tempo-ritmo intrinseco, così come ogni individuo agisce fisicamente nel tempo-spazio in riflesso di un tempo-ritmo interno: spesso si dice, parlando un po' per stereotipi forse e giusto per fare un esempio che chiarisca il concetto, che i settentrionali hanno un "tempo-ritmo" più incalzante rispetto ai meridionali (confrontiamo come si muove la gente in metropolitana a Milano con il "ritmo della vita" in un paesino del Meridione).

Stanislavskij riteneva a ragione che l'attore dovesse allenare la propria voce come fa un cantante, e che il corpo dovesse essere flessibile ed elastico. L'eliminazione delle tensioni inutili (fisiche e psichiche) è un must, raggiungibile tramite espedienti fisici (esercizi di respirazione) ed immaginativi (ad esempio il famoso "cerchio d'attenzione", esercizio tramite cui si mira ad ottenere uno stato psicofisico di "solitudine pubblica", ovvero la capacità di agire in pubblico, mentre si viene osservati, come se fossimo in realtà da soli.


 Gli ultimi due concetti legati a Stanislavskij (per gli scopi di questo breve e dichiaratamente lacunoso articolo introduttivo) sono quelli di "comunione ed adattamento". Per comunicare con il pubblico, infatti, l'attore deve essere in piena comunione/comunicazione con gli altri attori. L'ascolto dell'altro è tutto, e l'attore deve "reagire" prima ancora di agire, in risposta alle azioni degli altri attori. Tenendo in vista l'obiettivo dell'unità specifica e il super-obiettivo, l'attore deve quindi adattare il proprio essere, reagire ed agire a quello degli altri; in questo modo le scene saranno sempre fluide e mai statiche, variabili e mai fisse (la metodologia di Meisner enfatizzerà ancora maggiormente tale aspetto).













Dynamicalvoice sostiene l'importanza dell'interpretazione - di stampo attoriale - anche per i cantanti, e ne sottolinea la validità altresì per i comunicatori e gli speaker.

Dynamicalvoice offre un corso specifico sul training vocale per l'attore. 

giovedì 29 dicembre 2016

Evoluzione biologica e tecnica vocale: il viaggio della laringe



Se consideriamo l’odierna struttura della laringe da un punto di vista filo- e ontogenetico, dobbiamo concludere che essa è il risultato dell’evoluzione di uno sfintere respiratorio primitivo, la cui unica funzione consisteva nel permettere la respirazione e impedire attraverso un meccanismo di chiusura che corpi estranei entrassero nei polmoni. Tale funzione, fondamentale per la sopravvivenza, è tutt’ora attiva, e comprende una catena muscolare che include la muscolatura faringea (come i costrittori), la lingua, l’epiglottide, il complesso muscolare laringeo, il palato molle, etc.


Col proseguire dell’evoluzione, tuttavia, tale sistema si differenziò progressivamente in due valvole: una ad alta pressione (più antica dal punto di vista filogenetico), l’altra a bassa pressione (acquisita più recentemente nella storia dell'evoluzione). Le cosiddette “Pliche vocali vere” – così chiamate perché responsabili della produzione del suono vocale – sono rivolte all’insù e rappresentano la valvola a bassa pressione; la pressione intrapolmonare collegata alla loro chiusura (viene diminuita la pressione interna alla gabbia toracica e si stabilizza così il cingolo scapolare) è necessaria nell’esecuzione di movimenti muscolari con direzionalità “dall’esterno verso il corpo”, come ad esempio nella trazione di un oggetto oppure nell’appendersi ad un’estremità e oscillare avanzando a forza di braccia (che è ciò che facevano i nostri progenitori passando da un albero all’altro…).


Le “Pliche ventricolari” o “Pliche vocali false”, invece, con la loro forma rivolta all’ingiù (a forma di cuspide), agiscono come valvola ad alta pressione, chiudendosi in preparazione ad attività muscolari con direzionalità “dal corpo verso l’esterno”, quali ad esempio l’attaccare/colpire, calciare, spingere.. Anche tutte le attività pressorie e/o espulsive (cfr. la cosiddetta “Fissazione toracica”, che stabilizza il bacino e sviluppa un'elevata forza che si può "scaricare" attraverso l'uso degli arti superiori) necessitano di un’alta pressione intrapolmonare per potersi realizzare efficacemente (ad esempio: tossire, vomitare, partorire…). La chiusura delle corde false è anche concomitante alla scarica ormonale legata all'istinto di sopravvivenza denominato "Risposta fight or flight". Poiché, tuttavia, esse sono oramai troppo deboli per potersi chiudere da sole, è necessario l’intervento compensatorio della muscolatura della deglutizione, cosicché nei compiti motori regolati da un’elevata pressione interna sono rilevabili una serie di tensioni/contrazioni che si estendono fino alla muscolatura mimica. 


Quanto fin’ora descritto non ha nulla a che vedere con la fonazione, ma rappresenta la funzione biologicamente più importante della laringe, quella cioè che, assieme alla respirazione, ci mantiene in vita: la funzione primaria. La funzione primaria si suddivide in una funzione di protezione (che garantisce che non entrino corpi estranei in trachea e quindi nei polmoni) e una funzione di regolazione (che permette l’esecuzione delle diverse attività muscolari). Esiste tuttavia anche una funzione secondaria, la quale espleta un’attività di coordinazione tra diverse funzioni corporee. Essa permette l’interplay (la coordinazione) tra laringe e vocal tract per la produzione di foni vocalici e consonantici (lingua parlata). All’interno di questa funzione di coordinazione, però, la funzione primaria della laringe esercita ancora la sua “autorità”: si tratta infatti di un alternarsi continuo di stati di chiusura e di apertura (cfr. l’articolazione delle consonanti), nel corso del quale la tendenza alla chiusura (tipica della funzione primaria) potrebbe innescare meccanismi non funzionali alla comunicazione verbale, quali la chiusura delle pliche ventricolari o l’attivazione dell’intero meccanismo della deglutizione. Nella cosiddetta funzione terziaria, al contrario, entrambe le valvole si sottomettono alle necessità del canto attraverso una particolare modalità di attivazione neuromuscolare nell’intero corpo. Quando entrambe le valvole danno luogo a questa nuova “forma”, la chiusura delle pliche vocali vere è ideale; la compressione mediale efficace; l’epiglottide, la lingua, la muscolatura faringea ed il palato trasportano le frequenze sonore riflettendole, anziché smorzarle (cfr. Gisela Rohmert). Il "lavoro vocale" risulta comodo e sostenibile (e viene spesso considerato "rilassatezza").


Una delle principali cause della difficoltà nel fare un uso corretto ed economico dello strumento voce sta proprio nella frequente innervazione inconscia della funzione primaria e secondaria nel parlato e nel canto. Il bisogno di protezione, presente in ciascuno di noi a livello sia corporeo che psicologico, porta all’innervazione non soltanto delle pliche vere, bensì anche delle pliche ventricolari, le quali sono collegate all’attivazione di catene muscolari che causano tensioni accessorie. Per la chiusura raffinata delle pliche vocali vere c’è bisogno della creazione di bassa pressione interna, la quale si produce normalmente dopo che l’aria in uscita dai polmoni ha separato le corde vocali e la “valvola” si è conseguentemente aperta. A quel punto si trova momentaneamente un numero di molecole aeree maggiore al di sopra delle pliche vocali rispetto alla quantità al di sotto delle stesse e, di conseguenza, nasce una condizione di bassa pressione al di sotto della glottide. E’ qui che le corde vere si attivano nella loro funzione di valvola a bassa pressione e si chiudono (Effetto Bernoulli) ed è in questa condizione che i muscoli intrinseci delle pliche vocali vere e lo strato di copertura possono operare nel modo più efficace ed economico. Ma allora cosa succede quando si forza l’espirazione nel corso della fonazione? La chiusura delle pliche vere non è più efficace ed economica, viene attivata l’innervazione delle pliche ventricolari nonché di tutta la muscolatura compensatoria ad esse collegata. In questo stato, è ancora possibile ottenere un suono vocale soltanto con un’ipercontrazione della muscolatura di chiusura, la quale causa una compressione mediale estremamente rigida che ha come conseguenza un drastico decremento della flessibilità del muscolo vocale e della mucosa di rivestimento (udibili nel suono). La comprensione di tali funzioni è fondamentale nell’elaborazione di un piano di formazione vocale rispettoso della fisiologia dell’organismo e quindi corretto.

Per info sul training vocale su base fisiologica: Dynamical Voice Coaching


Alcune delle informazioni qui riportate sono state rielaborate a partire dagli studi contenuti nel libro "Grundzuege des funktionalen Stimmtrainings", edito da W. Rohmert, Institut fuer Arbeitswissenschaft der Technischen Hochschule, Darmstadt, 1989.

Grazie a Francesca P. per le immagini.

lunedì 17 ottobre 2016

La voce del gender: Hillary Clinton, uomini, donne e LGBT





Associazioni all'apparenza azzardate e argomenti scomodi. Ma leggete bene e capirete.

Disclaimer: con il presente post, non è nostra intenzione esprimere idee politiche né operare discriminazioni nei confronti di alcuna cultura, identità di genere, orientamento sessuale delle persone. E' nostra convinzione che qualsiasi richiesta di "makeover" vocale possa essere accolta se sensata e non imposta dall'esterno. Dal nostro punto di vista, non c'é alcunché di "sbagliato" o "da correggere" in alcuna abitudine vocale/accento/comportamento, a meno che non siano presenti disfunzionalità o patologie, a patto che sia il cliente stesso a richiederlo e che tale richiesta non rifletta conflittualità interne di pertinenza psicologica o psicoterapeutica.

La psicologia sociale insegna che il processo decisionale di un individuo - a seconda delle circostanze, del tempo e delle informazioni a disposizione - può seguire due percorsi cognitivi distinti: la via "centrale", oppure la via "periferica". La via "centrale" prevede un'analisi razionale dei fattori e delle variabili inerenti la scelta; la via "periferica" consta, al contrario, di "euristiche" o "scorciatoie cognitive" su cui si basa la persona per prendere una decisione. Questo i politici lo sanno da tempo: risulta fondamentale tenere sotto controllo la propria self-presentation, curandone tutti i particolari, in quanto molti elettori - ignoranti in materia politica ed economica - tenderanno più o meno subconsciamente a ricorrere ad impressioni, sensazioni "a pelle", e all'istinto (via periferica) al momento di esprimere una preferenza nelle urne. Non è certo un segreto che i vari politicanti si avvalgano di consulenti d'immagine, truccatori, coach di vario tipo (anche vocal coach, certo), ghost writer etc. al fine di ottenere quell'immagine vincente che possa essere funzionale al ruolo e strappare più voti possibili agli elettori più "naïf".

 Lampante è certamente il caso americano, con i dibattiti presidenziali di questi giorni che sembrano più spettacoli di "infotainment" o, come direbbe qualcuno più audace forse di chi scrive, dei meri "puppet shows". La propaganda politica è lontana dagli scopi di questo blog, nonché dalla mia sfera di interessi (anche se mi auguro che i lettori appartengano a quel gruppo di persone che raccoglie informazioni e segue la "via centrale" prima di esprimere opinioni che riguardano il futuro del loro paese), e vorrei mettere in chiaro che quanto sarà detto a riguardo di determinate personalità politiche o altre categorie di persone all'interno di questo post non rappresenta un "endorsement" né una condanna, semmai una sorta di raccolta di "case studies" che possano stimolare l'interesse di chi legge e, magari, fornire informazioni che possano essere utili a qualcuno.

Veniamo quindi al punto: Hillary Clinton. Il candidato democratico alla White House viene molto spesso criticato (molto probabilmente da chi tende a preferire la via "periferica") per la voce. Credo, a riguardo, che i detrattori della Clinton usino il termine "voce"  in maniera un po' imprecisa, per descrivere de facto una più ampia serie di fenomeni vocali e linguistici (pronuncia, prosodia, accento, intonazione, pragmatica...). 


La stessa Clinton ne è pienamente cosciente, innanzitutto perché - vista la sua capacità di "adattamento linguistico" a seconda del target cui si rivolge - ha probabilmente una buona competenza e controllo vocale/linguistico (vedasi il mutare delle caratteristiche fonologiche del suo accento in diversi momenti della sua carriera politica), ma anche come dimostra quanto lei stessa ha dichiarato qualche tempo fa:

“I’m not Barack Obama. I’m not Bill Clinton. Both of them carry themselves with a naturalness that is very appealing to audiences. But I’m married to one and I’ve worked for the other, so I know how hard they work at being natural. It’s not something they just dial in. They work and they practice what they’re going to say. It’s not that they’re trying to be somebody else. But it’s hard work to present yourself in the best possible way. You have to communicate in a way that people say: ‘OK, I get her.’ And that can be more difficult for a woman. Because who are your models? If you want to run for the Senate, or run for the Presidency, most of your role models are going to be men. And what works for them won’t work for you. Women are seen through a different lens. It’s not bad. It’s just a fact. It’s really quite funny. I’ll go to these events and there will be men speaking before me, and they’ll be pounding the message, and screaming about how we need to win the election. And people will love it. And I want to do the same thing. Because I care about this stuff. But I’ve learned that I can’t be quite so passionate in my presentation. I love to wave my arms, but apparently that’s a little bit scary to people. And I can’t yell too much. It comes across as ‘too loud’ or ‘too shrill’ or ‘too this’ or ‘too that.’ Which is funny, because I’m always convinced that the people in the front row are loving it.”

Quello che Hillary cerca di dire, e ciò che in effetti si può estrapolare leggendo i commenti di chi la critica per la sua modalità comunicativa, è che il suo modo di comunicare (verbale e non) può venire percepito come "gender inappropriate". Chiaramente, la Clinton non usa qui il termine "gender", anche perché - come sa bene chi segue gli sviluppi sociali ed antropologici della civiltà umana - parlare di "gender" e di/VS "sex" significa innescare diatribe che risulterebbero controproducenti a questo punto della corsa per la Casa Bianca. Visto che chi scrive ha però usato tale termine, mi si permetta soltanto di esplicare, per chi non avesse dimestichezza con il concetto, che con "gender" si intende qui una serie di aspettative che la società ha in riferimento ad un determinato sesso biologico. Aspettative in merito a vari aspetti della personalità e del comportamento nonché della vita stessa: la posizione lavorativa; la scelta dell'abbigliamento; il ruolo ed il potere sociale; il modo di usare il corpo, il linguaggio, la comunicazione e quindi la voce. Non so se la Clinton abbia ragione a pensarla così, se sia sincera o se le parole sopra riportate siano piuttosto uno stratagemma comunicativo (certamente efficace) per invitare gli elettori a prendere una via più "centrale" alle urne, facendola apparire al tempo stesso "più umana" e "meno fredda", trasformando quindi dei "difetti" (di immagine) in virtù politica.


Sta di fatto , però, che in alcuni casi la sua vocalità, gestualità e stile comunicativo si sono allontanati considerevolmente dallo stereotipo dell'American Woman. E allontanarsi dallo stereotipo, per ragioni probabilmente legate all'evoluzione e alle modalità di cognizione umane, è percepito come "fattore di disturbo", specie da chi non è stato condizionato (tramite istruzione diretta o indiretta o per esposizione) a restare in guardia dai tranelli che la mente ci riserva (il processo di stereotipizzazione stesso). 


Qualche settimana fa mi è capitato di vedere un documentario, suggeritomi da un collega SLP statunitense (l'equivalente americano del logopedista, seppur con alcune differenze nel curriculum di studio e nelle effettive mansioni svolte) che ha risollevato lo stesso tema della stereotipizzazione. Si tratta di "Do I sound gay?", di David Thorpe.


Il protagonista, quarantenne recentemente tornato single, si propone inizialmente di cambiare la sua voce, che percepisce come "troppo gay" e ritiene essere la causa o la concausa di alcuni fallimenti in ambito sentimentale, e della conseguente bassa autostima. Si rivolge quindi ad alcuni SLP, voice coach e linguisti per tentare di risolvere il "problema" che lo assilla, mentre contemporaneamente intraprende un viaggio di ricerca psicologica per scovare le cause prima della sua "gay voice", e poi anche del suo disgusto per questa specifica modalità fonatorio-comunicativa. 

Quest'ultima parte occupa gran parte della pellicola, ragion per cui non l'ho trovata particolarmente interessante, ma solo perché - per deformazione professionale - avrei preferito che vi fosse un approfondimento più di natura foniatrica-fonetica. Ma mi rendo conto che un tale approccio avrebbe reso il documentario poco interessante per il "grande pubblico" e, soprattutto, per il target a cui principalmente si rivolge (la comunità LGBT). La principale ragione per cui ho visionato il video, però, è un'altra: mi è capitato molto spesso, in USA ma anche in Italia, di lavorare con clienti che richiedono - direttamente o velatamente - una "mascolinizzazione" o "femminilizzazione" della voce. Parlo qui di individui cisgender (ovvero a proprio agio con il genere a loro "assegnato alla nascita", come riporta la definizione di Wikipedia), eterosessuali o omosessuali. A questi si aggiunge l'altra porzione di clienti transgender, FTM e MTF, che hanno delle necessità più ovvie dal punto di vista vocale e comunicativo. 
Specialmente nel caso delle persone cisgender, il primo approccio è sempre molto cauto: è importante, dal mio punto di vista, che siano coscienti del fatto che stanno richiedendo, in un certo senso, di "allontanarsi da sé" e "avvicinarsi ad uno stereotipo". E' questo ciò che vogliono realmente? Nel caso di persone omosessuali, il desiderio di cambiare "voce" è motivato e funzionale, oppure nasconde un disprezzo di sé e un' egodistonia che dovrebbero essere oggetto di attenzione psichiatrica o psicologia? Questi non sono ambiti di mia competenza professionale, ma è importante - a mio parere - considerare tali questioni prima di intraprendere dei percorsi di modifica vocale e comportamentale che si potrebbero rivelare controproducenti. Spiego sempre ai miei allievi/clienti, inoltre, che non si tratta necessariamente di cambiare modalità in ogni contesto e senza possibilità di ritorno, bensì di acquisire una nuova competenza (come quando si impara una lingua straniera) che può essere usata quando si vuole, intervallandola con altre modalità (code-switching) o adottandola come unica per stadi progressivi e graduati, sempre nel rispetto dell'igiene vocale e della psicologia individuale. Per quanto riguarda la "voce gay", la mia "working theory" è che essa sia semplicemente una modalità comunicativa comprendente dei tratti stereotipicamente associati al genere femminile (ovviamente, se il parlante è una donna, allora vale il contrario). Ma non esiste una vera e propria "voce gay", in  quanto vi sono numerosi maschi eterosessuali che presentano dei tratti fonologici/vocali associati al genere femminile, così come vi sono donne che fanno uso abbondante di tratti comunicativi stereotipicamente maschili (come nel caso della Clinton). E' importante porsi di fronte alle richieste del cliente un po' come fa (o dovrebbe fare) il chirurgo estetico in colloquio con un paziente: la richiesta è sensata? Il paziente sarà soddisfatto a risultato ottenuto oppure soffre di un disturbo di dismorfismo corporeo (o vocale) che necessita di un intervento psicoterapeutico? Spero di non apparire pedante e ripetitivo, ma credo che quando si ha a che fare con la voce e la comunicazione di una persona, si ha a che fare con l'immagine di sé e con l'identità dell'individuo, per cui è necessaria massima cautela, chiarezza, apertura e rispetto.


Veniamo quindi al vero argomento di questo post: le caratteristiche stereotipiche della voce maschile e femminile. Chi richiede una mascolinizzazione o una femminilizzazione vocale ritiene, erroneamente, che si tratti essenzialmente di abbassare o innalzare la frequenza fondamentale. Questo, invece, è solo uno dei tanti ambiti su cui si può lavorare, ma non certo l'unico. Vediamo nel loro insieme quali sono le aree di intervento:

-Frequenza

-Risonanza e timbro

-Intonazione

-Velocità d'eloquio

-Volume/Intensità

-Sintassi

-Scelta lessicale

-Pragmatica

-Articolazione

-Igiene vocale: è molto facile che questi clienti acquisiscano abitudini vocali scorrette nel tentativo di emulare modelli troppo lontani dalle possibilità del loro strumento, sviluppando patologie foniatriche quali la disfonia da tensione muscolare o vere e proprie lesioni cordali.

-Comunicazione non verbale

-Modalità di trasferimento del nuovo "codice" nella vita quotidiana

-La voce nel canto (se l'individuo che richiede una consulenza è anche cantante).

Cercherò ora di approfondire, seppur brevemente, i vari punti sovra esposti, cercando di mantenere una prospettiva linguisticamente "universale". Ogni persona, infatti, rappresenta un caso a sé, e ciò che è considerato "gender-appropriate" (termine politicamente poco corretto, forse dovremmo dire "conforme allo stereotipo di genere") dipende dalle variazioni su quello che in sociolinguistica si chiama "asse diatopico, diastratico, diafasico e diamesico" (dove siamo? quale classe sociale? quale contesto comunicativo? quale mezzo comunicativo?). A titolo esemplificativo, un costante "uptalk", ovvero un'intonazione interrogativa laddove si dovrebbe usare una struttura intonativa conclusiva, è sì un tratto stereotipicamente femminile, ma è anche una caratteristica di alcuni dialetti settentrionali.


-Frequenza fondamentale: Andrews (1999) ha appurato che la donne parlano mediamente con una frequenza fondamentale di 220Hz (± 20 Hz); i maschi, al contrario, parlano un'ottava sotto (120 Hz, ± 20 Hz). La scelta più salutare (ed esteticamente più gradevole, non "caricaturale"), generalmente, per gli individui transgender, è quella di puntare ad un range in cui la percezione del genere da parte dell'ascoltatore è "ambigua" (ovvero tale per cui non si riesca a stabilire, basandosi esclusivamente sulla frequenza usata, se chi parla è un uomo o una donna) che si situa all'incirca tra i 150 e i 185Hz. La voce stereotipicamente maschile usa meno variazioni tonali rispetto a quella femminile.

-Risonanza e timbro: le pliche vocali nella voce femminile tendono ad essere più sottili (per ragioni anatomico-endocrinologiche) ma anche ad essere usate in una condizione più assottigliata rispetto a quello che avviene nella voce tipicamente maschile. Spesso è presente, nella voce femminile, una componente di ariosità (a volte patologica, o comunque si tratta di una condizione predisponente a patologie vocali, per cui attenzione!). Tale condizione glottale influenza la pressione sottoglottica ed il timbro vocale. Usando una terminologia un po' obsoleta, si potrebbe dire che la voce maschile è più "di petto", quella femminile "di testa" (in realtà questi ultimi sono termini che non uso quasi mai nella didattica, ma possono essere utili per qualche lettore). La voce stereotipicamente femminile tende a pronunciare le vocali più "avanti", quella maschile più "indietro". In realtà, però, non si tratta tanto di posture della lingua, quanto di effettivo spazio oro-buccale (maggiore nell'uomo). Ma la posizione della lingua può certamente simulare o dissimulare lo spazio anatomico relativo allo stereotipo sopra descritto. Lo stesso discorso vale per la posizione della laringe nel collo (tendenzialmente più bassa per una voce tipicamente maschile).

-Intonazione: le donne tendono ad usare variazioni intonative (frequenziali) per evidenziare le parole chiave del discorso, mentre gli uomini tendenzialmente fanno a tal scopo un uso maggiore delle variazioni d'intensità (è una delle cose che fa anche Hillary Clinton). Le donne tendono ad usare più "uptalk", gli uomini una struttura prosodica più dichiarativa, conclusiva.

-Velocità d'eloquio: nella conversazione quotidiana (non  di carattere "specialistico"), gli uomini tendono a parlare più velocemente delle donne (!). Ciò è in parte dovuto al fatto che nella parlata stereotipata femminile, alcuni fonemi - specialmente le vocali ed i dittonghi - vengono allungati. Inoltre, gli uomini tendono a parlare con un ritmo abbastanza costante, mentre le donne si esprimono spesso con "agglomerati linguistici" intervallati da una pausa (Norton, 2000).

-Volume/Intensità: generalmente gli uomini hanno un'intensità vocale superiore a quella femminile. L'intensità vocale/volume è generalmente associata a potere e sicurezza.

-Sintassi: le differenze, troppo numerose per essere enumerate comprensivamente, riguardano l'uso della paratassi e dell'ipotassi (subordinazione), l'uso di determinati avverbi e congiunzioni, la posizione degli stessi, l'utilizzo di espressioni che addolciscono il discorso e la posizione espressa, un maggiore o minore livello di educazione e cortesia (politeness), etc.

-Lessico: le scelte lessicali riflettono lo stereotipo delle aree di competenza. Nel caso delle donne, quindi: psicologia, arte, frutta, verdura, mobili... Per gli uomini: il campo semantico degli attrezzi, utensili e componenti elettroniche, minore uso di aggettivi qualificativi ed avverbi, maggior uso di linguaggio taboo e scurrile... Ricordiamo che si tratta di stereotipi che non è nostra intenzione perpetuare, ma allo stesso tempo tali ipergeneralizzazioni hanno un correlato reale (cfr le ricerche di Albanese et al, 2000; Capitani et al., 1999; Schulz, 1975; Coates, 2004; Lakoff, 1975).

-Pragmatica: gli uomini tendono a comunicare al fine di stabilire una gerarchia o di acquisire informazioni, mentre le donne ricercano consenso e condividono pensieri e sentimenti. Gli uomini tendono a fare meno domande per timore di trasmettere incompetenza, le donne generalmente sono più espressive, ...

-Articolazione: le donne tendono a produrre vocali più lunghe degli uomini; l'attacco dei suoni tende ad essere meno deciso nelle donne rispetto agli uomini; i maschi hanno uno stile più "staccato", le femmine più "legato"; le donne tendono a pronunciare le consonanti con più precisione rispetto agli uomini, ma il contatto tra gli articolatori risulta essere più delicato; la protrusione labiale (nei fonemi che lo prevedono) e l'abbassamento mandibolare tendono ad essere più pronunciati nelle donne, ...

-Comunicazione non verbale: si registrano differenze nella cinetica (movimenti corporei), nelle proprietà del contatto interpersonale, nella prossemica, nel contatto visivo, nell'olfatto, nel modo di porsi (postura) e di muoversi (camminata, gestualità), nella concezione (e gestione)del tempo...


Lo spazio del blog e le risorse attentive umane mi impongono di concludere il presente post, che non vuole di certo essere esauriente ed esaustivo. Tengo a sottolineare, ancora una volta, che i tratti sopra descritti non sono normativi, ma rappresentano (seppure con varianti tra una cultura e l'altra) i prototipi del genere maschile e femminile. Ogni persona, poi, è un caso a sé, e un cambiamento appropriato per un individuo potrebbe non esserlo per un altro. Ecco perché è fondamentale il rapporto con il coach e, soprattutto, l'accoglienza e l'onestà. E, prima di iniziare un percorso di cambiamento (vocale), bisogna imparare ad accettare sempre e comunque se stessi.

Per maggiori informazioni: http://www.dynamicalvoice.com/MTF.html