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martedì 29 settembre 2015

Steroidi per cantanti: il "doping della voce"




Quando sentiamo parlare di "steroidi", la mente corre subito alle immagini dei contest per bodybuilder quali Mister Olympia o l'Arnold Classic, oppure ai modelli (e modelle) dai fisici scolpiti propinati da riviste quali Men's Health o anche dalla stampa che si occupa di gossip e lifestyle. Il "doping" è un argomento sul quale c'è molta disinformazione, con opinioni che vanno dal miraggio della "pillola magica" al terrore dei terribili "sides" (effetti collaterali) che possono portare persino alla morte. Nell'ambiente sportivo si tratta dei cosiddetti "steroidi anabolizzanti", i quali sono spesso assunti illegalmente per via orale o parenterale al fine di aumentare la massa muscolare o la performance sportiva. Non tutti sanno, tuttavia, che anche nel mondo del canto molti fanno uso di steroidi; in questo caso, si tratta dei corticosteroidi, che sono ormoni derivabili da successive degradazioni della catena laterale del colesterolo.

Nel 2007 fece molto scalpore un articolo apparso sulla rivista tedesca Frankfurter Allgemeine Zeitung, il quale riportava testualmente una dichiarazione a riguardo del tenore wagneriano Endrik Wottrich:

<<Darüber redet ja keiner. Dabei ist das Doping in der Musik längst Alltag. Solisten nehmen Betablocker, um ihre Angst in den Griff zu bekommen, einige Tenöre nehmen Cortison, um die Stimme in die Höhe zu schrauben, und Alkohol ist gang und gäbe. Die Angst ist zu einem großen Faktor geworden, so dass fast jedes Mittel recht scheint, um den Erwartungen gerecht zu werden. Das ist für die meisten Sänger der Anfang vom Ende>>. 

Parafrasando: <<Non ne parla nessuno. Tuttavia il doping è diventato la norma ormai da tempo nella musica. I solisti assumono betabloccanti per controllare l'ansia, alcuni tenori prendono cortisonici per migliorare le prestazioni, e l'alcol è all'ordine del giorno. La pressione è così elevata che praticamente ogni mezzo è lecito per risultare all'altezza delle aspettative. Tutto ciò rappresenta, per la maggior parte dei cantanti, l'inizio della fine>>.  





Il Corriere della sera, poco dopo, fece eco all'articolo apparso sulla Frankfurter Allgemeine paragondando il doping nell'opera agli scandali legati all'uso di sostanze proibite nel ciclismo, affermando che "sui palchi della grande lirica ci si droga come sui tornanti dei Tour de France": 

Per cominciare a fare chiarezza, cerchiamo di capire meglio la funzione medica dei corticosteroidi. Essi sono medicinali antinfiammatori molto efficaci se usati nel giusto contesto. Sono in grado di contrastare i cambiamenti timbrici dovuti a edema (o gonfiore) della superficie o del corpo delle pliche vocali, causato da surmenage o malmenage, da alterazioni istologiche quali noduli e polipi, o da comuni infezioni respiratorie con concomitante laringite. Gli effetti dell'assunzione dei corticosteroidi sono generalmente notevoli, il che significa che possono effettivamente "salvare" una performance vocale che non si può in alcun modo rimandare o cancellare  e che - senza l'ausilio chimico - si rivelerebbe certamente un disastro, visto lo stato patologico dello strumento vocale (e ciò rappresenta un rischio che una major discografica non può permettersi...). Corticosteroidi e immunosoppressori quali il prednisone hanno una lunga tradizione d'uso, anche nel trattamento rapido di reazioni allergiche nonché come cura per i pazienti affetti da gravi forme d'asma. Per trattare il gonfiore delle corde vocali possono essere somministrati per os (in pillole) o attraverso un'iniezione intramuscolare. La modalità di somministrazione dipende da quanto tempo si ha a disposizione prima della performance: se questa è prevista dopo almeno sei ore dall'assunzione del farmaco, la modalità preferita è quella per bocca, altrimenti si opta per l'intramuscolare. In rari casi, quando si ha a disposizione meno di un'ora prima della performance professionale, si sceglie persino la somministrazione endovenosa.



Non tutti i corticosteroidi sono uguali: le
proprietà antinfiammatorie di ciascun farmaco sono diverse, come diversa è la risposta dei pazienti ai vari preparati chimici, essendo diversa la farmacodinamica dei vari composti di sintesi. Il desametasone, ad esempio, ha proprietà antinfiammatorie superiori a quelle del prednisone, mentre ha un' azione mineralcorticoide (con ritenzione del sodio e perdita di potassio che può causare ritenzione idrica e ipertensione) inferiore.




Veniamo ora più in dettaglio agli effetti collaterali. Quelli a breve termine comprendono irritabilità, agitazione, disforia, insonnia, aumento dell'appetito, innalzamento della glicemia (molto rischioso per i pazienti diabetici!). Fra quelli a lungo termine si riscontra una distribuzione adiposa anomala (che implica, fra l'altro, un rigonfiamento a livello del viso), perdita di densità ossea (osteoporosi), acne, assottigliamento dello spessore cutaneo con conseguenti smagliature, fino allo sviluppo di una vera e propria Sindrome di Cushing iatrogena. Come già descritto, vi sono rischi cardiovascolari legati ad un aumento della pressione arteriosa, come una maggiore predisposizione ad infezioni anche da patogeni comunemente presenti in ambiente per una riduzione delle difese immunitarie. Di solito tali effetti collaterali si presentano conseguentemente ad un uso continuo prolungato (per mesi) del farmaco a dosaggi medio-alti. Un ulteriore rischio è la necrosi avascolare della testa del femore (in parole povere la perdita di una porzione del bacino), la quale può verificarsi anche in seguito ad un breve periodo di utilizzo.

La maggior parte dei cantanti riferisce una sensazione di pesantezza delle corde vocali dopo aver assunto tali farmaci. Sta di fatto che essi possono essere presi in maniera sicura  quando vengono somministrati per le giuste ragioni e con le dovute condizioni. Possono rendere un cantante in grado di portare a termine una performance che non sarebbe stato possibile concludere senza l'ausilio chimico. L'artista vocale deve però imparare a farne un uso prudente e a minimizzare la durata dell'assunzione, limitandola a una settimana o meno, se possibile. Gli steroidi non rendono la voce invincibile, né eliminano la necessità del riposo vocale. Non fanno altro che permettere al performer di rimandare (di poco!) il riposo di cui avrebbe bisogno, al fine di portare a termine una performance che non può cancellare. Dopo questa, tuttavia, il rest vocale - in alcuni casi seguito anche da terapia logopedica - è un must. E' altresì fondamentale che i cantanti che hanno assunto corticosteroidi seguano alla lettera le indicazioni mediche date loro al fine di evitare i nefasti effetti rebound che rappresentano un rischio a fine trattamento.

Se vengono usati più di una volta all'anno, il rischio di effetti collaterali si innalza drasticamente. A quel punto è imperativo rivolgersi al proprio medico foniatra per identificare con chiarezza il problema soggiacente. I cantanti che presentano patologie vocali (polipi, noduli..) possono sviluppare dipendenza da steroidi, assumendoli regolarmente al fine di diminuire l'edema causato dalla patologia organica stessa nonché dal fatto di cantare con una condizione istologica cordale non sana. Tali individui devono risolvere (forse chirurgicamente) il disordine vocale, invece di "mascherare" il problema con farmaci che si possono rivelare molto dannosi. I performer in tournée tendono anch'essi ad abusare dei corticosteroidi, ottenendone la prescrizione da diversi medici o addirittura procurandoseli in maniera illecita.



Ciò che più mi preme sottolineare, tuttavia, è che l'utilizzo di steroidi non  può e non deve essere un surrogato di un'ottima tecnica vocale. Tecnica significa anche allenamento alla resistenza, ovvero condizionamento muscolare che permetta al vocalist di reggere il "peso" di una tournée, di date a ritmo serrato, magari con un repertorio impegnativo. Una solida base tecnica è imprescindibile per chi fa questo delicato lavoro. Poi, se sopraggiunge una malattia a ridosso di un'esibizione importante, se necessario il medico potrà optare per la somministrazione di farmaci - e ciò non deve far gridare allo scandalo (siamo strumenti umani che si ammalano e non sono sempre al top). Ma la dipendenza e l'abuso farmacologico, nel canto come in ogni altra attività atletica o sportiva, è una triste piaga... ahimé in via di espansione. Concludiamo con una citazione di Enrico Stinchelli, regista d'opera e conduttore radiofonico, tratta dal suo blog dedicato alla musica lirica:

<< Il cortisone viene automaticamente a sopperire le tecniche deficitarie, una sorta di stampella momentanea per sopportare lo stress di una recita importante o di un impegno irrinunciabile. Il cantante finisce per attribuire al cortisone ogni virtù e la sua stessa sopravvivenza artistica: Bentelan, Deflan e altre “meraviglie” del genere , finiscono per diventare come delle caramelline per la gola, un vademecum fisso, recita dopo recita, impegno dopo impegno. E’ un vero suicidio, non solo fisico (danni enormi ai reni, alla circolazione, al cuore…) ma anche vocale, poiché una volta svaniti gli effetti del farmaco incantato sopraggiunge un immediato ipotono cordale, e cantando sull’ipotono si arriva agli edemi, ai noduli, ai polipi>>

domenica 20 settembre 2015

Voce commerciale e musica pop: un percorso un po' diverso



L'efficacia di un programma di formazione vocale e musicale presuppone l'identificazione di una serie di obiettivi, eventualmente sottodivisi in micro-obiettivi, che didatta e studente devono concordare sin dal primo incontro. Bisogna quindi chiarire quali sono le reali aspirazioni dell'allievo, quali  i modelli di riferimento (se presenti), quale stile vuole approfondire. Per quanto riguarda l'acquisizione della tecnica e lo studio del canto pop, è fondamentale che si delineino dei programmi specifici e che non si cada nel tranello di proporre lo stesso progetto formativo applicato agli aspiranti cantanti d'opera o di Musical Theater. Infatti, alcuni degli obiettivi tecnici che si pone lo studente di canto classico o di Musical - abilità spesso associate al "Bel canto" (nell'accezione comune del termine, non tanto in riferimento al periodo belcantistico) - sono deprecate all'interno dell'ambito pop. In modo particolare le seguenti destrezze tecniche sono osannate nel canto lirico e Musical Theater ma guardate con molto sospetto se non addirittura considerate tabù (in quanto sintomo di voce "troppo impostata") nel pop:

- Omogeneità timbrica in tutta l'estensione

-Vibrato naturale e regolare

- Dizione particolare (estremamente chiara e stentorea nel Musical Theater, non certo colloquiale nell'opera)

- Recitazione ed interpretazione di tipo teatrale

- Gestualità scenica

- Energia spettrale in zona acuta



Prima di proseguire nella nostra analisi, vale la pena ricordare che la parola "pop" indica, originariamente, tutto ciò che è popolare. 
Vi sono cantanti, anche in Italia, che si definiscono "pop" anche se utilizzano un'impostazione di tipo più classico (anche se non operistico). In questo post utilizziamo il termine "pop" per riferirci ad una vocalità e una musica più "commerciale", quella che negli Stati Uniti si inquadra come "Top 40", tralasciando tutti gli esperimenti di contaminazione "legit"/"operetta" o pseudo tali, che pur hanno il loro posto nel panorama musicale contemporaneo.

Vediamo ora uno ad uno gli elementi sopra elencati e analizziamone la percezione in ambito pop.


- Omogeneità timbrica in tutta l'estensione: non rilevante. Specialmente negli ultimi anni, la capacità di cambiare spesso e repentinamente qualità vocale è diventata una delle caratteristiche distintive del genere, e anche gli artisti italiani se ne sono accorti e hanno fatto loro questo modo di esprimersi.



-Vibrato naturale e regolare: nell'opera è una costante, ogni nota è vibrata e l'assenza di vibrato è sinonimo di una voce non formata. Nel Musical Theater il teatro ha un uso più limitato rispetto alla lirica, ma è comunque fondamentale. Anche alcuni artisti pop usano il vibrato (ed è mia ferma opinione che bisogna possederlo), ma si tratta di un vibrato di tipo diverso rispetto a quello usato negli altri generi. Non è infatti sempre un vibrato "naturale", bensì costruito (attraverso varie modalità diverse). Esso, soprattutto, deve essere controllabile: bisogna essere in grado di inserirlo o rimuoverlo a piacere, e sapere dove e quando utilizzarlo.

-Dizione particolare: il pop mira a riprodurre la quotidianità del parlato, ogni eccesso articolatorio appare forzato. La pronuncia nel pop tende ad essere più "casual" (che non significa ipoarticolare) e, soprattutto, più individualistica. Nei brani anglosassoni uno degli elementi fondamentali che rendono lo stile vocale personale è l'accento del cantante. Anche in Italia alcuni artisti hanno costruito il loro stile vocale attraverso - tra l'altro- una pronuncia particolare, molto individuale, e un accento non certo "standard".





-Recitazione ed interpretazione di tipo teatrale: nel pop certamente bisogna interpretare correttamente ciò che si canta, ma non come si farebbe sul palcoscenico di un teatro. La distinzione tra interpretazione pop e interpretazione classica/Musical Theater corrisponde alla diversa modalità di recitazione in teatro e nel cinema: tutto si riduce quando si è nell'obiettivo della videocamera, non nel senso che "non si fa più niente", ma ci si affida a elementi più piccoli (quali ad esempio gli occhi e lo sguardo) per comunicare sensazioni che in teatro dovrebbero venire espresse - per ovvie ragioni di visibilità - in ben altri modi. La presenza del microfono, nel canto pop, rende spesso obsoleto un volume vocale imponente: spesso, anzi, risulta più gradevole e "stilisticamente appropriata" una vocalità dall'intensità minore, all'interno della quale il diaframma del microfono possa cogliere delle piccole sbavature o cambi di colore che vengono molte volte interpretati come coinvolgimento emotivo o timbro originale.

-Gestualità scenica: anche qui si tratta di andare verso il contenimento. Uno degli obiettivi del cantante pop è quello di riuscire a mostrare in pubblico qualcosa di intimo (sensazioni, esperienze, storie, emozioni..). L'intimità è spesso incompatibile con una gestualità di tipo teatrale (salvo, ovviamente, alcuni casi di elevato impatto drammatico).

-Energia spettrale in zona acuta: un eccesso di brillantezza viene spesso percepito come una voce troppo impostata e un po' "falsa". Vale la pena ricordare, inoltre, che si ricorre comunque sempre più spesso alla compressione e all'equalizzazione in studio di registrazione (anche per rendere il suono più radiofonico). Il suono commerciale contemporaneo (in passato i canoni stilistici erano diversi!) dev'essere il più simile possibile all'eloquio spontaneo; ogni eccesso in direzioni che si allontanino da questo "standard" può essere artisticamente gradevole e certamente valido, ma si situa al di fuori della "commercial music".

Ci sono delle abilità tipiche del pop che l'aspirante cantante deve studiare, allenare e perfezionare:

-Melismi (altrimenti detti: licks, trills, coloratura pop): si tratta di variazioni (spesso molto veloci) della melodia a scopo di abbellimento. Alcuni cantanti pop usano un abbellimento in ogni frase, con risultati a volte gradevoli e a volte eccessivi. L'aspirante cantante pop deve studiare ogni abbellimento al rallentatore, nota per nota, e progressivamente aumentarne la velocità senza perdere la precisione.


-Variazioni ritmiche, frequenziali, intonative: il modo di stare sul ritmo nel pop (il quale comprende a volte anche una particolare percussività delle consonanti) è diverso rispetto alla musica classica. Il concetto di "legato" è mal visto all'esterno dei generi più classici (ivi compresi alcuni repertori Musical) e una nota presa "da sotto" (effetto spesso chiamato "note scoop", in riferimento ad un simile effetto chitarristico) potrebbe essere molto apprezzata in ambito più moderno (in quanto eredità del blues). L'interruzione della precisione intonativa, ad esempio alla fine di una nota un po' più lunga, con breve "discesa frequenziale" (senza esagerare), è molto spesso una caratteristica presente in moltissimi brani pop, e non è percepita come nota calante.


Coloro che intendano provare a "sfondare" in ambito pop, devono avere anche ottime capacità compositive, di arrangiamento e improvvisazione. Chi intenda registrare anche solo delle cover, infatti, farà bene a puntare alla personalizzazione (musicale, vocale, caratteriale..) al fine di poter emergere per quel quid di diverso che potrebbe far scattare la "scintilla" (un provino con una label, in un talent show, un incontro con un produttore o, semplicemente, la costruzione di una fan base solida). 
Analogamente, l'aspirante "pop star" dovrà porsi i seguenti quesiti:

-Qual è lo stile che si intende proporre  e a quale fascia di mercato si intende puntare?

-Qual è il proprio sound? L'idea che si ha delle proprie capacità e sonorità è realistica?

-Qual è il proprio look?

-Qual è la propria età (il vincitore nel pop è - volenti o nolenti - quasi sempre un artista molto giovane).

Gli allievi che cantano pop hanno quasi sempre degli artisti di riferimento. Non c'è niente di male se riproducono esattamente ciò che fanno questi ultimi, in quanto impariamo principalmente per imitazione. L'importante è che tale emulazione, però, non sia il fine ma casomai il punto di partenza per poi trovare una via interpretativa e vocale del tutto personale. Nessuno, infatti, vuole ascoltare un cantante che sia uguale ad un altro già presente sul mercato. Attenzione pure a ciò che gli allievi tentano di riprodurre: non è assolutamente detto che il cantante di riferimento sia in grado di realizzare live le stesse prodezze che si sentono quando si ascoltano le registrazioni. E' sempre una buona idea cercare versioni live dei brani che si vogliono cantare, anche se l'ambito live non è effettivamente esente dall'ausilio di alcuni "trucchetti" (simili alle "click tracks" del Musical Theater) per cui a volte è veramente difficile stabilire cosa è live e cosa non lo è...

Un ultimo spunto di riflessione. Molti artisti contemporanei hanno recuperato delle sonorità retrò, con entusiasmanti risultati. E' fondamentale distinguere "retrò" da "fuori moda": tutti questi artisti hanno aggiunto un tocco diverso e personale allo stile ripreso, non hanno semplicemente riproposto qualcosa di démodé. Altrettanta attenzione dovrebbero fare gli aspiranti cantanti pop che studiano per diventare tali.



Per concludere, dunque, credo sia fondamentale ricordare - una volta di più - che gli stili vocali sono molti e diversi e - nonostante i gusti personali, compresi quelli di chi scrive - il "Bel canto" e il "Buon canto" non sono gli unici modi sani di usare la voce.

sabato 12 settembre 2015

Cos'è una "bella voce"?

Il mondo dell'estetica, si dice, è altamente soggettivo. Non c'è dubbio che la bellezza sia negli occhi dello spettatore (o negli orecchi dell'ascoltatore) e che sia relativa alla cultura di appartenenza e all'esperienza percettiva pregressa. Alla base dell'insegnamento dell'uso della voce e del canto ci dovrebbe sempre essere la coscienza di questo relativismo estetico e la consapevolezza che l'ideale a cui aspira l'allievo potrebbe essere diverso da quello dell'insegnante. Quest'ultimo deve certamente intervenire per correggere assetti meccanici dannosi o controproducenti, ma dovrebbe agire con molta cautela quando ci si addentra nell'ambito stilistico e legato al "gusto". L'allievo che voglia essere guidato nello sviluppo stilistico, d'altro canto, farà meglio a cercarsi un insegnante che abbia un senso estetico - stilistico che egli apprezza e condivide. La divisione tra tecnica ed estetica è alla base del coaching dynamicalvoice, come ben illustrato qui.

Ciononostante, è interessante chiedersi se esistano dei criteri universali che definiscono una "bella voce". Dopotutto, sembra che la scienza abbia stabilito che esistono dei canoni assoluti (ovvero indipendenti dalla cultura di appartenenza) che sanciscono il grado di bellezza di un volto: confrontando i dati di più di un centinaio di studi, in cui a gruppi di soggetti di diversa età e provenienza geografica veniva chiesto di valutare la bellezza di volti, Langlois et al. (2000) hanno mostrato una concordanza molto alta nei giudizi. Hanno incluso nel loro lavoro anche gli studi in cui i "valutatori" della bellezza appartenevano a culture o etnie diverse; ebbene, il coefficiente di correlazione è altissimo, 0,94 e 0,88 rispettivamente (concordanza di giudizio quasi totale). Anche i bambini di pochi anni d'età sono in grado di giudicare il grado di bellezza dei volti, esibendo un metro di giudizio molto simile a quello utilizzato dagli adulti (Kramer et al., 1995; Slater et al., 1998; Rubenstein et al., 1999).



Per quanto riguarda il corpo, fu soprattutto la cultura greca a tentare di analizzare la bellezza in termini di rapporti geometrici tra i vari attributi fisionomici. Policleto e Fidia definirono un canone di bellezza derivato dall'utilizzo della "sezione aurea": i rapporti aurei - intorno a 0,618 o 1,618 - vengono percepiti come attraenti. A 0,618 si perviene, tra l'altro, attraverso la serie numerica di Fibonacci, in cui ciascun numero è la somma dei due che lo precedono (0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34...): se si divide ogni numero per il suo successivo, ci si avvicina sempre di più a 0,618...




Collegata alla "bellezza" è anche la simmetria. Le ricerche in molte specie animali hanno determinato l'esistenza di una stretta correlazione tra simmetria dei tratti morfologici e stato di salute generale, quindi anche di fecondità a capacità di sopravvivenza. Sembra quindi che la percezione di bellezza sia direttamente proporzionale alla percezione di salute e capacità riproduttiva. La bellezza sembra altresì essere legata alla presenza di uno "stimolo supernormale", ovvero di una caratteristica fisica entro certi limiti qualitativamente superiore al prototipo/media della popolazione.




Apparentemente un volto bello è anche un mix equilibrato di caratteristiche sessuali tipiche del sesso di appartenenza (ad esempio un marcato profilo mandibolare nell'uomo) - segno di maturità riproduttiva - e di dettagli "infantili", i quali danno l'idea di giovinezza.

La lista potrebbe continuare, ma torniamo alla voce e riprendiamo la domanda iniziale: esistono dei canoni di bellezza "biologici", ovvero indipendenti dalle differenti culture, per quanto riguarda la vocalità?

Hughes et al, nel 2004, fecero un esperimento alquanto interessante. Fecero esaminare a 149 studenti, 77 femmine e 72 maschi, 76 campioni di voce femminile e 76 di voce maschile. Chiesero ai partecipanti di valutare ciascuna voce per la sua piacevolezza su una scala da 1 a 5. Ai parlanti erano state prese anche alcune misure corporee, come l'ampiezza delle spalle e la circonferenza del bacino e dei fianchi. I risultati mostrarono che la bellezza della voce percepita correlava significativamente, per i parlanti maschi, con il rapporto tra l'ampiezza delle spalle e la circonferenza dei fianchi ( correlazione di 0,50 nei giudizi delle femmine e 0,37 nei giudizi dei maschi), mentre per le parlanti femmine correlava negativamente con il rapporto fra circonferenza della vita e circonferenza dei fianchi (-0,37 nei giudizi dei maschi, correlazione non significativa nei giudizi delle femmine). Ciò sembra indicare che il parametro acustico vocale è anche indice della struttura corporea, la quale è collegata alla vita sessuale. In altre parole, una voce "bella" sarebbe una voce che fa presupporre una struttura corporea "bella" e quindi un eccellente corredo genetico.



Nel 2006 alcuni ricercatori sono andati in Tanzania al fine di studiare la tribù degli Hadzabe, chiedendosi quali sono gli uomini ritenuti più idonei per trasmettere i loro geni ai discendenti. Gli Hadzabe sono famosi per la loro attività di cantastorie, per cui uno degli obiettivi dello studio era capire se ci fossero delle correlazioni tra la qualità della voce e la capacità di attrarre partner sessuali. Si scoprì che l'uomo che aveva procreato di più era quello con la voce più profonda. Quelli con una voce più acuta, invece, avevano meno figli. La voce potrebbe avere una rilevanza nel numero di partner sessuali in quanto per la gran parte della storia evolutiva umana, dopo che tramontava il sole e la luce scompariva, il suono era uno degli strumenti fondamentali per la seduzione e, in generale, per le interazioni.


Il dottor David R. Feinberg afferma che la voce di una persona rivela l'età e lo stato d'animo in cui si trova, ma soprattutto è un ottimo indicatore del sex appeal. Nel suo studio sulla percezione della bellezza vocale, quasi tutti gli uomini diedero un punteggio più elevato alle donne con le voci più acute. Quando si parla di voci femminili viene da pensare che gli uomini preferiscano quelle più suadenti e profonde, ma dalla ricerca del dottor Feinberg risulta l'esatto opposto. Sembra che tale preferenza sia dovuta al fatto che una voce più acuta e squillante è collegata ad un'età più giovane e ad un livello maggiore di estrogeni. Nello stesso studio, le donne diedero la loro preferenza alle voci maschili più profonde e virili. Il suono della voce di un uomo è correlato al tasso di testosterone secreto durante la pubertà: gli uomini che durante l'adolescenza hanno prodotto grandi quantità di testosterone di solito hanno voci molto basse e profonde, mentre quelli che ne hanno prodotto poco hanno voci più acute. Quando una donna apprezza un certo tipo di voce, magari non la associa direttamente al testosterone, ma il suo inconscio in realtà sa cosa sta facendo: il testosterone prodotto da un adolescente non contribuisce soltanto a dargli una voce sexy, ma di solito anche un viso sensuale e un fisico prestante. In quanto alle donne, un alto tasso di estrogeni si traduce in un volto più aggraziato, un punto vita e un seno più seducenti, e una voce più acuta. E - aspetto questo molto affascinante - sia il viso che la voce, nella donna, diventano più affascinanti durante l'ovulazione. Il dottor Gallup dell'università di Albany, New York, ha studiato gli effetti degli estrogeni sulla voce femminile nelle varie fasi del ciclo mestruale. Ha riscontrato che nel periodo più fecondo la voce femminile risulta molto più attraente ed ha una frequenza leggermente più alta.



Quanto sopra riportato è il punto di vista della psicologia evoluzionistica. Torniamo però per un attimo alla prospettiva "geometrica": esistono, nella voce, dei parametri che rispecchino le proporzioni auree a qualche livello? La ricercatrice e pedagoga tedesca Gisela Rohmert, assieme al suo team di ricerca, è giunta alla conclusione che una voce armoniosa e ben sviluppata possiede dei picchi formantici (ovvero delle zone frequenziali di maggiore intensità) intorno ai 3, 5 e 8 Khz. Tale "Gestalt" sarebbe ottenibile nella voce tramite il lasciar agire meccanismi di autoregolazione nel corpo (soprattutto in quella che chiama la "catena dei diaframmi") e nel suono stesso, tramite una "veränderte Hörweise", una modalità d'ascolto diversa. Non è difficile riconoscere in 3, 5 e 8 le prime  cifre della sequenza di Fibonacci di cui abbiamo parlato all'inizio di questo post.

Anche la "simmetria", ricordiamo, è un elemento fondamentale per la percezione di bellezza e armonia. A livello laringeo, il suo correlato è la simmetria della vibrazione cordale, sia sul piano sagittale (cordale vocale destra e sinistra), sia su quello frontale (zona anteriore e zona posteriore delle pliche) e trasverso (parte superiore e parte inferiore delle pliche). Anche a livello spettrografico si può venire a creare una sorta di "simmetria" tra parziali bassi (ovvero l'energia sonora al di sotto dei 3 Khz circa) e parziali alti (al di sopra dei 3/4 Khz). 

Alcune delle caratteristiche di cui abbiamo parlato sono innate ed immutabili: la frequenza della voce, a titolo di esempio, dipende in primis dalle dimensioni delle pliche vocali, misura che è difficilmente modificabile (uso l'avverbio "difficilmente" e non l'aggettivo "impossibile" perché - ad onor del vero - alcuni trattamenti ormonali esercitano un effetto sulla massa cordale e sulla frequenza della voce).

Cerchiamo allora di capire che cosa è in nostro potere fare per ottenere una voce più armoniosa e per avvicinarci a questa "bellezza biologica" sia nel parlato che nel cantato.

1. Simmetria: puntiamo sempre ad emettere un suono pulito (ovvero senza fuga d'aria o componenti disarmoniche) ed equilibrato nelle sue componenti, monitorando la postura ed evitando asimmetrie muscolari di bocca, mandibola, collo, spalle... Esistono specifici esercizi finalizzati a stimolare la simmetria della vibrazione cordale, ma non è questa la sede per approfondire.

2. Sviluppare un'estetica biologica: cerchiamo di usare come metro di valutazione e feedback lo stato di benessere corporeo prodotto dal suono, piuttosto che la familiarità della qualità acustica udita.

3. Sciogliere le contratture e tonicizzare le ipotonie: impariamo ad identificare i punti del corpo che sembrano opporre resistenza alla vibrazione e a lasciare che il suono stesso ne sciolga le eventuali contratture o ne tonicizzi i tessuti.

4. Equalizzazione alto-basso: puntiamo ad emettere un suono che sia bilanciato nelle sue componenti armoniche alte e basse, ovvero un suono che risulti profondo e brillante al tempo stesso, ma senza forzature nell'uno o nell'altro senso.

5. No alla monotonia: l'altezza e l'intensità della voce devono variare nel corso del discorso; l'ascoltatore associa una voce monotona ad una personalità poco interessante.

6. Chiara articolazione: una pronuncia trascurata è associata a trascuratezza e inaffidabilità caratteriale.

7. Assenza di nasalità: la rinolalia non è un criterio di bellezza vocale, anche se risulta affascinante in alcuni fonemi specifici di alcune lingue.

8. Un tono di voce non sommesso né stridulo: una laringe in posizione "neutrale" e una piena vibrazione cordale garantiranno tale obiettivo, come accennato nella discussione sulla risonanza e qualità vocale degli speaker professionisti in questo post.

9. Una quantità non eccessiva di pause: i maschi, in modo particolare, tendono ad usare molte pause "piene", utilizzando "eh.." o "mmm...". Pause troppo lunghe vengono interpretate come insicurezza, introversione, incompetenza e basso livello intellettivo.

10. Eloquio non troppo rapido: un eloquio eccessivamente veloce, in cui si riducono al massimo le pause, dà l'impressione di un parlante ansioso o arrabbiato.

Lo ricordiamo: ogni genere musicale, ogni contesto attoriale o condizione professionale nonché ogni periodo storico prevedono criteri estetico-stilistici diversi. In questi casi, l'estetica asserve il comportamento vocale. Con questo post abbiamo tentato di capire se esistano dei canoni di bellezza universali atemporali e ci siamo chiesti se sia possibile ideare un piano di sviluppo vocale all'interno del quale la funzionalità corporea (per dirla con un termine della Rohmert) possa asservire l'estetica o coincidere con essa: una prospettiva nuova, ardua ma certamente allettante. Buona ricerca!

lunedì 7 settembre 2015

Dizione standard: quale italiano e quali ambiti di lavoro




Un aneddoto racconta che durante la ribellione dei Vespri siciliani, gli abitanti della Sicilia uccisero gli occupanti francesi che, interpellati, non sapevano pronunciare correttamente la parola siciliana "ciciri" ('ceci'). Si tratta di una variatio sul tema dello Shibboleth, narrato nel Libro dei Giudici (12, 5-6): dopo un combattimento, i Galaaditi volevano impedire la fuga dei loro nemici sopravvissuti, gli Efraimiti. Questi ultimi, al momento di fuggire attraverso il fiume Giordano, dovevano quindi essere fermati e individuati come tali e a tal fine si elaborò un test specifico: chi veniva fermato doveva pronunciare correttamente la parola Shibboleth. Siccome, nel loro repertorio fonetico, gli efraimiti non possedevano il suono [ʃ] (come il primo suono del termine italiano "sciarpa"), il test era efficace, e chi sbagliava la pronuncia veniva ucciso.

Qual è la nostra lingua materna? Una risposta frettolosa potrebbe essere <<l'italiano>>, <<l'inglese>>, ... A livello sociolinguistico, possiamo affermare che l'Italia presenta su tutto il territorio nazionale una situazione definibile come una forma particolare di "diglossia", "Lingua cum dialectis". La nostra lingua materna è allora l'italiano ("lingua") o un dialetto? Se siamo sicuri che la nostra lingua madre sia la "Lingua", dobbiamo chiederci quale variante regionale parliamo. Per rispondere a tali quesiti, la maggior parte dei lettori si sarà chiesta in quale lingua pensa, o in quale lingua parla più frequentemente. Un quesito dal valore diagnostico più accurato sarebbe tuttavia il seguente: "quale repertorio fonetico utilizzo nell'eloquio spontaneo?". Con "repertorio fonetico" indichiamo qui, in parole povere, l'insieme di suoni e melodie che utilizziamo nel parlato. Raramente però un individuo ha capacità autodiagnostiche così sviluppate da permettergli di valutare il grado di neutralità del proprio eloquio ed eventualmente modificarlo. Infatti:

- Le abitudini fonatorie (fonetiche e fonologiche), acquisite nei primi anni di vita, vengono immagazzinate nella memoria implicita diventando quindi automatiche ed "inconsce";

- Cambiare il proprio modo di parlare è un compito difficile, non solo a livello pratico, ma soprattutto a livello psicologico (si tratta di cambiare l'intera immagine di sé, il che non è facilmente "tollerabile");

- E' alquanto raro avere feedback positivi nella vita quotidiana: il contesto socioculturale in cui si è inseriti percepisce una pronuncia neutra come "diversa" e incongrua, o addirittura "snob" (il che porta spesso a feedback psicologico negativo in quanto il parlante si sente escluso da una comunità);


- Non esiste una comunità di parlanti di riferimento: l'italiano neutro è un'astrazione, non una varietà linguistica parlata in una determinata regione geografica.

Approfondiamo l'ultimo punto. L'italiano è stata una lingua quasi solo scritta per molti secoli: quando dovevano parlare, gli abitanti delle varie regioni italiane, indipendentemente dal censo, dall'istruzione, dall'età, usavano il dialetto. Quando - successivamente- si è imposta l'esigenza di una lingua unitaria nazionale anche nella comunicazione orale, la pronuncia dell'italiano che si è venuta formando nelle più diverse regioni non poteva che subire una forte interferenza della fonologia della parlata locale (...) per cui risulta molto difficile definire una sola fonologia dell'italiano: ci troviamo in realtà di fronte a un insieme (in termini tecnici: un diasistema) di almeno una ventina di fonologie dell'italiano. (Mioni, 1993, pp. 02-103). Nessuna di queste pronunce regionali è riuscita ad imporsi come effettivo modello nazionale: né quella fiorentina, né l'asse tosco-romano preconizzata negli anni Trenta e Quaranta (Berruto, 1987, p. 96). Ma allora che cos'è l'italiano neutro? I cosiddetti "professionisti della dizione" hanno adottato e proposto una parlata un po' artificiale (nel senso che non ha una realizzazione diatopica concreta, ovvero non è parlata in una zona geografica precisa), la quale prendendo come riferimento di partenza il toscano, lo depura delle particolarità locali. Contemporaneamente, l'addestramento pratico in questo modello - come afferma Mioni - tenta di espungere, nella pronuncia dei suoni, qualsiasi inflessione dialettale, allo scopo di rendere irriconoscibile la provenienza regionale del parlante. Ecco dunque che lo "Standard" può essere definito come un continuum di accenti che - a livello percettivo - non sembrano denotare caratteristiche articolatorie regionali, etniche o socioeconomiche. Tale definizione sembra essere condivisa da molti linguisti, anche se non mancano le eccezioni. Secondo Nora Galli de' Paratesi (1984) esiste in realtà un modello di pronuncia che si è storicamente imposto in Italia. Tale modello non sarebbe quello dei fiorentini colti, né tantomeno quello romano, ma piuttosto un modello emendato dai tratti più tipicamente fiorentini e assunto e reinterpretato al Nord-Ovest (Milano), da dove, grazie alla forza di penetrazione di una comunità egemone sul piano economico e culturale, si va lentamente espandendo in tutta Italia, compresa la Toscana (cfr. Lo Duca, 2013).


Per ascoltare un italiano (più o meno) neutro dobbiamo quindi rivolgerci ai professionisti radiofonici (ma non tutti..), agli esperti doppiatori di film in italiano, ad alcuni attori. Sono state realizzate delle opere che tentano di codificare l'italiano standard, quali ad esempio il Dizionario di Pronuncia Italiana (DOP), ora disponibile anche in una versione online (http://www.dizionario.rai.it/), o il Dizionario di Pronuncia Italiana (2009) di L. Canepari, il quale contempla diversi tipi di pronuncia per molti lessemi: la pronuncia "moderna", quella "tradizionale", "accettata", "tollerata", "trascurata", "intenzionale", "aulica" (cf. http://venus.unive.it/canipa/dokuwiki/doku.php?id=en:start).

Ma cosa implica lo studio della "dizione"? Alla luce di quanto detto sopra, è vantaggioso considerare l'acquisizione dell'italiano neutro come l'apprendimento di una lingua straniera o, meglio, di un dialetto secondo.

Molti di coloro che frequentano corsi mirati (di cui l'Italia pullula) si vantano di sapere qual è la pronuncia corretta di determinate parole (ad esempio <<si dice "Bene" con la "e aperta", non chiusa>>) ma esibiscono poi una modalità d'eloquio smaccatamente regionale che fa apparire quasi ridicoli gli sforzi di pronunciare correttamente le "e" e le "o". Questo perché la "dizione" è un ambito pluridisciplinare che abbraccia molti settori della fonetica articolatoria (branca della linguistica che si occupa dello studio dei suoni della lingua), non solo la questione dell'apertura o chiusura delle vocali. Vediamo brevemente quali sono le aree di studio.

1. Ortofonia: (da orthόs e phσné) si riferisce all'esatta produzione di vocali e consonanti della lingua. Si tratta di capire quale schema motorio è all'origine dello spettro sonoro dei fonemi della lingua. Nella produzione delle vocali si presterà particolare attenzione alla posizione della lingua, delle labbra e della mandibola. Nelle consonanti ci si concentrerà sul modo e luogo di articolazione. In quest'ambito si cercherà di eliminare difetti articolatori che portano a pronunce anomale o non standard, ivi inclusi fenomeni quali il rotacismo ("erre moscia" o comunque non alveolare) e il sigmatismo (problema di realizzazione della esse), a patto che questi non siano conseguenti ad alterazioni muscoloscheletriche di competenza ortodontica o comunque logopedica. Si accerta - in quest'area di studio - anche la corretta assimilazione delle regole fonologiche della lingua in questione, nonché dell'effettiva realizzazione corretta dei vari allofoni previsti nella cornice dei fenomeni di coarticolazione (ad esempio la realizzazione del fonema /n/ è diversa nelle parole "anno" e "incontro" a causa di fenomeni di assimilazione che possono differire tra italiano neutro e italiano regionale).

2. Ortoepia: (da orthόs e épos) si riferisce all'uso corretto di e/o (aperta o chiusa), s (sorda o sonora), [ts] e [tz], all'accento di parola appropriato (ad esempio: si dice "ìnfido" o "infìdo"?), alla durata dei fonemi e ad altri fenomeni quali la geminazione (auto-geminazione, pre-geminazione, pos-geminazione, de-geminazione, cogeminazione/raddoppiamento sintattico). Si tratta quindi dell'ambito che la maggior parte delle persone associa alla "dizione" in senso stretto, ma che rappresenta in realtà solo una piccola parte dell'argomento, assai più complesso.

3. Intonazione: lo studio del set di contorni intonativi standardizzato in ogni lingua per fare asserzioni o porre domande. L'apprendimento dell'uso delle tonìe standard (tonìa conclusiva, sospensiva, continuativa, interrogativa...) è l'elemento a mio parere principale che si dovrebbe studiare per attenuare una cadenza regionale, in quanto esse rappresentano la "melodia" della lingua, la quale tende a giungere al nostro orecchio prima delle "singole note" (ovvero i singoli fonemi), in condizioni di ascolto normale.

4. Ortologia: (da orthόs e lόgos), lo studio della resa vocale delle intenzioni comunicative. Si tratta qui di analizzare ed allenare qualità foniche, prosodiche e parafoniche della voce per rendere i contenuti più efficaci e pregnanti. Tono, volume, tempo, mordente, in riferimento all'emozione da comunicare.. l'ortologia è il sottocampo più musicale dello studio della "dizione". Molti tendono a pronunciare le frasi in un modo che non rende l'emozione che intendono comunicare (dicendo, ad esempio, <<Le vacanze sono andate bene..>> con un tono di voce "grigio" e "spento" che non traduce l'idea del divertimento e della gioia che hanno provato nel corso delle stesse); la parafonica mira dunque a insegnare a sintonizzare la propria modalità comunicativa con le proprie reali intenzioni emotive.

5. Articolazione e respirazione: per "articolazione" intendiamo una generale tonicizzazione dell'articolatore attivo (lingua) e delle labbra, nonché una sufficiente apertura della bocca. Sufficiente, non eccessiva (troppo spesso si vedono studenti dei corsi di dizione che acquisiscono tensioni e pattern muscolari svantaggiosi in nome di una maggiore "articolazione"). L'articolazione dei fonemi nel parlato non va confusa con quella nel canto: in quest'ultimo, se di stampo pop o comunque moderno, si cerca di rimanere il più vicini possibile al parlato, ma in alcune zone frequenziali sono necessari degli aggiustamenti a livello linguale e laringeo. Per questo motivo guardo con sospetto a tutte quelle metodologie di allenamento vocale per cantanti che puntano ad esagerare l'articolazione tipica del parlato...(ulteriori informazioni in un post futuro..). Lo studio della respirazione nel parlato ha in comune con il canto la ricerca di un efficace accordo pneumofonico, senza pressione aerea eccessiva, nonché di mettere in grado il parlante di articolare frasi lunghe con un solo fiato, se necessario. Nel parlato essa tuttavia assume anche la funzione di stimolo rilassante, il quale rallenta il battito cardiaco e - forse - promuove una posizione laringea rilassata/un po' più bassa tramite il fenomeno del pull tracheale (ipotesi, questa, tutt'ora dibattuta).

6. Risonanza e qualità vocale: il training della voce parlata tende ad impostare una qualità vocale che, a livello spettrografico, presenta un ampio spettro armonico. Ciò è motivato dal fatto che l'intelligibilità di un eloquio è direttamente proporzionale alla quantità degli armonici presenti, specialmente all'interno dell'area al di sotto dei 3000 Hertz circa. Tale qualità vocale è correlata - a livello anatomofisiologico - ad un'ampia superficie di contatto cordale, rippling della mucosa di rivestimento delle pliche e sufficiente contrazione del muscolo vocale. Il tutto senza "costrizioni" dannose a carico della laringe. Spesso si sente far riferimento a questa qualità come "voce di petto", e non manca chi fa mettere la mano sul petto per stimolare questo tipo di risonanza. Non è un caso che la maggior parte delle (belle) voci che sentiamo in radio e nei doppiaggi siano voci profonde e sonore. 

Ognuno può emettere una qualità vocale che risulti da una piena vibrazione delle pliche vocali, ma il risultato acustico (ovvero quanto profonda sarà la voce e quindi quanto possiamo avvicinarci a ipotetici modelli di riferimento radiofonici..) dipenderà in primis dalle dimensioni della laringe e del filtro vocale, caratteristiche cioè legate alla genetica e non modificabili di molto nemmeno con il migliore dei training.



Come in ogni programma di formazione che si rispetti, bisogna individuare le aree di intervento prioritarie e seguire un programma di training giornaliero che sia incrementale e mirato a colmare le lacune individuali. A titolo esemplificativo, sentire qualcuno che parla con un'ortoepia perfetta ma con una voce monotona, stridula e intonazione fortemente regionale fa un po' sorridere.. specialmente se costui si vanta di aver "studiato dizione". Per maggiori informazioni sul training della voce parlata: