Un aneddoto racconta che
durante la ribellione dei Vespri siciliani, gli abitanti della Sicilia uccisero gli occupanti francesi che,
interpellati, non sapevano pronunciare correttamente la parola siciliana "ciciri"
('ceci'). Si tratta di una variatio sul tema dello Shibboleth,
narrato nel Libro dei Giudici (12,
5-6): dopo un combattimento, i Galaaditi volevano
impedire la fuga dei loro nemici sopravvissuti, gli Efraimiti. Questi
ultimi, al momento di fuggire attraverso il fiume Giordano, dovevano quindi essere fermati e individuati come tali e a tal fine si elaborò
un test specifico: chi veniva fermato doveva pronunciare correttamente la
parola Shibboleth. Siccome, nel loro
repertorio fonetico, gli efraimiti non possedevano il suono [ʃ] (come il primo suono del termine italiano "sciarpa"),
il test era efficace, e chi sbagliava la pronuncia veniva ucciso.
Qual è la nostra lingua
materna? Una risposta frettolosa potrebbe essere <<l'italiano>>,
<<l'inglese>>, ... A livello sociolinguistico, possiamo affermare
che l'Italia presenta su tutto il territorio nazionale una situazione definibile
come una forma particolare di "diglossia",
"Lingua cum dialectis". La
nostra lingua materna è allora l'italiano ("lingua") o un dialetto? Se siamo sicuri che la nostra lingua
madre sia la "Lingua",
dobbiamo chiederci quale variante
regionale parliamo. Per rispondere a tali quesiti, la maggior parte dei
lettori si sarà chiesta in quale lingua pensa, o in quale lingua parla più
frequentemente. Un quesito dal valore diagnostico più accurato sarebbe tuttavia
il seguente: "quale repertorio fonetico utilizzo nell'eloquio
spontaneo?". Con "repertorio fonetico" indichiamo qui, in parole
povere, l'insieme di suoni e melodie che utilizziamo nel parlato. Raramente
però un individuo ha capacità autodiagnostiche così sviluppate da permettergli
di valutare il grado di neutralità del proprio eloquio ed eventualmente
modificarlo. Infatti:
- Le abitudini fonatorie
(fonetiche e fonologiche), acquisite nei primi anni di vita, vengono
immagazzinate nella memoria implicita diventando quindi automatiche ed
"inconsce";
- Cambiare il proprio
modo di parlare è un compito difficile, non solo a livello pratico, ma
soprattutto a livello psicologico (si tratta di cambiare l'intera immagine di
sé, il che non è facilmente "tollerabile");
- E' alquanto raro avere
feedback positivi nella vita quotidiana: il contesto socioculturale in cui si è
inseriti percepisce una pronuncia neutra come "diversa" e incongrua,
o addirittura "snob" (il che porta spesso a feedback psicologico
negativo in quanto il parlante si sente escluso da una comunità);
- Non esiste una comunità
di parlanti di riferimento: l'italiano neutro è un'astrazione, non una varietà
linguistica parlata in una determinata regione geografica.
Approfondiamo l'ultimo
punto. L'italiano è stata una lingua quasi solo scritta per molti secoli:
quando dovevano parlare, gli abitanti delle varie regioni italiane,
indipendentemente dal censo, dall'istruzione, dall'età, usavano il dialetto.
Quando - successivamente- si è imposta l'esigenza di una lingua unitaria
nazionale anche nella comunicazione orale, la
pronuncia dell'italiano che si è venuta formando nelle più diverse regioni non
poteva che subire una forte interferenza della fonologia della parlata locale
(...) per cui risulta molto difficile definire una sola fonologia dell'italiano:
ci troviamo in realtà di fronte a un insieme (in termini tecnici: un
diasistema) di almeno una ventina di fonologie dell'italiano. (Mioni, 1993,
pp. 02-103). Nessuna di queste pronunce regionali è riuscita ad imporsi come
effettivo modello nazionale: né quella fiorentina, né l'asse tosco-romano
preconizzata negli anni Trenta e Quaranta (Berruto, 1987, p. 96). Ma allora che
cos'è l'italiano neutro? I cosiddetti "professionisti della dizione"
hanno adottato e proposto una parlata un po' artificiale (nel senso che non ha
una realizzazione diatopica concreta, ovvero non è parlata in una zona
geografica precisa), la quale prendendo come riferimento di partenza il
toscano, lo depura delle particolarità locali. Contemporaneamente,
l'addestramento pratico in questo modello - come afferma Mioni - tenta di
espungere, nella pronuncia dei suoni, qualsiasi inflessione dialettale, allo
scopo di rendere irriconoscibile la provenienza regionale del parlante. Ecco
dunque che lo "Standard" può essere definito come un continuum di
accenti che - a livello percettivo - non sembrano denotare caratteristiche
articolatorie regionali, etniche o socioeconomiche. Tale definizione sembra
essere condivisa da molti linguisti, anche se non mancano le eccezioni. Secondo
Nora Galli de' Paratesi (1984) esiste in realtà un modello di pronuncia che si
è storicamente imposto in Italia. Tale modello non sarebbe quello dei
fiorentini colti, né tantomeno quello romano, ma piuttosto un modello emendato
dai tratti più tipicamente fiorentini e assunto e reinterpretato al Nord-Ovest
(Milano), da dove, grazie alla forza di penetrazione di una comunità egemone
sul piano economico e culturale, si va lentamente espandendo in tutta Italia,
compresa la Toscana (cfr. Lo Duca, 2013).
Per ascoltare un italiano
(più o meno) neutro dobbiamo quindi rivolgerci ai professionisti radiofonici
(ma non tutti..), agli esperti doppiatori di film in italiano, ad alcuni
attori. Sono state realizzate delle opere che tentano di codificare l'italiano
standard, quali ad esempio il Dizionario di Pronuncia Italiana (DOP), ora
disponibile anche in una versione online (http://www.dizionario.rai.it/), o il
Dizionario di Pronuncia Italiana (2009) di L. Canepari, il quale contempla
diversi tipi di pronuncia per molti lessemi: la pronuncia "moderna",
quella "tradizionale", "accettata", "tollerata",
"trascurata", "intenzionale", "aulica" (cf. http://venus.unive.it/canipa/dokuwiki/doku.php?id=en:start).
Ma cosa implica lo studio
della "dizione"? Alla luce di quanto detto sopra, è vantaggioso
considerare l'acquisizione dell'italiano neutro come l'apprendimento di una
lingua straniera o, meglio, di un dialetto secondo.
Molti di coloro che
frequentano corsi mirati (di cui l'Italia pullula) si vantano di sapere qual è
la pronuncia corretta di determinate parole (ad esempio <<si dice
"Bene" con la "e aperta", non chiusa>>) ma esibiscono
poi una modalità d'eloquio smaccatamente regionale che fa apparire quasi
ridicoli gli sforzi di pronunciare correttamente le "e" e le
"o". Questo perché la "dizione" è un ambito
pluridisciplinare che abbraccia molti settori della fonetica articolatoria (branca
della linguistica che si occupa dello studio dei suoni della lingua), non solo
la questione dell'apertura o chiusura delle vocali. Vediamo brevemente quali
sono le aree di studio.
1. Ortofonia: (da orthόs e phσné) si riferisce all'esatta produzione
di vocali e consonanti della lingua. Si tratta di capire quale schema motorio è
all'origine dello spettro sonoro dei fonemi della lingua. Nella produzione
delle vocali si presterà particolare attenzione alla posizione della lingua,
delle labbra e della mandibola. Nelle consonanti ci si concentrerà sul modo e
luogo di articolazione. In quest'ambito si cercherà di eliminare difetti
articolatori che portano a pronunce anomale o non standard, ivi inclusi
fenomeni quali il rotacismo ("erre moscia" o comunque non alveolare)
e il sigmatismo (problema di realizzazione della esse), a patto che questi non
siano conseguenti ad alterazioni muscoloscheletriche di competenza ortodontica
o comunque logopedica. Si accerta - in quest'area di studio - anche la corretta
assimilazione delle regole fonologiche della lingua in questione, nonché
dell'effettiva realizzazione corretta dei vari allofoni previsti nella cornice
dei fenomeni di coarticolazione (ad esempio la realizzazione del fonema /n/ è
diversa nelle parole "anno" e "incontro" a causa di
fenomeni di assimilazione che possono differire tra italiano neutro e italiano
regionale).
2. Ortoepia: (da orthόs e épos) si riferisce all'uso corretto di e/o
(aperta o chiusa), s (sorda o sonora), [ts] e [tz], all'accento di parola
appropriato (ad esempio: si dice "ìnfido" o "infìdo"?),
alla durata dei fonemi e ad altri fenomeni quali la geminazione
(auto-geminazione, pre-geminazione, pos-geminazione, de-geminazione,
cogeminazione/raddoppiamento sintattico). Si tratta quindi dell'ambito che la
maggior parte delle persone associa alla "dizione" in senso stretto,
ma che rappresenta in realtà solo una piccola parte dell'argomento, assai più
complesso.
3. Intonazione: lo studio del set di contorni intonativi
standardizzato in ogni lingua per fare asserzioni o porre domande.
L'apprendimento dell'uso delle tonìe standard (tonìa conclusiva, sospensiva,
continuativa, interrogativa...) è l'elemento a mio parere principale che si
dovrebbe studiare per attenuare una cadenza regionale, in quanto esse
rappresentano la "melodia" della lingua, la quale tende a giungere al
nostro orecchio prima delle "singole note" (ovvero i singoli fonemi),
in condizioni di ascolto normale.
4. Ortologia: (da orthόs e lόgos), lo studio della resa vocale delle
intenzioni comunicative. Si tratta qui di analizzare ed allenare qualità
foniche, prosodiche e parafoniche della voce per rendere i contenuti più
efficaci e pregnanti. Tono, volume, tempo, mordente, in riferimento
all'emozione da comunicare.. l'ortologia è il sottocampo più musicale dello
studio della "dizione". Molti tendono a pronunciare le frasi in un
modo che non rende l'emozione che intendono comunicare (dicendo, ad esempio,
<<Le vacanze sono andate bene..>> con un tono di voce "grigio"
e "spento" che non traduce l'idea del divertimento e della gioia che
hanno provato nel corso delle stesse); la parafonica mira dunque a insegnare a
sintonizzare la propria modalità comunicativa con le proprie reali intenzioni
emotive.
5. Articolazione e respirazione: per "articolazione"
intendiamo una generale tonicizzazione dell'articolatore attivo (lingua) e
delle labbra, nonché una sufficiente apertura della bocca. Sufficiente, non
eccessiva (troppo spesso si vedono studenti dei corsi di dizione che
acquisiscono tensioni e pattern muscolari svantaggiosi in nome di una maggiore
"articolazione"). L'articolazione dei fonemi nel parlato non va
confusa con quella nel canto: in quest'ultimo, se di stampo pop o comunque
moderno, si cerca di rimanere il più vicini possibile al parlato, ma in alcune
zone frequenziali sono necessari degli aggiustamenti a livello linguale e
laringeo. Per questo motivo guardo con sospetto a tutte quelle metodologie di
allenamento vocale per cantanti che puntano ad esagerare l'articolazione tipica
del parlato...(ulteriori informazioni in un post futuro..). Lo studio della
respirazione nel parlato ha in comune con il canto la ricerca di un efficace
accordo pneumofonico, senza pressione aerea eccessiva, nonché di mettere in
grado il parlante di articolare frasi lunghe con un solo fiato, se necessario.
Nel parlato essa tuttavia assume anche la funzione di stimolo rilassante, il
quale rallenta il battito cardiaco e - forse - promuove una posizione laringea
rilassata/un po' più bassa tramite il fenomeno del pull tracheale (ipotesi,
questa, tutt'ora dibattuta).
6. Risonanza e qualità vocale: il training della voce parlata tende ad
impostare una qualità vocale che, a livello spettrografico, presenta un ampio
spettro armonico. Ciò è motivato dal fatto che l'intelligibilità di un eloquio
è direttamente proporzionale alla quantità degli armonici presenti,
specialmente all'interno dell'area al di sotto dei 3000 Hertz circa. Tale
qualità vocale è correlata - a livello anatomofisiologico - ad un'ampia
superficie di contatto cordale, rippling della mucosa di rivestimento delle pliche
e sufficiente contrazione del muscolo vocale. Il tutto senza
"costrizioni" dannose a carico della laringe. Spesso si sente far
riferimento a questa qualità come "voce di petto", e non manca chi fa
mettere la mano sul petto per stimolare questo tipo di risonanza. Non è un caso
che la maggior parte delle (belle) voci che sentiamo in radio e nei doppiaggi
siano voci profonde e sonore.
Ognuno può emettere una qualità vocale che risulti da una piena vibrazione delle pliche vocali, ma il risultato acustico (ovvero quanto profonda sarà la voce e quindi quanto possiamo avvicinarci a ipotetici modelli di riferimento radiofonici..) dipenderà in primis dalle dimensioni della laringe e del filtro vocale, caratteristiche cioè legate alla genetica e non modificabili di molto nemmeno con il migliore dei training.
Come in ogni programma di formazione che si rispetti, bisogna individuare le aree di intervento prioritarie e seguire un programma di training giornaliero che sia incrementale e mirato a colmare le lacune individuali. A titolo esemplificativo, sentire qualcuno che parla con un'ortoepia perfetta ma con una voce monotona, stridula e intonazione fortemente regionale fa un po' sorridere.. specialmente se costui si vanta di aver "studiato dizione". Per maggiori informazioni sul training della voce parlata:
Come in ogni programma di formazione che si rispetti, bisogna individuare le aree di intervento prioritarie e seguire un programma di training giornaliero che sia incrementale e mirato a colmare le lacune individuali. A titolo esemplificativo, sentire qualcuno che parla con un'ortoepia perfetta ma con una voce monotona, stridula e intonazione fortemente regionale fa un po' sorridere.. specialmente se costui si vanta di aver "studiato dizione". Per maggiori informazioni sul training della voce parlata:
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