Già da molto tempo oramai
i didatti del canto e i vocal coach di stampo anglosassone si sono
tendenzialmente distaccati dalla tradizione pedagogica che ricorreva ad una
serie di immagini soggettive proposte come regole oggettive, la maggior parte
delle quali non aveva alcun senso per l'allievo. La soggettività e le proprie
sensazioni, il proprio personale ed unico rapporto con il suono nonché le
proprie specifiche modalità di apprendimento vanno esplorati e valorizzati, ma
è metodologicamente scorretto additare l'individuale esperienza di feedback
corporeo come istruzione tecnica definitiva e valida per tutti, confondendo
dati oggettivi (la fisiologia) con dati soggettivi (la propriocezione legata
all'evento fisiologico) trasformandoli in indicazioni didattiche. Nonostante i
passi avanti fatti, alcune espressioni vengono ancora usate e permangono
"per tradizione", e spesso gli allievi tendono ancora a confondere
determinati concetti con altri o ad interpretare specifiche richieste in modo
inappropriato; questo è molte volte chiaramente riscontrabile nel comportamento
vocale e fisico derivante dall'applicazione di quelle "regole", che
si rivela problematico e frequentemente disfunzionale. La colpa può essere
dell'insegnante, il quale non è oggettivo e chiaro nelle istruzioni, oppure
dell'allievo, che interpreta male quanto richiestogli (ma se interpreta male
vuol dire che l'insegnante non è stato efficiente..), o di entrambi, se non
riescono a creare un "rapport" basato sulla comprensibilità e
semplicità comunicativa nonché sull'onestà reciproca e sulla precisione lessicale.
L'importanza della relazione docente-allievo è anche uno dei motivi per cui
nessuno imparerà mai a cantare leggendo un testo.
Ci auguriamo tuttavia che
queste coppie di termini e locuzioni varie possano stuzzicare l'intelletto dei
cantanti/attori/vocalist e, di lì, possano andare a stimolare la motivazione a
ricercare un rapporto più funzionale con il suono (o con il proprio maestro/a).
1. Energia fisica VS
spingere più aria
Quando le pliche vocali
"vibrano", si aprono e si chiudono un determinato numero di volte. La
durata della fase di chiusura è direttamente proporzionale alla pressione che
si crea al di sotto della glottide. In termini molto semplici, quando la
pressione sottoglottica supera un certo livello, le corde vocali hanno bisogno
di essere "aiutate" a gestirla: se il corpo del
cantante/vocalist/attore risponde in maniera funzionale (e non è detto che sia
così), intervengono allora delle catene muscolari che, stabilizzando l'attività
laringea e controllando il flusso aereo,
permettono di realizzare questo exploit vocale che non è "da tutti i
giorni". Chi sta vocalizzando, dunque, deve accettare che aumenti
l'energia corporea, oppure - se ciò non accade automaticamente - imparare ad
aumentarla. Moltissime volte gli allievi pensano tuttavia di dover spingere
fuori più aria aumentando il flusso espiratorio, il che - a seconda della
qualità vocale utilizzata e dello specifico momento del ciclo espiratorio (...)
- può essere molto dannoso per la salute della laringe e comunque non porta
quasi mai i risultati sperati. E' fondamentale che ogni utente della voce
impari a distinguere queste due attività muscolari.
2. Eutono VS ipotonia
Tutti si saranno sentiti
dire almeno una volta nel corso del training vocale che devono
"rilassarsi". Quando il lavoro muscolare è eccessivo, esso si espande
alle regioni limitrofe e porta a rigidità generalizzata. A quel punto capita
spesso che l'allievo se ne accorga (cosa positiva) ma che scelga come soluzione
la strada opposta: rilassare tutto. A quel punto "spoggia" (come si
direbbe seguendo la "tradizione"), produce una qualità timbrica molto
esile e flebile (che potrebbe o meno essere desiderata o desiderabile) e non
riesce ad affrontare quei task vocali che richiedono più energia (ad esempio
aumentare il volume o superare il cosiddetto "passaggio di
registro"). La soluzione sta nel capire dove bisogna immettere l'energia,
dove bisogna ridurla, in quali quantità e in quale modalità. Nel momento in cui
tutto "funziona" nell'apparato fonorisonatore, la sensazione
percettiva sarà di facilità e "rilassatezza".. ma non è la realtà
biologica dei fatti, ne è solo il correlato percettivo. Rilassare
coscientemente in senso generalizzato conduce molto spesso all' ipotonia, la
quale non porta da nessuna parte.
3. Gola libera VS gola
aperta
Qui il problema sta in
primis nel termine apparentemente innocuo "gola". Si tratta infatti
di un vocabolo non tecnico che si potrebbe riferire alla cavità orale, alla
rinofaringe, all'orofaringe, all'ipofaringe, alla laringe, al vestibolo
laringeo, all'altezza della laringe nel collo, alla posizione del velo
palatino, alla posizione della lingua... E poi cosa indica effettivamente
l'aggettivo "aperta"? Significa "larga"? Il problema più comune
legato a tale concetto è riscontrabile in zona frequenziale acuta. Spesso
l'allievo ha "imparato" che deve allargare il più possibile la
"gola" (bocca, cavità orale, tubo faringeo) proprio in acuto. Ma la
fisiologia va in un'altra direzione, prevedendo - al salire degli Herz - un
parziale accorciamento e restringimento del "tubo vocale" finalizzato
ad un più efficiente aggiustamento laringeo e risonanziale in assenza del quale
la nota acuta può essere raggiunta (in modo grossolano, impreciso e spesso
dannoso) solo con una maggiore spinta d'aria.
4. Laringe mobile VS
laringe instabile
Una laringe sana è una laringe che si muove e
si aggiusta a seconda della frequenza e dell'intensità che desidera produrre.
Non nel momento in cui sta producendo un suono fisso, però; qui parliamo di
preparazione all'emissione. Una volta che la laringe ha assunto la posizione
più funzionale ed adatta al task che si prepone il cantante/attore, essa deve
essere stabilizzata. Stabilizzata, non "fissata" in quella posizione
per tutto il tempo della performance. E' possibile contenere l'escursione
verticale della laringe - molti cantanti d'opera studiano anni per farlo - ma
non è auspicabile la letterale fissazione in un punto unico e rigidamente
definito. Analogamente non è desiderabile - ed è sintomo di voce non allenata -
l'instabilità dell'emissione.
5. Pronuncia avanti VS
suono avanti
"Mandare il suono in
avanti" può essere una percezione soggettiva di guida molto accurata, ma
solo nel momento in cui chi canta/parla ha compreso che è l'efficacia della
produzione vocale a livello laringeo e una precisa condizione degli organi che
compongono il tratto vocale che la causa. Accade spesso che l'allievo che si
sente dire di "mandare il suono in avanti" faccia una serie di cose
alquanto bizzarre o addirittura nocive al fine di ottenere questo agognato
"suono in maschera" che non riesce a percepire: spinge notevoli
quantità di aria, nasalizza o "schiaccia" eccessivamente il timbro,
altera la postura cervicale spostando in avanti o indietro il mento, etc. Altra
cosa è spostare in avanti la pronuncia, azione che si basa su una posizione
della lingua che permette - tramite un'apertura della zona epilaringea - una
maggiore libertà di movimento della laringe, in aggiunta ad un aumento della
brillantezza del suono.
6. Suono più forte
"internamente" VS suono più forte "esternamente"
Quando viene chiesto ad
un allievo di emettere un suono più forte, spesso (oltre a spingere troppa
aria, alterare in senso disfunzionale la postura ecc.) tende a realizzare un suono che egli
percepisce come più forte/risonante dal "di dentro". Non è
assolutamente detto che dal di fuori (ovvero all'orecchio dell'ascoltatore) il
suono sia più forte.. spesso si sente non una voce più forte, bensì una voce
"ingrossata", spinta, che "non corre", grossolana e rozza.
Lo studente tende anche a dimenticare che - a parità di intensità - l'orecchio
umano percepisce i suoni acuti come più " in forte" rispetto a quelli
gravi (basta consultare il famoso grafico conosciuto come "Diagramma di
uguale intensità sonora"/"Audiogramma di Fletcher-Munson per avere un
riferimento scientifico"). La conseguenza è che invece di emettere acuti
più "in piano" rispetto ai gravi (il che causerebbe nell'ascoltatore
la percezione di uniformità dell'intensità nel passaggio dai gravi agli acuti),
l'allievo tende a spingere le frequenze più elevate con tutti gli aspetti deleteri
a questo legati.
7. Contrazione del retto
dell'addome VS appoggio del suono
L'appoggio del suono è
molto spesso citato nei testi sul canto e sulla voce come qualcosa di sacro,
religioso e vago: tutti sanno che cos'è ma nessuno è preciso in riferimento a
dove esso venga realizzato, come, a che fine (cosa appoggiamo quando appoggiamo
la voce?), quale sia il feedback percettivo del suo corretto utilizzo e,
soprattutto, come si possa insegnare efficacemente. Rimandiamo ad un altro post
futuro la discussione sull'appoggio della voce (se appartieni alla scuola che
associa l'appoggio alla respirazione, leggi questo post), ma mettiamo fin da subito
in risalto che l'appoggio non è una mera e grossolana contrazione del retto
dell'addome. Tale movimento muscolare (nonostante avvenga automaticamente e
fisiologicamente in misura maggiore o minore in determinate zone del ciclo
espiratorio e in corrispondenza degli estremi dell'estensione) non fa che
aumentare la pressione e - tramite una connessione nervosa filogeneticamente e
ontogeneticamente antica e ben radicata - causa costrizione e potenziali danni
vocali, temporanei o permanenti. Leggi quest'articolo per maggiori dettagli.
8. Instabilità VS vibrato
naturale
Ogni suono presente in
natura ha un suo vibrato. In alcuni generi musicali il vibrato è fondamentale
per la valutazione della qualità della voce, in altri meno, in altri ancora
esso è tabù. Alcune voci esibiscono più di altre un vibrato naturale, che può
essere voluto o meno. Un buon vibrato è riconoscibile dal numero di pulsazioni
al secondo (5 o 6), nonché da una qualità "rotonda" che deriva dalla
fluttuazione a livello di intensità, in aggiunta alla variazione frequenziale.
Accade che certi allievi interpretino erroneamente il nascere del vibrato come
instabilità; accade altresì il contrario, ovvero che alcuni allievi, nel
tentativo di produrre un vibrato che non posseggono, producano un suono
instabile (con pulsazioni inferiori o superiori a 5/6 al secondo e/o con
irregolarità generalizzata delle stesse in aggiunta ad un'escursione tonale
troppo elevata). Alcune voci rifiutano invece il loro vibrato naturale e
adottano una serie di comportamenti compensatori che irrigidiscono
eccessivamente il corpo e la vocalizzazione stessa.
9. Suoni sfiatati o
urlati VS intensità emotiva
Molto di frequente i
giovani cantanti e attori si "affezionano" ad una modalità
interpretativa o di emissione e tendono ad adottarla ogni qual volta sentono di
dover comunicare emozione ed emotività. Nessuno nega che ci sia un posto per i
suoni sfiatati e per gli "urlati" (se eseguiti con coscienza tecnica
e senza esagerare) sulla "tavolozza" dell'artista; il problema nasce
quando queste diventano le uniche scelte possibili e/o ricorrenti. A quel punto
diventa spesso irritante e all'ascoltatore/allo spettatore la performance appare
falsa e pure puerile. La ricerca interpretativa non si può fermare al falsetto
e all'urlo. L'artista deve esplorare tutte le sfumature, tentare varie strade e
non fermarsi mai a ciò che già conosce.
10. Problema tecnico VS
problema "istologico"
Una difficoltà vocale,
transitoria o permanente, non è necessariamente dovuta a incompetenza tecnica.
A volte vi è un'alterazione organica delle pliche vocali o del tratto vocale
che può essere conseguente ad alterazioni ormonali (ad esempio nei giorni
precedenti il ciclo mestruale), disidratazione, cambi di alimentazione, agenti
patogeni (malattie stagionali), allergie, malmenage o surmenage (uso improprio
o troppo prolungato dello strumento, anche in contesti quotidiani, al di fuori
delle performance), patologia da reflusso gastro-esofageo, lesione della
superficie cordale- congenita o acquisita. Lo strumento vocale umano è soggetto
ad ogni tipo di stress ("endogeno" od "esogeno"), per cui a
volte risulta necessario avere compassione per se stessi e riconoscere che - a
prescindere dall'impegno e dalla quantità di studio - ci saranno giorni in cui
la voce sarà più in forma e altri in cui sembrerà abbandonarci. Non bisogna
nemmeno sconfinare nell'ipocondria però, convincendosi di avere contratto gravi
patologie non appena arriva un raffreddore o un abbassamento di voce. In caso
di dubbi "sani", ovvero quando il problema è persistente e non sembra
migliorare, si ricorrerà ad un controllo medico con uno specialista.
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