Qualsiasi sia il nostro
ambito d'interesse e di studio, la finalità del training neuromuscolare che lo
accompagna è (quasi sempre e per tutti) la performance. Un set di abilità
acquisite in studio/classe/a lezione ha ben poco valore se non è trasferibile e
trasferito adeguatamente ed efficacemente alla performance per così dire
"dal vivo". C'è una sostanziale differenza tra l'allenamento tecnico
e il performance training: le due componenti possono (e dovrebbero) coesistere,
ma l'una non può sostituire l'altra. Avere dominio del palco (inteso non solo
come spazio scenico bensì come condizione bio-psicologica dell'esecutore in
rapporto con un'audience), di una scena recitata, di una presentazione, di un'interazione
(...) è una competenza che viene certamente coadiuvata dalla tecnica, ma che è
comunque separata da essa e quindi allenabile separatamente.
Quando impariamo qualcosa
di nuovo in fase di studio, spesso diciamo a noi stessi: "Devo riuscire a
ricordarmi di farlo", o "Devo scrivere un appunto sul testo per applicarlo",(...). Miriamo, in altre parole, a trasferire
coscientemente i nuovi task appresi alle "esibizioni ufficiali". Per
il principiante, tale scelta si rivela spesso ottima: egli è così in grado di
iniziare ad abituare il sistema nervoso ad eseguire dei compiti (motori o
verbali) che sono nuovi e innalzano il livello di una performance che,
altrimenti, sarebbe caratterizzabile appunto come "da principiante".
Ma è possibile che si verifichi lo scenario opposto.
Immaginiamo quanto segue
o notiamo se si tratta di un'esperienza familiare: abbiamo lavorato sodo in
fase di preparazione, studiando, esercitandoci molto ed assimilando (ovvero
metabolizzando nel senso più stretto del termine) la tecnica. Ora, pochi minuti
prima della "performance", stiamo ripassando mentalmente quanto ci
aspetta, passaggio dopo passaggio, e tentiamo di ricordare tutti i dettagli
tecnici che abbiamo imparato. "La mano va tenuta in quella posizione, la
testa deve essere eretta, la tal cartilagine laringea in quella determinata condizione,
la pronuncia di quel fonema prevede la lingua in quello spazio, lo sguardo... i
muscoli... il respiro... il movimento...". Sappiamo che è un momento
importante, che ci stanno guardando, che si tratta potenzialmente di una svolta
per la nostra carriera.
Entriamo in
"scena" e iniziamo a parlare e a muoverci. Ci accorgiamo quasi subito
che qualcosa non sta funzionando. Siamo "lenti" nell'esecuzione, un
po' impacciati, ci riesce improvvisamente difficile coordinarci, eseguire
quanto studiato per moltissimo tempo e che davamo per scontato e per appreso;
la qualità della performance ne risente drasticamente e - a prescindere dal
nostro livello di preparazione che può essere molto elevato e professionistico
- ci sembra di tornare ad essere dei principianti, e chi ci osserva se ne
accorge e condivide il nostro giudizio. Quanto sopra descritto è un fenomeno
ben conosciuto in ambito sportivo, in modo particolare nell'ambito della
psicologia dello sport: esso prende il nome di "Choking", anche se in passato è stato informalmente noto come
"the bricks"/"icing"
(nel basket), "the yips"
(nel golf), "dartitis"
(darts), "cracking" (in ambiente accademico), "bottling" (termine comune in Gran
Bretagna negli anni '70 e '80). Tecnicamente, dunque, il fenomeno del choking consta nell'improvviso
deterioramento di competenze acquisite a livello di expertise in condizioni di
pressione psicologica. Il termine "ansia" - curiosamente - sembra
derivare etimologicamente dal latino "angere", che significa "stringere",
quindi in senso lato anche "soffocare"/"choking", in inglese.
Sembra che il choking derivi, a livello psicologico,
da un paradosso motivazionale: quanto più ci si sforza di ottenere risultati
eccellenti a livello performativo, tanto minore risulta la qualità globale
della performance. E' altresì definibile come una vera e propria "Paralisi
da analisi". Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire bene il
motivo di questo "fallimento".
Quando impariamo una
nuova abilità o una nuova coordinazione, specialmente da adulti, dobbiamo
concentrarci esplicitamente su di essa. A livello neuroanatomico ciò
corrisponde ad un'attivazione della corteccia prefrontale (come confermano
studi di brainimaging), che si traduce in un controllo cosciente, step-by-step
e cognitivamente costoso del task in questione. In parole semplici: quando
impariamo una nuova coordinazione, dobbiamo prestare attenzione focalizzata ad
ogni singolo elemento costitutivo che compone l'azione totale, e questo non ci
permette di pensare ad altro in quanto occupa la nostra intera capacità
cognitiva. Con la pratica continua, "proceduralizziamo" il gesto,
cioè lo rendiamo progressivamente automatico. Quando ciò avviene - e può
avvenire soltanto con uno studio costante, serio e ben strutturato - il
controllo dell'esecuzione passa dalla corteccia ad altre aree cerebrali (ad
esempio i gangli della base), responsabili della memoria neuromuscolare
implicita. A quel punto, non avremo più bisogno di controllare coscientemente
ogni step, ogni componente dell'azione globale: la pratica avrà trasformato
quei chunk in un unicum, una coordinazione globale di cui possiamo usufruire a
livello automatico e che, di conseguenza, libera risorse cognitive affinché possiamo
dedicarci ad altro (l'interpretazione, l'interazione, la musica, il
personaggio, l'obiettivo della presentazione...).
Capiamo quindi che il choking è un problema di
"inversione psicologica": un "esperto", che ha
immagazzinato precisi schemi motori o verbali nella memoria implicita, obbliga
se stesso (in quanto in condizioni di stress la ritiene erroneamente una
soluzione ottimale) a ricorrere alla memoria esplicita. E' come fare un salto
indietro nell'evoluzione personale e ritornare a pensare "da
principianti": il risultato non potrà che essere una prestazione da
principiante. Il paradosso - lo ricordiamo - sta nel fatto che la radice del
problema non è una mancanza di focus, bensì un eccesso di focus, poiché il
monitoraggio cosciente inficia l'efficacia decisamente superiore del sistema
esplicito. Ecco dunque che si rivela necessario, oltre al training prettamente
tecnico ed artistico, anche un allenamento psicologico applicato alla
performance vocale-comunicativa-attoriale, mutuato dalla psicologia dello
sport. Prima di elencare qualche consiglio, però, ricordiamo due punti
fondamentali:
- E' solo il performer
esperto che può sperimentare il choking,
in quanto ha immagazzinato le sue competenze nella memoria implicita (che è più
efficace di quella esplicita, a questo stadio di maturazione).
- Nel performer
principiante, è probabile che un aumento dell'attenzione selettiva di tipo
esplicito migliori notevolmente la prestazione anziché comprometterla.
Di seguito riportiamo una
serie di tecniche utilizzate regolarmente dagli sportivi e dai performer per
ridurre lo stress e l'ansia che potrebbero causare choking. Si tratta, come già detto, di allenare la mente a
percepire in modo diverso, compito questo che costa tempo e molta fatica ma che
va affrontato da ogni performer serio. Si tratta di una lista breve e non
approfondita, essendo questo un mero blog e non un libro di psicologia
sportiva.
1. Ristrutturare la
percezione della situazione inquadrandola come occasione per usare al meglio le
proprie migliori capacità, invece di vederla come una minaccia per il proprio
benessere psico-fisico.
2. Interpretare l'arousal fisiologico (battito innalzato,
rilascio di adrenalina...) come prontezza all'azione, non come segnali di un
disastro imminente.
3. Utilizzare tecniche di
rilassamento fisico (come la tensione e rilassamento di ogni singola parte del
corpo) e mentale (ad esempio con le tecniche di visualizzazione).
4. Dare a se stessi
(attraverso il self-talk) indicazioni
specifiche su cosa si deve fare (il superobiettivo, il sentimento, respirare,
sorridere...) togliendo la mente da ciò che "potrebbe andare storto".
5. Usare una routine
pre-performance, ovvero sequenze sistematiche di pensieri ed azioni precedenti
l'esecuzione di un compito importante (osservate i calciatori prima dei calci
di rigore..). Tali routine fungono da "ancore" psicologiche ed hanno
il merito di focalizzare l'attenzione sul presente, non su eventuali pensieri
negativi legati al passato, e su ciò che si può controllare.
6. Pensare in modo
costruttivo e utilizzare il self-talk
per incoraggiarsi, non cedendo alla tentazione di diventare ostili o sarcastici
nei confronti di se stessi.
7. Allenarsi in
situazioni di pressione al fine di abituarsi a funzionare in tale stato.
8. Controllare il
linguaggio corporeo controllabile: una volta che sappiamo come reagisce il
nostro corpo allo stress, possiamo adoperarci per mettere in atto comportamenti
contrari o per lo meno compensatori (respirazione più profonda se tende ad
accelerare, retrazione delle false corde se si tende a costringere, cosciente
rilassamento delle spalle se tendono a irrigidirsi...).
Ma soprattutto, se si
tende a soffrire di episodi di choking:
9. Imparare a convincersi
che la performance imminente NON è un evento importantissimo (anche se lo è),
sviluppare l'abilità di credere (anche di contro alla verità) che alla fine
"è solo una canzone/un concerto/una scena/un'audizione/una
presentazione...". Spesso risulta utile volgere l'attenzione alle cose che
sono più importanti: salute, famiglia, relazioni,...
Steve Davis, 6 volte campione del mondo di
snooker, la definisce "The art of
playing as if it means nothing when it means everything". Per chi studia, è anche fondamentale capire che
esiste una modalità "training" e una modalità "performance",
e che mescolare le due potrebbe essere controproducente.
grazie David essenziale e dettagliato
RispondiElimina