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venerdì 7 agosto 2015

Il Choking e il paradosso della mente del performer


Qualsiasi sia il nostro ambito d'interesse e di studio, la finalità del training neuromuscolare che lo accompagna è (quasi sempre e per tutti) la performance. Un set di abilità acquisite in studio/classe/a lezione ha ben poco valore se non è trasferibile e trasferito adeguatamente ed efficacemente alla performance per così dire "dal vivo". C'è una sostanziale differenza tra l'allenamento tecnico e il performance training: le due componenti possono (e dovrebbero) coesistere, ma l'una non può sostituire l'altra. Avere dominio del palco (inteso non solo come spazio scenico bensì come condizione bio-psicologica dell'esecutore in rapporto con un'audience), di una scena recitata, di una presentazione, di un'interazione (...) è una competenza che viene certamente coadiuvata dalla tecnica, ma che è comunque separata da essa e quindi allenabile separatamente.
Quando impariamo qualcosa di nuovo in fase di studio, spesso diciamo a noi stessi: "Devo riuscire a ricordarmi di farlo", o "Devo scrivere un appunto sul testo per applicarlo",(...).  Miriamo, in altre parole, a trasferire coscientemente i nuovi task appresi alle "esibizioni ufficiali". Per il principiante, tale scelta si rivela spesso ottima: egli è così in grado di iniziare ad abituare il sistema nervoso ad eseguire dei compiti (motori o verbali) che sono nuovi e innalzano il livello di una performance che, altrimenti, sarebbe caratterizzabile appunto come "da principiante". Ma è possibile che si verifichi lo scenario opposto.
Immaginiamo quanto segue o notiamo se si tratta di un'esperienza familiare: abbiamo lavorato sodo in fase di preparazione, studiando, esercitandoci molto ed assimilando (ovvero metabolizzando nel senso più stretto del termine) la tecnica. Ora, pochi minuti prima della "performance", stiamo ripassando mentalmente quanto ci aspetta, passaggio dopo passaggio, e tentiamo di ricordare tutti i dettagli tecnici che abbiamo imparato. "La mano va tenuta in quella posizione, la testa deve essere eretta, la tal cartilagine laringea in quella determinata condizione, la pronuncia di quel fonema prevede la lingua in quello spazio, lo sguardo... i muscoli... il respiro... il movimento...". Sappiamo che è un momento importante, che ci stanno guardando, che si tratta potenzialmente di una svolta per la nostra carriera.


Entriamo in "scena" e iniziamo a parlare e a muoverci. Ci accorgiamo quasi subito che qualcosa non sta funzionando. Siamo "lenti" nell'esecuzione, un po' impacciati, ci riesce improvvisamente difficile coordinarci, eseguire quanto studiato per moltissimo tempo e che davamo per scontato e per appreso; la qualità della performance ne risente drasticamente e - a prescindere dal nostro livello di preparazione che può essere molto elevato e professionistico - ci sembra di tornare ad essere dei principianti, e chi ci osserva se ne accorge e condivide il nostro giudizio. Quanto sopra descritto è un fenomeno ben conosciuto in ambito sportivo, in modo particolare nell'ambito della psicologia dello sport: esso prende il nome di "Choking", anche se in passato è stato informalmente noto come "the bricks"/"icing" (nel basket), "the yips" (nel golf), "dartitis" (darts), "cracking" (in ambiente accademico), "bottling" (termine comune in Gran Bretagna negli anni '70 e '80). Tecnicamente, dunque, il fenomeno del choking consta nell'improvviso deterioramento di competenze acquisite a livello di expertise in condizioni di pressione psicologica. Il termine "ansia" - curiosamente - sembra derivare etimologicamente dal latino "angere", che significa "stringere", quindi in senso lato anche "soffocare"/"choking", in inglese.

Sembra che il choking derivi, a livello psicologico, da un paradosso motivazionale: quanto più ci si sforza di ottenere risultati eccellenti a livello performativo, tanto minore risulta la qualità globale della performance. E' altresì definibile come una vera e propria "Paralisi da analisi". Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire bene il motivo di questo "fallimento".


Quando impariamo una nuova abilità o una nuova coordinazione, specialmente da adulti, dobbiamo concentrarci esplicitamente su di essa. A livello neuroanatomico ciò corrisponde ad un'attivazione della corteccia prefrontale (come confermano studi di brainimaging), che si traduce in un controllo cosciente, step-by-step e cognitivamente costoso del task in questione. In parole semplici: quando impariamo una nuova coordinazione, dobbiamo prestare attenzione focalizzata ad ogni singolo elemento costitutivo che compone l'azione totale, e questo non ci permette di pensare ad altro in quanto occupa la nostra intera capacità cognitiva. Con la pratica continua, "proceduralizziamo" il gesto, cioè lo rendiamo progressivamente automatico. Quando ciò avviene - e può avvenire soltanto con uno studio costante, serio e ben strutturato - il controllo dell'esecuzione passa dalla corteccia ad altre aree cerebrali (ad esempio i gangli della base), responsabili della memoria neuromuscolare implicita. A quel punto, non avremo più bisogno di controllare coscientemente ogni step, ogni componente dell'azione globale: la pratica avrà trasformato quei chunk in un unicum, una coordinazione globale di cui possiamo usufruire a livello automatico e che, di conseguenza, libera risorse cognitive affinché possiamo dedicarci ad altro (l'interpretazione, l'interazione, la musica, il personaggio, l'obiettivo della presentazione...).
Capiamo quindi che il choking è un problema di "inversione psicologica": un "esperto", che ha immagazzinato precisi schemi motori o verbali nella memoria implicita, obbliga se stesso (in quanto in condizioni di stress la ritiene erroneamente una soluzione ottimale) a ricorrere alla memoria esplicita. E' come fare un salto indietro nell'evoluzione personale e ritornare a pensare "da principianti": il risultato non potrà che essere una prestazione da principiante. Il paradosso - lo ricordiamo - sta nel fatto che la radice del problema non è una mancanza di focus, bensì un eccesso di focus, poiché il monitoraggio cosciente inficia l'efficacia decisamente superiore del sistema esplicito. Ecco dunque che si rivela necessario, oltre al training prettamente tecnico ed artistico, anche un allenamento psicologico applicato alla performance vocale-comunicativa-attoriale, mutuato dalla psicologia dello sport. Prima di elencare qualche consiglio, però, ricordiamo due punti fondamentali:
- E' solo il performer esperto che può sperimentare il choking, in quanto ha immagazzinato le sue competenze nella memoria implicita (che è più efficace di quella esplicita, a questo stadio di maturazione).
- Nel performer principiante, è probabile che un aumento dell'attenzione selettiva di tipo esplicito migliori notevolmente la prestazione anziché comprometterla.
Di seguito riportiamo una serie di tecniche utilizzate regolarmente dagli sportivi e dai performer per ridurre lo stress e l'ansia che potrebbero causare choking. Si tratta, come già detto, di allenare la mente a percepire in modo diverso, compito questo che costa tempo e molta fatica ma che va affrontato da ogni performer serio. Si tratta di una lista breve e non approfondita, essendo questo un mero blog e non un libro di psicologia sportiva.


1. Ristrutturare la percezione della situazione inquadrandola come occasione per usare al meglio le proprie migliori capacità, invece di vederla come una minaccia per il proprio benessere psico-fisico.
2. Interpretare l'arousal fisiologico (battito innalzato, rilascio di adrenalina...) come prontezza all'azione, non come segnali di un disastro imminente.
3. Utilizzare tecniche di rilassamento fisico (come la tensione e rilassamento di ogni singola parte del corpo) e mentale (ad esempio con le tecniche di visualizzazione).
4. Dare a se stessi (attraverso il self-talk) indicazioni specifiche su cosa si deve fare (il superobiettivo, il sentimento, respirare, sorridere...) togliendo la mente da ciò che "potrebbe andare storto".
5. Usare una routine pre-performance, ovvero sequenze sistematiche di pensieri ed azioni precedenti l'esecuzione di un compito importante (osservate i calciatori prima dei calci di rigore..). Tali routine fungono da "ancore" psicologiche ed hanno il merito di focalizzare l'attenzione sul presente, non su eventuali pensieri negativi legati al passato, e su ciò che si può controllare.
6. Pensare in modo costruttivo e utilizzare il self-talk per incoraggiarsi, non cedendo alla tentazione di diventare ostili o sarcastici nei confronti di se stessi.
7. Allenarsi in situazioni di pressione al fine di abituarsi a funzionare in tale stato.
8. Controllare il linguaggio corporeo controllabile: una volta che sappiamo come reagisce il nostro corpo allo stress, possiamo adoperarci per mettere in atto comportamenti contrari o per lo meno compensatori (respirazione più profonda se tende ad accelerare, retrazione delle false corde se si tende a costringere, cosciente rilassamento delle spalle se tendono a irrigidirsi...).
Ma soprattutto, se si tende a soffrire di episodi di choking:
9. Imparare a convincersi che la performance imminente NON è un evento importantissimo (anche se lo è), sviluppare l'abilità di credere (anche di contro alla verità) che alla fine "è solo una canzone/un concerto/una scena/un'audizione/una presentazione...". Spesso risulta utile volgere l'attenzione alle cose che sono più importanti: salute, famiglia, relazioni,...

Steve Davis, 6 volte campione del mondo di snooker, la definisce "The art of playing as if it means nothing when it means everything". Per chi studia, è anche fondamentale capire che esiste una modalità "training" e una modalità "performance", e che mescolare le due potrebbe essere controproducente.

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