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sabato 9 gennaio 2016

"Io sono contraria alle scuole di canto", dalla Pausini a Mina. Cosa c'è di vero?












Le sentenze lapidarie pronunciate "per" o "contro" qualcosa o qualcuno, specialmente se definitive e assolute, sono sempre criticabili. Ciò è applicabile pure a quanto accaduto qualche giorno fa nel corso della trasmissione televisiva "Che tempo che fa", quando Laura Pausini - celeberrima eroina internazionale della canzone italiana - ha dichiarato testualmente:

<<Io non voglio fare una polemica su questo perché ognuno ha il suo punto di vista, ma io sono contraria alle scuole di canto. Per me non ci può essere nessuno che insegni ad un altro come cantare, perché diventa "tecnico", secondo me tutto questo è lontanissimo dall'arte del canto (...)>>.


Il popolo dei cantanti e, soprattutto, dei docenti di canto italiani, si è ribellato sui social a suon di critiche e con reazioni che vanno dalla semplice indignazione al desiderio di avviare addirittura un procedimento legale contro la cantautrice, che ha osato infangare il loro lavoro o oggetto di studio. La risposta da parte dei vocal coach era doverosa, dal momento che ad essere attaccato direttamente (e dal pulpito di un evento mediatico importante a livello nazionale) è il valore del loro stesso operato, e ad essere messo in discussione è il senso della professione in sé.

Leggendo i post e i commenti degli insegnanti di canto, che si scontrano inevitabilmente con i sostenitori e i fan di Laura Pausini, mi è tornato alla mente quanto lessi parecchi anni fa, casualmente, sulla rivista Vanity Fair. Nel 2008 mi capitò fra le mani un numero della suddetta pubblicazione, la quale conteneva (e forse contiene tutt'ora) una sezione in cui la grande Mina (sì, proprio lei) rispondeva ai quesiti dei lettori in merito ai temi più disparati. Conservai il trafiletto con una domanda e risposta che mi colpì, in quanto ricordo che lo trovai certamente equivocabile ma anche drammaticamente onesto. Per chi abbia la possibilità di recuperare la rivista in questione, la data riportata in calce all'intervento di Mina è il 31/12/2008.
A scrivere è la signora "Silvia" di Padova che chiede, in essenza, se all'età di 23 anni possa ancora sperare di iniziare una carriera come cantante e - se sì - come dovrebbe muoversi, quali scuole o agenzie dovrebbe contattare. Riporto testualmente alcune parole della risposta di Mina:

<<(...) E mi devo ripetere, perché la mia opinione è sempre la stessa, non cambia. Non credo a quelli che chiedono soldi, troppi, per insegnarti una cosa che già conosci. A meno che tu non voglia cantare la Carmen. In più... la musica è finita. Internet l'ha ammazzata. Cioè tutto è diventato ottenibile gratuitamente, e a soffrirne sono gli operatori del settore che non hanno più introiti sufficienti per permettersi esperimenti con elementi nuovi. Per quanto riguarda i dischi o i cd, come li vuoi chiamare, sono in grave sofferenza anche i grandi nomi della "canzone", figurati un po'. Siamo in regime di Far West, e non vedo soluzione. Quindi, Silvia, è con amarezza che ti devo dire: "Lascia perdere". Un bacio>>.

(tratto da Vanity Fair, 31.12.2008).

"Non credo a quelli che chiedono soldi, troppi, per insegnarti una cosa che già conosci". Anche Mina sembra quindi essere dello stesso parere della Pausini per quanto riguarda le "scuole di canto". Dando per scontato che entrambe le artiste facciano riferimento all'ambito pop (e Mina lo esplicita un po' di più rispetto alla Pausini), si può essere d'accordo sul messaggio soggiacente (non sulla maniera di esporlo, facilmente equivocabile dagli spettatori/lettori): se con il termine "scuola" si fa riferimento ad un prescrittivismo artistico (legato ad un gusto personale o culturale), allora la "scuola di canto" coincide con un procedimento di omologazione dei cantanti, un'uniformazione delle voci (e delle personalità espressive) che collima con quella particolarità e individualità tanto esaltate e ricercate nell'ambito del  pop e della commercial music. La distinzione tra ciò che è fisiologico e ciò che piace (oggettivo il primo, soggettivo e variabile il secondo) non è chiara in tutte le "scuole" di canto, e alcuni didatti tendono talora a confondere "insegnare a cantare" con "insegnare a cantare come piace a me". Quando "come piace a me" tende ad un'impostazione un po' più classica, il suono e lo stile d'emissione richiesti e giudicati positivamente dal docente saranno probabilmente simili a quelli che la Pausini definisce "tecnici", ovvero verosimilmente troppo "impostati" e non "naturali". Si può essere generalmente d'accordo con questo, ma fino ad un certo punto. Ci sono allievi che richiedono esplicitamente di imparare uno stile, magari scegliendo di prendere lezioni di canto da un determinato insegnante anche perché ne ammirano le doti artistiche e vorrebbero emularne le qualità. Il gusto si acquisisce per esposizione e la maggior parte dell'apprendimento avviene per imitazione: se un cliente (pagante) vuole imparare a esprimersi secondo i dettami di un determinato stile, ed è una sua scelta "libera", perché mai non lo si dovrebbe accontentare? A volte si ha invece a che fare con allievi che non hanno alcun senso "stilistico", producono suoni ma pendono dalle labbra dell'insegnante per capire se sono suoni gradevoli o meno; in quel caso è imperativo - almeno a parer mio - che il docente sia chiaro nel distinguere il giudizio sulla bontà fisiologica della produzione sonora (e già per fare questo bisogna essere qualificati e adeguatamente addestrati, e non è da tutti) dalla valutazione soggettiva della qualità estetica. 

Per chiarire il concetto, ecco un paio di esempi di commenti che sono secondo me appropriati:

"E' un suono sano, non dovrebbe affaticarti più di tanto. A mio parere forse potrebbe essere percepito come leggermente impostato per il genere che vuoi cantare, per cui magari non lo userei sempre".

"E' un modo di cantare molto naturale, un po' graffiato, che potrebbe darti dei problemi laddove necessitassi di elevare l'intensità ad esempio. Un sound molto personale e a mio parere efficace nell'ambito pop-rock, ma attenzione alla salute vocale prima di tutto".

Per contrasto, ecco invece due esempi di valutazioni didattiche in cui il confine tra fisiologia e gusto si affievolisce:

"E' un suono troppo poco avanti, stai ingolando e non sento le armoniche alte. Anche se il suono è basso nel range parlato, devi metterlo avanti".

"Le note sono troppo poco legate, devi respirare meglio con il diaframma e immaginare una nota dentro all'altra, altrimenti è troppo di gola".


Mi sono interrogato più volte, nel corso della mia carriera scolastica e professionale, su che cosa debba realmente insegnare un vocal coach. Credo che ogni caso sia distinto, che ci debba essere chiarezza di comunicazione di intenti da parte dell'allievo e onestà da parte del didatta al fine di sviluppare una sana ed eticamente solida relazione di lavoro. In linea di massima, credo che il coach debba comunque "accordare" una voce (ovvero intonarla), insegnare a "suonare" lo strumento voce (ovvero palesarne le potenzialità ma anche i limiti meccanico-espressivi), "allenarla" (con un regime molto simile a quello adottato da un personal trainer sportivo) e aiutare l'allievo ad applicare le neo-acquisite capacità all'ambito prescelto (ad esempio esplorando i vari generi musicali e stilistici) suggerendo - mai imponendo - delle scelte che valorizzino lo strumento e la personalità individuale. Chissà se questa modalità di fare "lezione di canto" (termine che personalmente aborro..) è nota alla Pausini e a Mina..

Quest'ultima parla - nel suo intervento su Vanity Fair - di imparare "una cosa che già conosci". Alcune persone che scelgono di prendere "lezioni di canto" (non certo tutte) certamente sanno già cantare (non è poi così diverso dal parlare, sotto certi punti di vista..). 

Ma  anche chi comincia a lavorare con un preparatore o un personal trainer certamente se ne intende già un po' di calcio o di fitness.. il coach, in questo caso, prepara un programma di sviluppo e allenamento su misura per ottenere il massimo da ogni individuo. Ciò che gli permette di raggiungere risultati è la sua esperienza e competenza nello specifico ambito sportivo. Il vocal coach fa lo stesso: grazie alle sue conoscenze fisiologiche, acustiche, artistiche, pedagogiche, musicali (...) elabora un percorso di formazione graduato e misurabile che permetta all'allievo di raggiungere risultati in tempi ragionevoli. Questa è la mia idea di vocal coaching e di "scuola di canto".
Hanno quindi ragione la Pausini e Mina quando dicono che nessuno insegna a cantare, ma credo che - seppur non tutti possano aspirare al successo raggiunto da loro due - tutti abbiano il diritto di poter studiare e migliorare, ottenendo il massimo che la loro "costituzione" (fisica e mentale/artistica) consente.

Fra le critiche sollevate alla Pausini dopo le dichiarazioni a Che tempo che Fa, la più feroce è stata quella che fa riferimento alle sue condizioni di salute vocale non certo ottimali. E' stato detto che proprio lei, che si è dovuta sottoporre a operazioni più volte per ripristinare la salute delle corde, non dovrebbe permettersi di denigrare le scuole di canto (sottintendendo che se le avesse frequentate tali interventi non si sarebbero resi necessari) . Sono completamente d'accordo nel mettere in risalto che lo studio del canto deve porsi l'obiettivo di insegnare delle tecniche (di riscaldamento, defaticamento, rilassamento, di emissione etc.) che prevengano o persino riducano i danni istologici alle pliche vocali causati da malmenage (o uso errato dell'apparato pneumofonico). Vorrei però aggiungere due osservazioni:

-Non è professionalmente corretto parlare dello stato di salute della Pausini in quanto nessuno di noi sa realmente quale sia la condizione del suo strumento e se si sia effettivamente sottoposta a interventi chirurgici (una terapia medica è cosa ben diversa da un'operazione chirurgica);

-A onor del vero, i danni a carico delle pliche vocali non sono dovuti sempre e solo a malmenage. Nel caso degli artisti di grande fama è spesso il surmenage a mietere vittime su vittime. Anche con una tecnica perfetta (di cui la Pausini non è certamente - e forse "orgogliosamente" - in possesso), la frequenza dei concerti, delle interviste, delle promozioni, delle prove, la lunghezza dei viaggi e delle permanenze in condizioni di aerazione qualitativamente povere, l'insufficiente riposo notturno, la mancanza di idratazione, fenomeni di allergia o raffreddamento, squilibri ormonali, tensioni psichiche e molti altri fattori possono causare patologie vocali. Una cosa è cantare in un gruppo il sabato sera, ben altro peso ha la vita tipica dell'artista in tournée mondiale. Non è quindi corretto far credere che l'eventuale presenza di patologie vocali, attuali o pregresse, sia solo ed esclusivamente il risultato della mancanza di lezioni di canto (la quale è certamente un fattore di rischio, ma solo uno dei tanti).

Io credo che chi voglia cantare debba affrontare un percorso di formazione vocale serio, che gli faccia acquisire tecnica, resistenza, norme di igiene e che lo stimoli artisticamente. Credo anche che esista un talento, un'originalità che può essere valorizzata, stimolata, "tirata fuori" se latente, ma raramente creata ex novo. Credo che per trovare "quello che già sai fare", per usare le parole di Mina, ogni artista debba fare un percorso di introspezione che nessuno può fare per lui, nemmeno il produttore, ma che l'insegnante di canto (o, meglio, il vocal coach) possa essere un'esperta guida su tale strada. Ciò in cui non credo, invece, sono le dichiarazioni assolute, equivocabili da molti, di tipo aut-aut, in bianco e nero, come quella della Pausini. Qualcosa di vero c'é. Le scuole di canto non trasformeranno di certo la Pausini in Mina, ad esempio. Ma possono certamente aiutare tutti a sviluppare ciò che hanno, a migliorare, a non farsi del male, a cantare per tutta la vita, ad allenare il proprio strumento.. e ciò non è poco.

Per ulteriori informazioni sul vocal coaching: www.dynamicalvoice.com

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