Le sentenze
lapidarie pronunciate "per" o "contro" qualcosa o qualcuno,
specialmente se definitive e assolute, sono sempre criticabili. Ciò è
applicabile pure a quanto accaduto qualche giorno fa nel corso della
trasmissione televisiva "Che tempo che fa", quando Laura Pausini -
celeberrima eroina internazionale della canzone italiana - ha dichiarato
testualmente:
<<Io non
voglio fare una polemica su questo perché ognuno ha il suo punto di vista, ma
io sono contraria alle scuole di canto. Per me non ci può essere nessuno che
insegni ad un altro come cantare, perché diventa "tecnico", secondo
me tutto questo è lontanissimo dall'arte del canto (...)>>.
Il popolo dei cantanti e, soprattutto, dei
docenti di canto italiani, si è ribellato sui social a suon di critiche e con
reazioni che vanno dalla semplice indignazione al desiderio di avviare
addirittura un procedimento legale contro la cantautrice, che ha osato
infangare il loro lavoro o oggetto di studio. La risposta da parte dei vocal
coach era doverosa, dal momento che ad essere attaccato direttamente (e dal
pulpito di un evento mediatico importante a livello nazionale) è il valore del
loro stesso operato, e ad essere messo in discussione è il senso della
professione in sé.
Leggendo i post e
i commenti degli insegnanti di canto, che si scontrano inevitabilmente con i
sostenitori e i fan di Laura Pausini, mi è tornato alla mente quanto lessi
parecchi anni fa, casualmente, sulla rivista Vanity Fair. Nel 2008 mi capitò
fra le mani un numero della suddetta pubblicazione, la quale conteneva (e forse
contiene tutt'ora) una sezione in cui la grande Mina (sì, proprio lei)
rispondeva ai quesiti dei lettori in merito ai temi più disparati. Conservai il
trafiletto con una domanda e risposta che mi colpì, in quanto ricordo che lo
trovai certamente equivocabile ma anche drammaticamente onesto. Per chi abbia
la possibilità di recuperare la rivista in questione, la data riportata in
calce all'intervento di Mina è il 31/12/2008.
A scrivere è la
signora "Silvia" di Padova che chiede, in essenza, se all'età di 23
anni possa ancora sperare di iniziare una carriera come cantante e - se sì -
come dovrebbe muoversi, quali scuole o agenzie dovrebbe contattare. Riporto
testualmente alcune parole della risposta di Mina:
<<(...) E
mi devo ripetere, perché la mia opinione è sempre la stessa, non cambia. Non
credo a quelli che chiedono soldi, troppi, per insegnarti una cosa che già
conosci. A meno che tu non voglia cantare la Carmen. In più... la musica è
finita. Internet l'ha ammazzata. Cioè tutto è diventato ottenibile
gratuitamente, e a soffrirne sono gli operatori del settore che non hanno più
introiti sufficienti per permettersi esperimenti con elementi nuovi. Per quanto
riguarda i dischi o i cd, come li vuoi chiamare, sono in grave sofferenza anche
i grandi nomi della "canzone", figurati un po'. Siamo in regime di
Far West, e non vedo soluzione. Quindi, Silvia, è con amarezza che ti devo dire:
"Lascia perdere". Un bacio>>.
(tratto da Vanity
Fair, 31.12.2008).
"Non credo a
quelli che chiedono soldi, troppi, per insegnarti una cosa che già
conosci". Anche Mina sembra quindi essere dello stesso parere della
Pausini per quanto riguarda le "scuole di canto". Dando per scontato
che entrambe le artiste facciano riferimento all'ambito pop (e Mina lo
esplicita un po' di più rispetto alla Pausini), si può essere d'accordo sul
messaggio soggiacente (non sulla maniera di esporlo, facilmente equivocabile
dagli spettatori/lettori): se con il termine "scuola" si fa
riferimento ad un prescrittivismo artistico (legato ad un gusto personale o
culturale), allora la "scuola di canto" coincide con un procedimento
di omologazione dei cantanti, un'uniformazione delle voci (e delle personalità
espressive) che collima con quella particolarità e individualità tanto esaltate
e ricercate nell'ambito del pop e della
commercial music. La distinzione tra ciò che è fisiologico e ciò che piace
(oggettivo il primo, soggettivo e variabile il secondo) non è chiara in tutte
le "scuole" di canto, e alcuni didatti tendono talora a confondere
"insegnare a cantare" con "insegnare a cantare come piace a
me". Quando "come piace a me" tende ad un'impostazione un po'
più classica, il suono e lo stile d'emissione richiesti e giudicati
positivamente dal docente saranno probabilmente simili a quelli che la Pausini
definisce "tecnici", ovvero verosimilmente troppo
"impostati" e non "naturali". Si può essere generalmente
d'accordo con questo, ma fino ad un certo punto. Ci sono allievi che richiedono
esplicitamente di imparare uno stile, magari scegliendo di prendere lezioni di
canto da un determinato insegnante anche perché ne ammirano le doti artistiche
e vorrebbero emularne le qualità. Il gusto si acquisisce per esposizione e la
maggior parte dell'apprendimento avviene per imitazione: se un cliente
(pagante) vuole imparare a esprimersi secondo i dettami di un determinato
stile, ed è una sua scelta "libera", perché mai non lo si dovrebbe
accontentare? A volte si ha invece a che fare con allievi che non hanno alcun senso
"stilistico", producono suoni ma pendono dalle labbra dell'insegnante
per capire se sono suoni gradevoli o meno; in quel caso è imperativo - almeno a
parer mio - che il docente sia chiaro nel distinguere il giudizio sulla bontà
fisiologica della produzione sonora (e già per fare questo bisogna essere
qualificati e adeguatamente addestrati, e non è da tutti) dalla valutazione
soggettiva della qualità estetica.
Per chiarire il concetto, ecco un paio di
esempi di commenti che sono secondo me appropriati:
"E' un suono
sano, non dovrebbe affaticarti più di tanto. A mio parere forse potrebbe essere
percepito come leggermente impostato per il genere che vuoi cantare, per cui
magari non lo userei sempre".
"E' un modo
di cantare molto naturale, un po' graffiato, che potrebbe darti dei problemi
laddove necessitassi di elevare l'intensità ad esempio. Un sound molto
personale e a mio parere efficace nell'ambito pop-rock, ma attenzione alla
salute vocale prima di tutto".
Per contrasto,
ecco invece due esempi di valutazioni didattiche in cui il confine tra
fisiologia e gusto si affievolisce:
"E' un suono
troppo poco avanti, stai ingolando e non sento le armoniche alte. Anche se il
suono è basso nel range parlato, devi metterlo avanti".
"Le note
sono troppo poco legate, devi respirare meglio con il diaframma e immaginare
una nota dentro all'altra, altrimenti è troppo di gola".
Mi sono
interrogato più volte, nel corso della mia carriera scolastica e professionale,
su che cosa debba realmente insegnare un vocal coach. Credo che ogni caso sia
distinto, che ci debba essere chiarezza di comunicazione di intenti da parte
dell'allievo e onestà da parte del didatta al fine di sviluppare una sana ed
eticamente solida relazione di lavoro. In linea di massima, credo che il coach
debba comunque "accordare" una voce (ovvero intonarla), insegnare a
"suonare" lo strumento voce (ovvero palesarne le potenzialità ma
anche i limiti meccanico-espressivi), "allenarla" (con un regime
molto simile a quello adottato da un personal trainer sportivo) e aiutare
l'allievo ad applicare le neo-acquisite capacità all'ambito prescelto (ad esempio
esplorando i vari generi musicali e stilistici) suggerendo - mai imponendo -
delle scelte che valorizzino lo strumento e la personalità individuale. Chissà
se questa modalità di fare "lezione di canto" (termine che personalmente
aborro..) è nota alla Pausini e a Mina..
Quest'ultima
parla - nel suo intervento su Vanity Fair - di imparare "una cosa che già
conosci". Alcune persone che scelgono di prendere "lezioni di
canto" (non certo tutte) certamente sanno già cantare (non è poi così
diverso dal parlare, sotto certi punti di vista..).
Ma anche chi comincia a lavorare con un
preparatore o un personal trainer certamente se ne intende già un po' di calcio
o di fitness.. il coach, in questo caso, prepara un programma di sviluppo e
allenamento su misura per ottenere il massimo da ogni individuo. Ciò che gli
permette di raggiungere risultati è la sua esperienza e competenza nello
specifico ambito sportivo. Il vocal coach fa lo stesso: grazie alle sue
conoscenze fisiologiche, acustiche, artistiche, pedagogiche, musicali (...)
elabora un percorso di formazione graduato e misurabile che permetta
all'allievo di raggiungere risultati in tempi ragionevoli. Questa è la mia idea
di vocal coaching e di "scuola di canto".
Hanno quindi ragione la
Pausini e Mina quando dicono che nessuno insegna a cantare, ma credo che -
seppur non tutti possano aspirare al successo raggiunto da loro due - tutti
abbiano il diritto di poter studiare e migliorare, ottenendo il massimo che la
loro "costituzione" (fisica e mentale/artistica) consente.
Fra le critiche
sollevate alla Pausini dopo le dichiarazioni a Che tempo che Fa, la più feroce
è stata quella che fa riferimento alle sue condizioni di salute vocale non
certo ottimali. E' stato detto che proprio lei, che si è dovuta sottoporre a
operazioni più volte per ripristinare la salute delle corde, non dovrebbe
permettersi di denigrare le scuole di canto (sottintendendo che se le avesse
frequentate tali interventi non si sarebbero resi necessari) . Sono
completamente d'accordo nel mettere in risalto che lo studio del canto deve
porsi l'obiettivo di insegnare delle tecniche (di riscaldamento, defaticamento,
rilassamento, di emissione etc.) che prevengano o persino riducano i danni
istologici alle pliche vocali causati da malmenage (o uso errato dell'apparato
pneumofonico). Vorrei però aggiungere due osservazioni:
-Non è
professionalmente corretto parlare dello stato di salute della Pausini in
quanto nessuno di noi sa realmente quale sia la condizione del suo strumento e
se si sia effettivamente sottoposta a interventi chirurgici (una terapia medica
è cosa ben diversa da un'operazione chirurgica);
-A onor del vero,
i danni a carico delle pliche vocali non sono dovuti sempre e solo a malmenage.
Nel caso degli artisti di grande fama è spesso il surmenage a mietere vittime
su vittime. Anche con una tecnica perfetta (di cui la Pausini non è certamente
- e forse "orgogliosamente" - in possesso), la frequenza dei
concerti, delle interviste, delle promozioni, delle prove, la lunghezza dei
viaggi e delle permanenze in condizioni di aerazione qualitativamente povere,
l'insufficiente riposo notturno, la mancanza di idratazione, fenomeni di
allergia o raffreddamento, squilibri ormonali, tensioni psichiche e molti altri
fattori possono causare patologie vocali. Una cosa è cantare in un gruppo il
sabato sera, ben altro peso ha la vita tipica dell'artista in tournée mondiale.
Non è quindi corretto far credere che l'eventuale presenza di patologie vocali,
attuali o pregresse, sia solo ed esclusivamente il risultato della mancanza di
lezioni di canto (la quale è certamente un fattore di rischio, ma solo uno dei
tanti).
Io credo che chi
voglia cantare debba affrontare un percorso di formazione vocale serio, che gli
faccia acquisire tecnica, resistenza, norme di igiene e che lo stimoli
artisticamente. Credo anche che esista un talento, un'originalità che può
essere valorizzata, stimolata, "tirata fuori" se latente, ma
raramente creata ex novo. Credo che per trovare "quello che già sai
fare", per usare le parole di Mina, ogni artista debba fare un percorso di
introspezione che nessuno può fare per lui, nemmeno il produttore, ma che l'insegnante
di canto (o, meglio, il vocal coach) possa essere un'esperta guida su tale
strada. Ciò in cui non credo, invece, sono le dichiarazioni assolute,
equivocabili da molti, di tipo aut-aut, in bianco e nero, come quella della
Pausini. Qualcosa di vero c'é. Le scuole di canto non trasformeranno di certo
la Pausini in Mina, ad esempio. Ma possono certamente aiutare tutti a
sviluppare ciò che hanno, a migliorare, a non farsi del male, a cantare per
tutta la vita, ad allenare il proprio strumento.. e ciò non è poco.
Per ulteriori
informazioni sul vocal coaching: www.dynamicalvoice.com
Incredibile, ma che senso ha?
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