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lunedì 17 ottobre 2016

La voce del gender: Hillary Clinton, uomini, donne e LGBT





Associazioni all'apparenza azzardate e argomenti scomodi. Ma leggete bene e capirete.

Disclaimer: con il presente post, non è nostra intenzione esprimere idee politiche né operare discriminazioni nei confronti di alcuna cultura, identità di genere, orientamento sessuale delle persone. E' nostra convinzione che qualsiasi richiesta di "makeover" vocale possa essere accolta se sensata e non imposta dall'esterno. Dal nostro punto di vista, non c'é alcunché di "sbagliato" o "da correggere" in alcuna abitudine vocale/accento/comportamento, a meno che non siano presenti disfunzionalità o patologie, a patto che sia il cliente stesso a richiederlo e che tale richiesta non rifletta conflittualità interne di pertinenza psicologica o psicoterapeutica.

La psicologia sociale insegna che il processo decisionale di un individuo - a seconda delle circostanze, del tempo e delle informazioni a disposizione - può seguire due percorsi cognitivi distinti: la via "centrale", oppure la via "periferica". La via "centrale" prevede un'analisi razionale dei fattori e delle variabili inerenti la scelta; la via "periferica" consta, al contrario, di "euristiche" o "scorciatoie cognitive" su cui si basa la persona per prendere una decisione. Questo i politici lo sanno da tempo: risulta fondamentale tenere sotto controllo la propria self-presentation, curandone tutti i particolari, in quanto molti elettori - ignoranti in materia politica ed economica - tenderanno più o meno subconsciamente a ricorrere ad impressioni, sensazioni "a pelle", e all'istinto (via periferica) al momento di esprimere una preferenza nelle urne. Non è certo un segreto che i vari politicanti si avvalgano di consulenti d'immagine, truccatori, coach di vario tipo (anche vocal coach, certo), ghost writer etc. al fine di ottenere quell'immagine vincente che possa essere funzionale al ruolo e strappare più voti possibili agli elettori più "naïf".

 Lampante è certamente il caso americano, con i dibattiti presidenziali di questi giorni che sembrano più spettacoli di "infotainment" o, come direbbe qualcuno più audace forse di chi scrive, dei meri "puppet shows". La propaganda politica è lontana dagli scopi di questo blog, nonché dalla mia sfera di interessi (anche se mi auguro che i lettori appartengano a quel gruppo di persone che raccoglie informazioni e segue la "via centrale" prima di esprimere opinioni che riguardano il futuro del loro paese), e vorrei mettere in chiaro che quanto sarà detto a riguardo di determinate personalità politiche o altre categorie di persone all'interno di questo post non rappresenta un "endorsement" né una condanna, semmai una sorta di raccolta di "case studies" che possano stimolare l'interesse di chi legge e, magari, fornire informazioni che possano essere utili a qualcuno.

Veniamo quindi al punto: Hillary Clinton. Il candidato democratico alla White House viene molto spesso criticato (molto probabilmente da chi tende a preferire la via "periferica") per la voce. Credo, a riguardo, che i detrattori della Clinton usino il termine "voce"  in maniera un po' imprecisa, per descrivere de facto una più ampia serie di fenomeni vocali e linguistici (pronuncia, prosodia, accento, intonazione, pragmatica...). 


La stessa Clinton ne è pienamente cosciente, innanzitutto perché - vista la sua capacità di "adattamento linguistico" a seconda del target cui si rivolge - ha probabilmente una buona competenza e controllo vocale/linguistico (vedasi il mutare delle caratteristiche fonologiche del suo accento in diversi momenti della sua carriera politica), ma anche come dimostra quanto lei stessa ha dichiarato qualche tempo fa:

“I’m not Barack Obama. I’m not Bill Clinton. Both of them carry themselves with a naturalness that is very appealing to audiences. But I’m married to one and I’ve worked for the other, so I know how hard they work at being natural. It’s not something they just dial in. They work and they practice what they’re going to say. It’s not that they’re trying to be somebody else. But it’s hard work to present yourself in the best possible way. You have to communicate in a way that people say: ‘OK, I get her.’ And that can be more difficult for a woman. Because who are your models? If you want to run for the Senate, or run for the Presidency, most of your role models are going to be men. And what works for them won’t work for you. Women are seen through a different lens. It’s not bad. It’s just a fact. It’s really quite funny. I’ll go to these events and there will be men speaking before me, and they’ll be pounding the message, and screaming about how we need to win the election. And people will love it. And I want to do the same thing. Because I care about this stuff. But I’ve learned that I can’t be quite so passionate in my presentation. I love to wave my arms, but apparently that’s a little bit scary to people. And I can’t yell too much. It comes across as ‘too loud’ or ‘too shrill’ or ‘too this’ or ‘too that.’ Which is funny, because I’m always convinced that the people in the front row are loving it.”

Quello che Hillary cerca di dire, e ciò che in effetti si può estrapolare leggendo i commenti di chi la critica per la sua modalità comunicativa, è che il suo modo di comunicare (verbale e non) può venire percepito come "gender inappropriate". Chiaramente, la Clinton non usa qui il termine "gender", anche perché - come sa bene chi segue gli sviluppi sociali ed antropologici della civiltà umana - parlare di "gender" e di/VS "sex" significa innescare diatribe che risulterebbero controproducenti a questo punto della corsa per la Casa Bianca. Visto che chi scrive ha però usato tale termine, mi si permetta soltanto di esplicare, per chi non avesse dimestichezza con il concetto, che con "gender" si intende qui una serie di aspettative che la società ha in riferimento ad un determinato sesso biologico. Aspettative in merito a vari aspetti della personalità e del comportamento nonché della vita stessa: la posizione lavorativa; la scelta dell'abbigliamento; il ruolo ed il potere sociale; il modo di usare il corpo, il linguaggio, la comunicazione e quindi la voce. Non so se la Clinton abbia ragione a pensarla così, se sia sincera o se le parole sopra riportate siano piuttosto uno stratagemma comunicativo (certamente efficace) per invitare gli elettori a prendere una via più "centrale" alle urne, facendola apparire al tempo stesso "più umana" e "meno fredda", trasformando quindi dei "difetti" (di immagine) in virtù politica.


Sta di fatto , però, che in alcuni casi la sua vocalità, gestualità e stile comunicativo si sono allontanati considerevolmente dallo stereotipo dell'American Woman. E allontanarsi dallo stereotipo, per ragioni probabilmente legate all'evoluzione e alle modalità di cognizione umane, è percepito come "fattore di disturbo", specie da chi non è stato condizionato (tramite istruzione diretta o indiretta o per esposizione) a restare in guardia dai tranelli che la mente ci riserva (il processo di stereotipizzazione stesso). 


Qualche settimana fa mi è capitato di vedere un documentario, suggeritomi da un collega SLP statunitense (l'equivalente americano del logopedista, seppur con alcune differenze nel curriculum di studio e nelle effettive mansioni svolte) che ha risollevato lo stesso tema della stereotipizzazione. Si tratta di "Do I sound gay?", di David Thorpe.


Il protagonista, quarantenne recentemente tornato single, si propone inizialmente di cambiare la sua voce, che percepisce come "troppo gay" e ritiene essere la causa o la concausa di alcuni fallimenti in ambito sentimentale, e della conseguente bassa autostima. Si rivolge quindi ad alcuni SLP, voice coach e linguisti per tentare di risolvere il "problema" che lo assilla, mentre contemporaneamente intraprende un viaggio di ricerca psicologica per scovare le cause prima della sua "gay voice", e poi anche del suo disgusto per questa specifica modalità fonatorio-comunicativa. 

Quest'ultima parte occupa gran parte della pellicola, ragion per cui non l'ho trovata particolarmente interessante, ma solo perché - per deformazione professionale - avrei preferito che vi fosse un approfondimento più di natura foniatrica-fonetica. Ma mi rendo conto che un tale approccio avrebbe reso il documentario poco interessante per il "grande pubblico" e, soprattutto, per il target a cui principalmente si rivolge (la comunità LGBT). La principale ragione per cui ho visionato il video, però, è un'altra: mi è capitato molto spesso, in USA ma anche in Italia, di lavorare con clienti che richiedono - direttamente o velatamente - una "mascolinizzazione" o "femminilizzazione" della voce. Parlo qui di individui cisgender (ovvero a proprio agio con il genere a loro "assegnato alla nascita", come riporta la definizione di Wikipedia), eterosessuali o omosessuali. A questi si aggiunge l'altra porzione di clienti transgender, FTM e MTF, che hanno delle necessità più ovvie dal punto di vista vocale e comunicativo. 
Specialmente nel caso delle persone cisgender, il primo approccio è sempre molto cauto: è importante, dal mio punto di vista, che siano coscienti del fatto che stanno richiedendo, in un certo senso, di "allontanarsi da sé" e "avvicinarsi ad uno stereotipo". E' questo ciò che vogliono realmente? Nel caso di persone omosessuali, il desiderio di cambiare "voce" è motivato e funzionale, oppure nasconde un disprezzo di sé e un' egodistonia che dovrebbero essere oggetto di attenzione psichiatrica o psicologia? Questi non sono ambiti di mia competenza professionale, ma è importante - a mio parere - considerare tali questioni prima di intraprendere dei percorsi di modifica vocale e comportamentale che si potrebbero rivelare controproducenti. Spiego sempre ai miei allievi/clienti, inoltre, che non si tratta necessariamente di cambiare modalità in ogni contesto e senza possibilità di ritorno, bensì di acquisire una nuova competenza (come quando si impara una lingua straniera) che può essere usata quando si vuole, intervallandola con altre modalità (code-switching) o adottandola come unica per stadi progressivi e graduati, sempre nel rispetto dell'igiene vocale e della psicologia individuale. Per quanto riguarda la "voce gay", la mia "working theory" è che essa sia semplicemente una modalità comunicativa comprendente dei tratti stereotipicamente associati al genere femminile (ovviamente, se il parlante è una donna, allora vale il contrario). Ma non esiste una vera e propria "voce gay", in  quanto vi sono numerosi maschi eterosessuali che presentano dei tratti fonologici/vocali associati al genere femminile, così come vi sono donne che fanno uso abbondante di tratti comunicativi stereotipicamente maschili (come nel caso della Clinton). E' importante porsi di fronte alle richieste del cliente un po' come fa (o dovrebbe fare) il chirurgo estetico in colloquio con un paziente: la richiesta è sensata? Il paziente sarà soddisfatto a risultato ottenuto oppure soffre di un disturbo di dismorfismo corporeo (o vocale) che necessita di un intervento psicoterapeutico? Spero di non apparire pedante e ripetitivo, ma credo che quando si ha a che fare con la voce e la comunicazione di una persona, si ha a che fare con l'immagine di sé e con l'identità dell'individuo, per cui è necessaria massima cautela, chiarezza, apertura e rispetto.


Veniamo quindi al vero argomento di questo post: le caratteristiche stereotipiche della voce maschile e femminile. Chi richiede una mascolinizzazione o una femminilizzazione vocale ritiene, erroneamente, che si tratti essenzialmente di abbassare o innalzare la frequenza fondamentale. Questo, invece, è solo uno dei tanti ambiti su cui si può lavorare, ma non certo l'unico. Vediamo nel loro insieme quali sono le aree di intervento:

-Frequenza

-Risonanza e timbro

-Intonazione

-Velocità d'eloquio

-Volume/Intensità

-Sintassi

-Scelta lessicale

-Pragmatica

-Articolazione

-Igiene vocale: è molto facile che questi clienti acquisiscano abitudini vocali scorrette nel tentativo di emulare modelli troppo lontani dalle possibilità del loro strumento, sviluppando patologie foniatriche quali la disfonia da tensione muscolare o vere e proprie lesioni cordali.

-Comunicazione non verbale

-Modalità di trasferimento del nuovo "codice" nella vita quotidiana

-La voce nel canto (se l'individuo che richiede una consulenza è anche cantante).

Cercherò ora di approfondire, seppur brevemente, i vari punti sovra esposti, cercando di mantenere una prospettiva linguisticamente "universale". Ogni persona, infatti, rappresenta un caso a sé, e ciò che è considerato "gender-appropriate" (termine politicamente poco corretto, forse dovremmo dire "conforme allo stereotipo di genere") dipende dalle variazioni su quello che in sociolinguistica si chiama "asse diatopico, diastratico, diafasico e diamesico" (dove siamo? quale classe sociale? quale contesto comunicativo? quale mezzo comunicativo?). A titolo esemplificativo, un costante "uptalk", ovvero un'intonazione interrogativa laddove si dovrebbe usare una struttura intonativa conclusiva, è sì un tratto stereotipicamente femminile, ma è anche una caratteristica di alcuni dialetti settentrionali.


-Frequenza fondamentale: Andrews (1999) ha appurato che la donne parlano mediamente con una frequenza fondamentale di 220Hz (± 20 Hz); i maschi, al contrario, parlano un'ottava sotto (120 Hz, ± 20 Hz). La scelta più salutare (ed esteticamente più gradevole, non "caricaturale"), generalmente, per gli individui transgender, è quella di puntare ad un range in cui la percezione del genere da parte dell'ascoltatore è "ambigua" (ovvero tale per cui non si riesca a stabilire, basandosi esclusivamente sulla frequenza usata, se chi parla è un uomo o una donna) che si situa all'incirca tra i 150 e i 185Hz. La voce stereotipicamente maschile usa meno variazioni tonali rispetto a quella femminile.

-Risonanza e timbro: le pliche vocali nella voce femminile tendono ad essere più sottili (per ragioni anatomico-endocrinologiche) ma anche ad essere usate in una condizione più assottigliata rispetto a quello che avviene nella voce tipicamente maschile. Spesso è presente, nella voce femminile, una componente di ariosità (a volte patologica, o comunque si tratta di una condizione predisponente a patologie vocali, per cui attenzione!). Tale condizione glottale influenza la pressione sottoglottica ed il timbro vocale. Usando una terminologia un po' obsoleta, si potrebbe dire che la voce maschile è più "di petto", quella femminile "di testa" (in realtà questi ultimi sono termini che non uso quasi mai nella didattica, ma possono essere utili per qualche lettore). La voce stereotipicamente femminile tende a pronunciare le vocali più "avanti", quella maschile più "indietro". In realtà, però, non si tratta tanto di posture della lingua, quanto di effettivo spazio oro-buccale (maggiore nell'uomo). Ma la posizione della lingua può certamente simulare o dissimulare lo spazio anatomico relativo allo stereotipo sopra descritto. Lo stesso discorso vale per la posizione della laringe nel collo (tendenzialmente più bassa per una voce tipicamente maschile).

-Intonazione: le donne tendono ad usare variazioni intonative (frequenziali) per evidenziare le parole chiave del discorso, mentre gli uomini tendenzialmente fanno a tal scopo un uso maggiore delle variazioni d'intensità (è una delle cose che fa anche Hillary Clinton). Le donne tendono ad usare più "uptalk", gli uomini una struttura prosodica più dichiarativa, conclusiva.

-Velocità d'eloquio: nella conversazione quotidiana (non  di carattere "specialistico"), gli uomini tendono a parlare più velocemente delle donne (!). Ciò è in parte dovuto al fatto che nella parlata stereotipata femminile, alcuni fonemi - specialmente le vocali ed i dittonghi - vengono allungati. Inoltre, gli uomini tendono a parlare con un ritmo abbastanza costante, mentre le donne si esprimono spesso con "agglomerati linguistici" intervallati da una pausa (Norton, 2000).

-Volume/Intensità: generalmente gli uomini hanno un'intensità vocale superiore a quella femminile. L'intensità vocale/volume è generalmente associata a potere e sicurezza.

-Sintassi: le differenze, troppo numerose per essere enumerate comprensivamente, riguardano l'uso della paratassi e dell'ipotassi (subordinazione), l'uso di determinati avverbi e congiunzioni, la posizione degli stessi, l'utilizzo di espressioni che addolciscono il discorso e la posizione espressa, un maggiore o minore livello di educazione e cortesia (politeness), etc.

-Lessico: le scelte lessicali riflettono lo stereotipo delle aree di competenza. Nel caso delle donne, quindi: psicologia, arte, frutta, verdura, mobili... Per gli uomini: il campo semantico degli attrezzi, utensili e componenti elettroniche, minore uso di aggettivi qualificativi ed avverbi, maggior uso di linguaggio taboo e scurrile... Ricordiamo che si tratta di stereotipi che non è nostra intenzione perpetuare, ma allo stesso tempo tali ipergeneralizzazioni hanno un correlato reale (cfr le ricerche di Albanese et al, 2000; Capitani et al., 1999; Schulz, 1975; Coates, 2004; Lakoff, 1975).

-Pragmatica: gli uomini tendono a comunicare al fine di stabilire una gerarchia o di acquisire informazioni, mentre le donne ricercano consenso e condividono pensieri e sentimenti. Gli uomini tendono a fare meno domande per timore di trasmettere incompetenza, le donne generalmente sono più espressive, ...

-Articolazione: le donne tendono a produrre vocali più lunghe degli uomini; l'attacco dei suoni tende ad essere meno deciso nelle donne rispetto agli uomini; i maschi hanno uno stile più "staccato", le femmine più "legato"; le donne tendono a pronunciare le consonanti con più precisione rispetto agli uomini, ma il contatto tra gli articolatori risulta essere più delicato; la protrusione labiale (nei fonemi che lo prevedono) e l'abbassamento mandibolare tendono ad essere più pronunciati nelle donne, ...

-Comunicazione non verbale: si registrano differenze nella cinetica (movimenti corporei), nelle proprietà del contatto interpersonale, nella prossemica, nel contatto visivo, nell'olfatto, nel modo di porsi (postura) e di muoversi (camminata, gestualità), nella concezione (e gestione)del tempo...


Lo spazio del blog e le risorse attentive umane mi impongono di concludere il presente post, che non vuole di certo essere esauriente ed esaustivo. Tengo a sottolineare, ancora una volta, che i tratti sopra descritti non sono normativi, ma rappresentano (seppure con varianti tra una cultura e l'altra) i prototipi del genere maschile e femminile. Ogni persona, poi, è un caso a sé, e un cambiamento appropriato per un individuo potrebbe non esserlo per un altro. Ecco perché è fondamentale il rapporto con il coach e, soprattutto, l'accoglienza e l'onestà. E, prima di iniziare un percorso di cambiamento (vocale), bisogna imparare ad accettare sempre e comunque se stessi.

Per maggiori informazioni: http://www.dynamicalvoice.com/MTF.html 

8 commenti:

  1. Ciao, se posso permettermi un complimento, ho notato la capacità di affrontare tali argomenti affascinanti, complessi e pieni di sfumature, con grande equilibrio ma senza bisogno di evitarli e di autocensurarti nelle tue osservazioni, ma esprimendole con competenza ed umiltà. Anch'io seguo un approccio simile, nella vita, come quando scrivo a tal proposito, proprio per evitare di ingenerare inutili polemiche spesso semplificatorie e manichee, che disperdono energie che andrebbero spese meglio.
    "Pragmatica: gli uomini tendono a comunicare al fine di stabilire una gerarchia o di acquisire informazioni, mentre le donne ricercano consenso e condividono pensieri e sentimenti. Gli uomini tendono a fare meno domande per timore di trasmettere incompetenza, le donne generalmente sono più espressive, ..." ovviamente come uomo non mi ci riconosco proprio e non posso che sperare che questo stereotipo non sia troppo diffuso, ma come appunto hai detto sono archetipi simbolici e culturali, che forse fanno riferimento ai ruoli che sono stati in passato più rigidamente suddivisi, force facenti riferimento ad un'ipotetica condizione naturale dell'umanità, anch'essa ricca di ipotesi, ma dove comunque non sembra che il ruolo femminile fosse passivo come quello che le è stato attribuito e assegnato per un lungo periodo storico dell'occidente e dell'oriente. Ovviamente non senza rovesci anche a svantaggio degli uomini.
    Chiusa parentesi, mi dai agio di interrogarmi su un punto, appunto le differenze di frequenza tra uomini e donne?
    Fanno riferimento ad una media di frequenza parlate? Visto che ci sono variazioni che vanno dai contralti ai soprani e negli uomini dai bassi ai tenori. Fanno riferimento a stessi registri o zone dell'estensione?
    Culturalmente capita, ora penso meno, che alcune donne parlino in una zona dell'estensione più vicina al passaggio di registro e molti uomini più vicini al limite basso, sempre tenendo conto di umore e altro. Io per dire vario moltissimo.
    Alcuni uomini entrano sporadicamente in M2 (testa o, secondo la compressione, falsetto), altri addirittura parlano in buona parte in strohbass-fry (M0).
    Ho letto che la differenza in lunghezza media tra le corde maschili e femminili, sia infatti di 1/3, cioè quelle femminile sono lunghe 2/3, e tenendo conto che pare che la voce media femminile sia più vicina ai soprani e quella maschile ai baritoni, posso ipotizzare che tra tenori e soprani sia inferiore a 1/3 e che non si raggiunga il rapporto 1 a 2 nemmeno per i bassi. Perchè lo dico?
    Perchè ci sia tra le frequenze prodotte, a parità di tensione, una differenza di un'ottava, bisogna una dimensione/massa/volume sia l'una il doppio dell'altra, vedi appunto le corde della chitarra.
    Certo, queste dimensioni parlano di lunghezza, se contiamo anche lo spessore più sottile, esso contribuisce alla differenza di massa/volume, quindi le dimensioni aumentano.

    Tuttavia le tessiture liriche sembrano mostrare che i vari ruoli, da basso a soprano, lavorano su zone diverse dell'estensione, i bassi sono molto più lontani, nei loro acuti canonici di partitura, dal loro vero limite acuto di quanto non lo siano i tenori o i soprani, i quali a loro volta non hanno Do3 come limite vero.
    Se poi contiamo che le donne in lirica entrano in m2 e ci cantano buona parte della tessitura, mentre gli uomini, pure i tenori, ci entrano rarissimamente, si spiega l'ottava di differenza. A loro volta i soprani spesso non si avvicinano nemmeno al loro limite in M1.
    Maggiore somiglianza nella musica moderna, invece, specialmente con l'uso, per entrambi di M2 compresso + twang con sonorità simile al modale.

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  2. Ciao! Grazie mille per il commento e per i complimenti.
    Rispondo (o cerco di rispondere) alle tue domande. Le differenze di genere nella frequenza fondamentale indicate fanno riferimento ad uno studio percettivo. In modo particolare, nel 1988 (Spencer) ha scoperto, facendo ascoltare a delle persone delle voci, che se il parlante usava una frequenza fondamentale media al di sotto dei 160 Hz, veniva "etichettato" (da chi non lo vedeva ma poteva sentire la voce) come "certamente maschio". Al di sopra di tale frequenza fondamentale media, gli ascoltatori propendevano sempre di più per definire il parlante come "certamente femmina". Successivamente, Andrews (1999) ha compiuto studi più raffinati che hanno avuto come risultato (sempre basandosi sulla percezione degli ascoltatori reclutati) che a 220 Hz (+/- 20 Hz) abbiamo un'identificazione della voce come "femminile", a 120 Hz (+/- 2 Hz) gli ascoltatori percepiscono invece una voce "maschile". Negli studi scientifici (quelli fatti bene..) si cerca di isolare le variabili, concentrandosi solo su quella che ci interessa valutare (in questo caso la F0 o frequenza fondamentale). Come scritto nel post, però, l'"altezza" a cui si parla non è l'unico indicatore del genere. Se un parlante usa una F0 tra i 160 - 185 Hz (o "lì intorno"), l'ascoltatore non sa bene se si tratti di un maschio o di una femmina, e ricorre (inconsciamente) ad altri parametri di valutazione (risonanza, articolazione, intonazione, etc.). Parlo ovviamente di casi in cui non si abbia la possibilità di vedere la persona con cui si parla (ad esempio quando si parla al telefono..). Mi ricollego quindi al discorso che fai tu: alcuni tenori leggeri (giusto per fare un esempio), usano frequenze - nel parlato - che sono al di sopra della "soglia" prototipica maschile.. generalmente sono nel range "percettivamente ambiguo" di cui parlavo prima. Chi ascolta ricorre quindi ad altri criteri di giudizio (sia uditivi che visivi, se questi ultimi sono disponibili). Le persone MtF dovrebbero essere incoraggiate ad adottare una frequenza parlata in questo range "ambiguo", perché non è vocalmente sicuro (la disfonia da tensione muscolare è un grosso rischio) né esteticamente gradevole (diventa una parodia di una voce femminile) forzarle a produrre i suoni del parlato a 220 Hz o più. Le persone FtM, generalmente, hanno vita più facile in quanto l'avvio di una terapia ormonale sostitutiva ha come effetto l'abbassamento permanente della frequenza fondamentale vocale. Quanto dici in riferimento alle estensioni nel canto lirico e moderno sarà oggetto di un post che pubblicherò a breve sulle categorie vocali, ma in generale si può dire che c'è differenza tra estensione e fach. Io, a puro titolo esemplificativo, canto con relativa facilità dal MI dei bassi/baritoni al Do acuto dei soprani, e in registro di fischio arrivo anche al FA al di sopra di quest'ultimo. Questo non fa di me né un basso né un soprano.. perché alcune di queste note estreme (in basso o in alto) le posso "toccare" ma non sono il "cuore", cioè la parte più bella, sostenibile e funzionale della mia dotazione foniatrica. Spero di aver riposto alle tue domande! A presto e grazie!

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  3. Ciao Davide, gentilissimo come sempre nelle tue risposte. Purtroppo ho smesso di guardare poco prima che rispondessi. Non posso che ringraziarti.
    Se in quello studio dell'88 dici che la frequenza di 160 hz ovvero un La1, faceva da spartiaque mi pare strano, perchè tale nota è raggiungibile dalle donne con molto allenamento, di conseguenza la si attribuisce più facilmente ad una voce baritonale. Dubito però che tutto ciò che ne fosse al di sopra fosse catalogato come femminile, forse c'era un'altra soglia.
    Giustamente citi studi più raffinati. Certamente femminile sopra 220 ovvero la2, la quale è però una nota che prendo spesso e supero parlando più leggero e proiettato, spesso per farmi sentire.
    Ma che certamente come timbrica rimane maschile, corde baritonali e laringe più ampia (in posizione neutra, poichè sappiamo che può stringersi, allargarsi, salire e scendere) contribuiscono ad un timbro più scuro.
    Perchè suoni femminile servono adattamenti come twang e laringe alta, U meno scure e più verso Eu (proprio per interazioni con spazi laringei diversi) parlo a prescindere da tipi di cadenza e intonazione. Talvolta effetti di fry che simulino il trovarsi in una zona più bassa dell'estensione.
    Viceversa per una donna che vuole imitare un uomo.
    Ma è strano come possa essere percepita una tale frequenza come certamente femminile, con baritoni che prendono Sol3 con colori molto scuri e donne che scendono su un Fa2 e Mi2 con colori molto chiari.
    Un "One woman medley" di "Les miserables"
    https://www.youtube.com/watch?v=4X5xwLwGu0w
    a 8:51 comincia a interpretare il pezzo di Javert, "Stars", baritonale, che scende fino a un Si1, e per essere una donna che canta parti alquanto più acute del musical e repertori lirici sopranili in altri video, è davvero sorprendente, il Si1 ha una discreta presenza, pur essendo chiaramente femminile e diverso da un timbro baritonale.

    Quello che ti chiedevo riguardava, tuttavia considerazioni sull'effettiva lunghezza o dimensione - massa delle rispettive corde vocali.
    Giusta e chiara la differenza tra estensione e fach ma dove si trovi il proprio timbro più bello non sembra il criterio, non per nulla ci sono baritoni che hanno un bellissimo timbro da controtenori nella quarta ottava utilizzando il Sob lirico. Il criterio sembra che sia più una questione di risonanza e di vicinanza fisica alla tessitura richiesta. Quella del baritono è secondo me la più centrale, (La1 - Sol3) non entrando nel registro leggero nè negli estremi bassi, secondo me.
    E sono il primo a dire che la bellezza non è nel raggiungere gli estremi, ma nel timbro e nella "grazia" (anche in suoni sgraziati, se necessario). E' possibile che la forma della laringe in una voce femminile non scura o in zona sopranile, faccia si che meno aggiustamenti siano necessari per dare squillo e volume al registro leggero M2. Ma per quanto riguarda la voce c'è meno peso su un La4 per un soprano che non per un La3 di un tenore e dico in proporzione.

    Grazie ancora David.

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  4. Pigramente il primo sito che ho trovato a riguardo è questo
    http://www.diromeo.it/corde-vocali-ecco-come-parlano-gli-uomini/
    "Gli individui di sesso maschile hanno corde vocali di dimensioni medie comprese tra i 17 e i 25 mm, mentre nelle donne tali dimensioni vanno dai 12,5 ai 17,5 millimetri. Visto il campo di variazione possibile, tuttavia, ci sono uomini dalla voce più acuta e donne dalla voce piuttosto grave. Un’altra differenza biologica importante che ha effetti sull’altezza dei suoni emessi è l’ampiezza del canale vocale, generalmente maggiore nell’uomo, che determina un ulteriore abbassamento del tono di voce indipendentemente dalla misura delle corde."
    Quindi tra i circa 13 mm o poco meno di un soprano medio e i circa 17,5 di un ipotetico tenore corre meno di 2/3 di rapporto, contiamo però lo spessore, questo sconosciuto.

    La parte sull'ampiezza e l'influenza sul tono non mi sembra esatta, se parliamo di fondamentale, ma solo se parliamo di un tono più scuro, questo sì.

    Tu mi dici che il tenore o perlomeno uno alla Pavarotti, esegue il Do4 in una sorta di belting modificato, quindi teoricamente in M1, una donna chiaramente in M2 e che io sappia in moderna, dove si usa più massa vocale, al massimo con quel registro si esegue un Sol4, ammesso che non si sia in twang.

    A seguire cercherò altre più autorevoli pubblicazioni e ricerche ;)

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    1. Oggi non ne faccio una giusta. Qui
      "Tu mi dici che il tenore o perlomeno uno alla Pavarotti, esegue il Do4 in una sorta di belting modificato, quindi teoricamente in M1, una donna chiaramente in M2 e che io sappia in moderna," Il raffronto voleva essere tra il Do4 del tenore e il Do5 del soprano, eseguito in M2. "quel registro" di qui parlo in moderna è M1, però, ma la sintassi, visto che l'ultimo che nomino è M1 direbbe il contrario. Ho sballato.
      Quindi per riformulare
      "Tu mi dici che il tenore o perlomeno uno alla Pavarotti, esegue il Do4 in una sorta di belting modificato, quindi teoricamente in M1, una donna il suo Do5 lo fa chiaramente in M2 e che io sappia, anche in moderna, dove si tende ad usare più massa vocale, al massimo con M1 si arriva a un Sol4, ammesso che non si sia in twang."
      Sempre riferito alle donne. Vedi Idina Menzel di Wicked e Frozen.

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  5. Ops, ho sbagliato con le frequenze di riferimento e note relative, chiedo venia, 160 hz è poco sotta a un Mi2, come non detto.
    https://tecnologiamusicale.files.wordpress.com/2012/07/schermata-2012-07-30-a-17-02-31.png?w=640&h=234
    Mi sono comportato come fosse la meta del La2 220, mentre è la metà di 320, circa Mi3.

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  6. Haha, ho un po' perso il filo del discorso :) Per quanto riguarda il discorso che fai sui "registri laringei", credo che tu ti stia "inceppando" nel classico fraintendimento di cui ho parlato precedentemente. La terminologia "M1, M2, etc", seppur meno ambigua rispetto ad altre, fa riferimento ad una realtà distinta rispetto a "Speech, Belting, Twang..." e altre qualità vocali codificate dall'EVTS. In termini ancora più schietti, i registri laringei (M1, M2..) e le qualità vocali (Speech, Belting, Sob, Twang..) sono cose diverse. Tu sembri dare per scontata un'equivalenza funzionale tra M1 e registro pieno e belting. In realtà NON abbiamo verifiche sperimentali che le cose stiano così. Le mie allieve riescono a produrre la qualità vocale che l'EVTS definisce "Belting" in tutta la loro estensione. Di certo producono DO acuti (del soprano) decisamente in belting (non twang, è proprio belting). Non mi azzarderei tuttavia a dire che, quindi, producono DO acuti (un'ottava sopra il DO acuto del tenore) in M1. Non vale l'equazione Belting = M1. Perché è come dire pere = carote, stiamo parlando di due cose diverse. Spero di essermi spiegato bene.. :)

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  7. Ciao, allora, in breve, sono d'accordo. Qui però il nucleo del mio discorso sono le effettive differenza nelle dimensioni delle corde vocali di uomini e donne. Ho menzionato la zona critica in cui la forza attrattiva verso m2 è plausibilmente maggiore e più allenamento è necessario per tenere il registro senza forzare o per passare agevolmente, il tutto cantando con fluidità. Ma l'ho fatto poiché questa zona è tradizionalmente rivelatrice dei propri centri. Non credo di aver mai sostenuto una identificazione tra registrie qualità. Sarei curioso di sentire la tua allieva in belting sul do5, sì. Per quanto molti pronunciamenti solenni come "un basso non raggiungerà mai un Do5" si siano rivelati inesatti, il belting vero è definito molto precisamente in termini armonici, al punto che lo si distingue da quello emulato col twang.

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